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Nel ricordo di "Totuccia" indimenticato personaggio castelvetranese

di: Vito Marino - del 2014-03-11

Immagine articolo: Nel ricordo di "Totuccia" indimenticato personaggio castelvetranese

Intorno agli anni ’60, il benessere aveva soppiantato quasi a taglio netto la miseria lasciataci come eredità dalla dittatura e dalla II Guerra Mondiale; Castelvetrano si stava riprendendo dalle ferite ricevute, ma era rimasta ancorata alla caratteristica paesana, dove tutti sapevano tutto di tutti. Per questo motivo un proverbio siciliano diceva: “Li mura hannu l’occhi e li troffi hannu l’aricchi”.

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  • L’occhio scrutatore della gente conosceva le persone che uscivano fuori della norma e con un piacere sadico, regalava loro “’na ‘nciuria” (un soprannome). “Totuccia”, per come era chiamato da tutti, era molto conosciuto in paese. Era figlio della natura matrigna che a volte si diverte, come fa la gente, a fare scherzi crudeli. All’anagrafe era maschio, ma i suoi ormoni e il suo cervello funzionavano al femminile.

    Anche il suo corpicino non si allontanava di molto da quello del gentil sesso. Allora, nei nostri paesi non era entrata la cultura del travestito, tuttavia Totuccia, col tempo, aveva acquistato tutte le movenze femminili. Con queste sembianze girava per il paese portando sempre con sé  un cagnolino in braccio o al guinzaglio. Qualcuno provava a fargli la “cucca”, ma lui non era volgare e, stando al gioco con qualche battuta scherzosa, si faceva rispettare.

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  • Al Teatro Selinus, che allora era stato trasformato in cinematografo di infima categoria, i ragazzi “primo pelo” se lo contendevano e lui li faceva felici in qualche angolino oscuro, regalando pure qualche lira. Certamente, qualche decennio prima, durante il regime fascista, non avrebbe potuto esercitare questa sua passione. Infatti, la politica razzista del fascismo italiano contro gli omosessuali, che durò tre anni (dal 1936 al 1939), equiparava gli omosessuali agli ebrei ed ai negri e, come tali, potevano essere sottoposti a metodi repressivi come il pestaggio, l’uso delle classiche bottiglie di olio di ricino, l’ammonizione (una specie di arresto domiciliare) e, principalmente, il confino politico in qualche piccola isola.  

    Il nostro personaggio viveva con la madre in Via Pantaleo in un’abitazione a piano terra, oggi abbandonata che va alla malora. Ufficialmente sarta per signora, la madre teneva casa d’appuntamento; il figlio operava le ambasciate. Durante la guerra, e fino allo sbarco degli alleati (10 luglio 1943), alcune signore benestanti si sentivano onorate di avere acquisito amicizie molto intime con ufficiali dell’esercito.

    Ogni cosa sembrava finita con lo sbarco degli alleati (10 luglio 1943),  ma quelle signore, amanti delle amicizie intime con il sesso forte, sicuri della segretezza che l’organizzazione offriva, frequentavano assiduamente quella casa. Così, mentre gli affari andavano a gonfie vele, un amico di Totuccia, anche lui omosessuale, intrufolandosi negli affari, ha preteso più di quello che valeva.

    Ad un diniego è avvenuta una animata discussione e l’amico, avendo una corpulenta costituzione fisica, affrontò madre e figlio e con una grossa forbice da sarto li uccise entrambi. Volendosi quindi disfare dei cadaveri, li mise dentro un forno esistente nell’abitazione e li fece bruciare assieme a molta legna. La puzza che usciva dalla canna fumaria, attirò l’attenzione dei vicini e dei passanti, che chiamarono le forze dell’ordine.

    Ricordo che i giornali dell’epoca, riportando il fatto di cronaca, descrissero la scena all’incirca così: “Quando le forze dell’ordine hanno bussato con vigore alla porta, si è sentita una voce tutta al femminile che diceva ”. Quella casa sarà ricordata dalla cronaca di allora come la “casa delle bambole” perchè in ogni stanza ed in ogni mobile c’era sempre una bambola che faceva bella mostra di sé. Certamente quella strage, effettuata con fredda determinazione, riportò alla memoria della stampa il libro, dello stesso titolo, di Yaheil Do Nur, deportato ad Auschwitz, alle stragi naziste ed ai relativi forni crematoi. N

    ella casa le forze dell’ordine trovarono “il libro mastro”, un registro con l’elenco delle clienti più affezionate ed assidue, rimasto inedito. La gente subito incominciò a fantasticare, anche sbagliando, additando molte signore per bene come frequentatrici di quella casa.

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