Quando nei matrimoni antichi la "mostra" del corredo era un rito fondamentale
del 2014-03-18
(ph. italianews24.it)
Ai tempi dei nostri nonni (tata granni e mamma granni) otto giorni prima del matrimonio, in casa della futura sposa, si faceva un banchetto, che si poteva considerare un addio al nubilato, a cui partecipavano i parenti più intimi d'ambo le parti.
Nello stesso periodo, essa metteva in bella mostra “la biancheria esposta” (tutto il suo corredo di sposa) per tre giorni. In quell’occasione gli invitati alle nozze portavano i regali e ammiravano la biancheria; a loro si offriva “calia, simenza, noccioline” (semi vari tostati), frutta fresca (la frutta allora era considerata un bene voluttuario) e “rasoliu” (liquore fatto in casa).
La biancheria era tutta lavorata e ricamata a mano, spesso dalla stessa fidanzata; si trattava di veri capolavori artigianali, che facevano parte della dote. Il corredo, che faceva parte della dote, era formato di tovaglie da tavola, lenzuola matrimoniali, asciugamani di lino, scialli, sciallini, grembiuli, vestiti e camicette, inoltre: “causi di tila, bustidda (o bustina), suttana e pacchiana” (mutande, reggiseno, sottana e camicia da notte). Ad eccezione delle persone più povere, il corredo era composto da 12 pezzi per ogni capo di biancheria (biancheria a 12); in più c'erano le coperte, le tende, ecc. Le lenzuola erano orlate a punto a giorno, ricamate e lavorate a traforo.
Alcuni di questi manufatti, fra i più pregiati per qualità e motivi ornamentali, spesse volte non erano usati per tutta la vita oppure occasionalmente in qualche cerimonia, come puerperio o malattia. Gli asciugamani di lino, riccamente lavorati, erano usati solamente, quando si aspettava la visita del medico o di qualche ospite; in quell’occasione, l’asciugamano si appendeva (quasi in bella mostra) alla “vacilera” di ferro battuto, con “vacili” e “cannata” (brocca) di lamiera smaltata, pieni d’acqua. In un passato, che va oltre la mia memoria, la biancheria veniva valutata, ai fini della dote, da due donne di fiducia ed elencata in una “minuta”.
I più poveri, non avendo i soldi per il corredo e per lo sposalizio, adottavano il sistema sbrigativo della "fuitina", cioè scappavano di nascosto (si fa per dire) dei genitori; dopo, seguiva il matrimonio riparatore senza festa. Un proverbio in merito diceva: “Lu fuiri è vriogna, ma è sarvamentu di vita”.
Anche le famiglie benestanti tenevano molto alla loro proprietà e, spesse volte, i matrimoni venivano programmati fra cugini, così la “roba” restava in famiglia.