"La Rianata castelvetranese"
del 2012-11-22

“La rianata” (origanata) è detta così perché la ricetta prevede l’uso di molto origano; si tratta in sostanza della pizza al taglio dei giorni nostri.
Gli elementi fondamentali che la costituiscono, secondo le antiche tradizioni, sono farina di grano duro, acqua e lievito, quindi si prosegue con lo “scanari” o “caddiari” (impastare a mano) sullo “scannaturi o scrannaturi” (spianata di legno) usando abbondante “olio di gomito”; infatti, la durata dell’impasto rende la pasta più o meno soffice.

I condimenti variano moltissimo, ma alla base resta: una salsa a base di pomidoro, cipolla e basilico; sopra formaggio grattugiato e a pezzetti, origano, sardine salate e olio d’oliva. Si tratta di un alimento che, per il suo alto contenuto nutritivo, da sola può considerarsi un alimento completo.
Essa non è una novità dei giorni d’oggi, come qualcuno vorrebbe far credere, dando nomi doc fantasiosi, ma fa parte della tradizione popolare siciliana.
Nei tempi andati, era consuetudine, ma anche necessità, di fare in quasi tutte le famiglie, il pane in casa. Allora, le bocche da sfamare erano numerose, ed ogni settimana circa si panificava.
Sfornato il pane, si usava preparare il “pani cunzatu” con abbondante olio d’oliva, origano e sale. In altri casi, finito di impastare il pane, c’era la consuetudine di utilizzare parte di quella pasta per fare la “rianata”, come detto sopra. Il profumo indescrivibile ed inebriante sapeva di cose sane ed antiche.

Un’altra scelta poteva essere la pasta fritta: una piccola parte dell’impasto, già pronto per il pane, veniva tagliata a fettine e fritta e condita con zucchero o miele. In tutte e tre le scelte, il preparato era regolarmente condiviso con parenti o con la “cummaredda” della porta accanto.
Condividere le proprie gioie e dolori con amici e parenti, sentire la presenza del calore umano, oggi perduto fra il rumore e la velocità della vita moderna, era una prerogativa della scomparsa civiltà contadina. Quell’atmosfera gioiosa, per la presenza d’altre persone in seno alla famiglia, restava fra i ricordi più duraturi nella mente di chi ha una certa età, esaltando nello stesso tempo, nella memoria, gli episodi più banali.
Il lievito usato per la panificazione era "lu criscenti". Esso si otteneva con pasta lasciata per alcuni giorni ad acidificare e conservata, a forma di panetto, su un piattino o una ciotola, coperto con un tovagliolo inumidito, anche per una settimana.
Il buon gusto del pane dipendeva pure dal tipo di legna usata, quella d’ulivo era la migliore, ma anche “scorci di mennula” (guscio di mandorle) e “nuzzulu” (sansa) andavano bene.
Oggi, fare il pane in casa è diventata un’eccezione, così è andata via anche quella consuetudine di riunire parenti o amici in quell’occasione. Si è rimediato in parte andando a mangiare la pizza alla pizzeria, dove, però, il calore umano, che rinsalda amicizia e parentela, si perde fra la folla degli avventori.
Oggi “la rianata” si trova facilmente nei panifici con il nome di pizza al taglio o “sfincione".
La pizza o focaccia, proviene dal latino “pinsa”, derivato da “pinsere” = schiacciare. Oggi generalmente si consuma in pizzeria, per una cena da trascorrere in allegria con amici e parenti. Si pensa che abbia avuto origine a Napoli. Sicuramente è d’origine meridionale, poiché nella cucina mediterranea dei vecchi tempi esistono focacce simili. Napoli ha avuto la capacità d’averla fatta conoscere a tutto il mondo, come un prodotto tipico locale.