Quando a solcare i mari eravamo noi italiani alla "ricerca" del mito dell'America
di: Dott. Francesco Marino - del 2018-06-21
Furono ben 29 milioni gli italiani che emigrarono verso altri paesi tra il 1860 e la fine del XX secolo. Tra costoro un consistente numero di meridionali spinte dalle condizioni di vita precari e favoriti dalla costruzione delle ferrovie che li facilitavano a raggiungere i porti per imbarcarsi con destinazione Americhe.
A favorire la fuga dal meridione erano state le mancate promesse del Governo dopo l'unificazione d’Italia, la crisi agraria dal 1880 in poi e soprattutto l’aumento delle imposte. Alle suddette condizioni bisognava aggiungere l’operato invogliante degli agenti e sub agenti di immigrazioni, soggetti senza scrupoli finanziati dalle industrie americane bisognosi di manodopera e dagli armatori necessitanti di riempire le navi.
Costoro, pagavano il viaggio a tanti disgraziati illudendoli di trovare il benessere oltreoceano e di viaggiare in comode navi mentre, poi, gli italiani trovavano nei porti ad attenderli vecchie “carcasse” del mare. Queste imbarcazioni erano conosciuti come “Tonnellata umana” o “Navi di Lazzaro”. Trasportavano chi aveva acquistato il “mito dell’America” insieme al biglietto di terza classe. Nella stive, collocati sotto i ponti, erano spesso sistemati più di 2000 persone in nave le cui capacità di carico reale erano di 600-700.
Nel 1897 l’On. Pentano accusò alla Camera gli armatori di sfruttamento degli emigranti, sostenendo che le navi utilizzate erano le peggiori per velocità, igiene, tecnica di costruzione e talvolta le stesse già utilizzati per la tratta degli schiavi dall’Africa.
Furono un’ecatombe, i viaggi dei nostri vecchi e le disgrazie in mare non si contavano più. Tanti morivano per fame o per asfissia. Sui giornali, poi, solo poche righe di quelle sventure. Il piroscafo “Matteo Bruzzo” affondò, con centinaia di cadaveri dopo essere stato cannoneggiato dalle autorità uruguayane per costringerlo ad allontanarsi dal porto di Montevideo in quanto avevano saputo di un’epidemia di colera a bordo. Il “Carlo Raggio”, con 1851 passeggeri di terza classe, lamentò 18 vittime per fame.
L’”Ortigia”, cozzata il 24 novembre 1880 davanti alle coste argentine con un mercantile, affondò con 249 poveretti. Nel 1906 toccò alla “Sirio” inabissarsi nelle acque sudamericane con circa 500 persone dopo avere urtato uno scoglio sott’acqua mentre, nel 1929, toccò alla “Principessa Mafalda” inabissarsi tra le acque sudamericane infestati di squali, con 385 italiani.
Tuttavia sono solo una minima espressione delle sciagure in mare che hanno interessato i nostri avi. In realtà, i primi italiani arrivati in America servivano a sostituire gli schiavi dopo l’abolizione della schiavitù. Essi, furono costretti a vivere in condizioni disumane, non nelle case promesse dagli agenti di navigazione, e a subire le più disumane forme di prevaricazione e razzismo. Futili motivi erano pretesti per giustificare azioni punitivi contro gli italiani, talvolta assecondate dalle stesse autorità locali.