Quando Castelvetrano ballava con gli Asteroidi. Storia di un gruppo indimenticabile
del 2014-06-04
In foto: Un momento di una esibizione degli Asteroidi
Era il 1964 quando due ragazzini, il primo di quattordici anni e l’altro di quindici, cominciarono il loro percorso di vita accanto alla Dea “Musica”. Il primo, Nino Favara, cercava di rubare alla sua chitarra elettrica, marca Eko a sei corde striata giallo marrone amplificata mediante una piccola radio a valvole, delle sonorità musicalmente gradevoli. In pratica, partendo da zero e in maniera assolutamente autodidattica, fidandosi soltanto dell’innato orecchio musicale, cercava di fare emettere alla chitarra quei suoni che s’avvicinavano il più possibile all’originale copiando i maggiori musicisti di allora.
La stessa cosa abbiamo fatto quasi tutti noi ragazzi del sessant’otto le cui finanze non permettevano ai nostri genitori di procurarci un maestro. L’altro ragazzino, Aido Mangiaracina, studiava invece la chitarra insieme al padre, il maestro Francesco, direttore della locale banda musicale. Aido aveva un fratello, Nicola, che suonava discretamente la fisarmonica, sempre sotto la guida del padre musicista. Il quarto personaggio, di cui mi corre l’obbligo parlare per dare corpo al complesso degli “Asteroidi”, è Enzo Messina.
Egli amava suonare quella che molto lontanamente poteva somigliare a una batteria, poiché era formata da un paio di sedie di legno con il fondo in compensato e per spazzole quelle per pulire gli abiti. Questo era dovuto principalmente alla totale mancanza di pecunia, quindi, ci s’improvvisava su tutto cercando di sfruttare le idee ch’erano la sola cosa che abbondava e che non costava nulla.
L’incontro fra Nino e Aido fu utile a entrambi per rafforzare la loro passione per la musica. Nino, dopo estenuanti ore di studio, imparò a memoria un bel po’ di brani musicali dell’epoca tra cui la famosissima “Apache” degli “Shadows”, uno dei maggiori complessi inglesi dell’epoca, band d’accompagnamento del famoso cantante Cliff Richard. I “The Shadows” prediligevano eseguire dei brani basati principalmente sulla chitarra solista.
A questo punto ai ragazzi venne l’idea e la voglia di formare un gruppo musicale, per emulare i loro beniamini, al quale diedero il nome di “The Ghosts”. Al pianoforte c’era Nicola, il fratello di Aido e cantante solista Benedetto Giaimo, oggi magistrato. Per la verità Nicola già suonava la fisarmonica con un altro complesso, “Gli Azzurri”, ma accettò di buon grado la proposta di Nino e del fratello Aido, anche perché questa nuova formazione gli avrebbe permesso di suonare un tipo di musica più soddisfacente per il suo spirito rockettaro. Il complesso cominciò a provare con strumenti improvvisati a casa di Nino Favara il quale possedeva, almeno, un pianoforte sul quale la sorella studiava.
Cominciava a uscire, nel frattempo, la musica degli scarafaggi di Liverpool, i leggendari “The Beatles” e degli altri gruppi rock d’allora. I ragazzi decisero di seguire questo genere musicale.
Dovettero, chiaramente, provvedere per l’acquisto d’una strumentazione professionale in modo da potersi esibire in maniera decente di fronte a un pubblico pagante. Per l’acquisto delle attrezzature si rivolsero a un noto commerciante di strumenti musicali di Palermo, Angelo Segreto. Pensarono anche di dare un nuovo nome al complesso e Nino propose: “Gli Asteroidi”. Questo perché la tendenza d’allora era di dare dei nomi spaziali ai vari gruppi che si formavano. Nome che lui stesso disegnò come logo utilizzando un pennarello nero sulla pelle lucida frontale della cassa della batteria, una Hollywood Meazzi color rosso marrone.
L’altro problema da risolvere era di trovare qualcuno che sapesse suonare la chitarra basso. Si rivolsero all’amico Mimmo Palma che, per la verità, faceva solo finta di suonarla poiché ancora non aveva imparato. Si era impegnato, comunque, sempre grazie all’aiuto del papà dei fratelli Mangiaracina, per imparare nel più breve tempo possibile, ma non vi riuscì mai. Era Nicola, quindi, che produceva i bassi con l’organo, marca Farfisa modello Fast 5, nel frattempo acquistato in sostituzione del pesantissimo e ingombrante pianoforte verticale.
Successivamente gli “Asteroidi”, nel 1966, ebbero l’opportunità di partecipare a un concorso riservato a quindici gruppi musicali fra i più quotati, provenienti dalla Sicilia e dalla vicina Calabria. Il concorso si svolse a Caltanissetta. Non essendo ancora maggiorenni e, quindi, sprovvisti di patente, per raggiungerla chiesero aiuto a un loro amico, Enzo Vento.
Egli si prestò ben volentieri a guidare il pulmino, un Fiat 850 di colore verde, fino a Caltanissetta. In quell’occasione, occorrendo un vero bassista, si rivolsero a Simone Titone, uno dei pochi che suonava all’epoca la chitarra basso. Egli si presentò al concorso indossando uno smoking nero, poiché sprovvisto della divisa multicolore ufficiale del gruppo non facendone parte stabilmente. Gli “Asteroidi” indossavano solitamente due divise ufficiali, disegnate da Nino Favara e realizzate dai genitori dei fratelli Mangiaracina.
La prima consisteva in: una camicia di color rosso con un merletto nero lungo l’abbottonatura e il collo; i pantaloni stretti a sigaretta, di color nero; i rigorosi stivaletti beatlesiani con il tacchetto e l’elastico laterale. La seconda, per le occasioni importanti, consisteva in un completo di giacca e pantaloni di colore diverso per ogni componente, di sapore vagamente ottocentesco. Simone imparò presto i tre brani che si dovevano presentare al concorso e, alla fine, gli “Asteroidi” furono premiati risultando i primi in assoluto, con qualche mugugno da parte degli organizzatori che avrebbero voluto far vincere un gruppo locale, “I Barabba”. Per Titone quella fu l’unica volta che ebbe l’occasione di suonare con gli “Asteroidi”.
L’anno successivo, ancora sprovvisti di bassista, si rivolsero a Piero Giambruno, detto Peter Pertrony (Partanna inglesizzato, perché proveniva da quel paese), chitarrista che suonava bene anche il basso, che accettò di buon grado. Era il 1967 quando gli “Asteroidi” decisero di coronare il loro sogno di realizzare un disco. Si rivolsero per questo a uno studio di registrazione di Catania.
Il 45 giri che produssero conteneva due brani: “Diana” (da non confondere col più famoso brano di Paul Anka), una cover dei “The Shadows” del 1965 “Mary Anne”, che occupava il lato A, mentre il lato B conteneva il brano “Sesto sincronismo”. Il brano Nicola l’aveva dedicato alla fidanzata Diana Kovaceff che, poi, sposò. Il disco ebbe molto successo, specialmente dalle nostre parti, e catapultò gli “Asteroidi” in una dimensione ben diversa da quella di tutti gli altri complessi di Castelvetrano e dintorni. Per suonare la parte del flauto, previsto nell’arrangiamento del pezzo, si rivolsero a Franco Aramini, affettuosamente chiamato “lu papà”, perché era un po’ più grande degli altri.
Aramini, che oltre al flauto traverso suonava anche il sassofono, da quel momento rimase in pianta stabile con gli “Asteroidi”, almeno fino al 1973. Intanto, dopo la triste esperienza del terremoto nella Valle del Bélice del gennaio 1968, Nino Favara decise di uscire dal gruppo, anche perché iniziava i suoi studi all’Università di Palermo. A questo punto i fratelli Mangiaracina furono costretti a rinnovare l’originaria formazione. Entrarono a farne parte: Zino Calamia al pianoforte, Nicola all’organo, Aido passato nel frattempo al basso elettrico, Vincenzo Messina alla batteria, Piero Giambruno, alla chitarra. Con la nuova formazione, oltre ai soliti matrimoni, iniziarono ad affrontare anche le serate, le feste di piazza, i veglioni di carnevale e le feste degli studenti.
Ricordo i veglioni al circolo “Pirandello”, ma ancor più al circolo “Gioventù” dove tutti i musicisti degli altri complessi ci recavamo dopo aver finito di suonare. Andare ad ascoltare gli “Asteroidi” che continuavano instancabili a far ballare i soci del circolo fin quando una pallida luce dei primi albori non filtrava fra le fessure delle persiane delle finestre dell’ampio salone, era un piacere indefinibile per tutti noi. Questo, in special modo l’ultima delle quattro serate di carnevale e di carnevalone, per permettere a chi resisteva fino alla fine di spostarsi nella vicina Selinunte o Triscina per la rituale classica “’zzabbinata”, colazione a base di seri siero, ricotta e pani nivuru pane nero di Castelvetrano.
Ogni esibizione degli “Asteroidi” diventava un evento. L’abilità tecnica sulla tastiera di Nicola e il dono dell’orecchio assoluto gli permettevano di copiare, nota per nota, tutte le improvvisazioni dei vari Brian Auger (insieme al quale conservo gelosamente alcune foto ricordo), Jimmy Smith, Rhoda Scott e Barbara Dennerlein maghi del famoso organo Hammond, o Eumir Deodato e Bob James maghi del pianoforte elettrico Fender. L’organo Hammond mod. C 2 faceva parte della strumentazione che Francesco Cicciu Palazzo, aveva acquistato e messo a disposizione degli “Asteroidi” diventando, di fatto, il loro manager.
La voce armoniosa e possente di Aido entrava, poi, fin dentro l’anima suscitando emozioni indescrivibilmente magiche. Intorno a loro si formava sempre un gruppo d'aficionados che facevano capannelli estasiati da quella musica così moderna, pervasiva e coinvolgente. Ricordo una sera d’estate del 1968, presso la “Villa del Gattopardo” a Santa Margherita Belìce, quando dovevano esibirsi i “Pooh” reduci dal loro primo successo “Piccola Katy” (lato B del singolo “In silenzio”). Quella sera gli “Asteroidi” erano stati ingaggiati per far loro da supporter.
Eravamo quasi tutti giovani e aspettavamo con ansia l’esibizione di questi nuovi idoli adolescenziali, i “Pooh”. Il repertorio scelto per quell’occasione dagli “Asteroidi”, però, prevalentemente rock (Deep Purple, Led Zeppelin, Uriah Heep etc.), entusiasmò talmente la platea che quasi ci scordammo dei “Pooh”. Addirittura, quando finalmente fu il loro turno, manifestammo un po’ d’entusiasmo solo quando eseguirono “Piccola Katy”. Dopo, a gran voce, abbiamo richiesto gli “Asteroidi”.
Alla fine fummo tutti concordi nel giudicarli certamente più bravi dei “Pooh”, ipotizzando e auspicando un immediato e travolgente successo. Purtroppo per loro, ma forse anche per noi campanilisticamente parlando, non fu così. I “Pooh”, da lì a poco, dapprima con “Tanta voglia di lei”, poi con “Pensiero”, ambedue successi tratti dal loro album “Opera Prima” del 1971, sono diventati il primo gruppo italiano. Io e tanti altri miei colleghi musicisti li abbiamo dovuti rivalutare, nel tempo, dopo che, almeno per quella sera, li abbiamo un po’ snobbati.
Torniamo, comunque, agli “Asteroidi”. Entrarono a far parte del gruppo altri due bravi musicisti locali: Angelo Mazzotta alla tromba e flicorno e Gaspare Aggiato al sax tenore e contralto. La nuova formazione a otto risultava, quindi, composta da: i due fratelli Mangiaracina, Zino Calamia, Vincenzo Messina, Piero Giambruno, Franco Aramini, Angelo Mazzotta e Gaspare Aggiato. Durante questo periodo furono impegnati per un matrimonio a Giuliana.
Gli sposi appartenevano a una famiglia molto agiata e il matrimonio si presentava molto chic, tanto che invece di suonare stando in piedi (Beatles, docet) li fecero suonare rimanendo seduti. Quando, poi, era il momento di fare un assolo, il solista di turno s’alzava a imitazione nelle storiche big bands americane. Gli “Asteroidi”, fra l’altro, si presentavano indossando un’elegante e vistosa divisa e tutto faceva presagire che si sarebbe trattato d’un matrimonio d’èlite. Grande fu il loro stupore quando, a un certo punto della festa, gli sposi cominciarono a passare fra gli invitati distribuendo loro il classico sacchiteddu.
All’interno c’era: calia, simenza, favi caliati e quant’altro appartenente alla tradizione folklorica non certo della cucina siciliana, ma a quella del passatempo e, in ogni caso, risalente almeno a un ventennio prima. Sembrava un delizioso quadretto d’altri tempi. Compresero, poi, che si trattava di una loro vecchia tradizionale usanza. Tradizione o no, agli “Asteroidi” toccò suonare per tutto il pomeriggio rimanendo a pancia vuota.
La calia e la simenza servirono solo per tirarsela addosso mentre suonavano. In quel periodo Zino Calamia, studiava a Palermo insieme ad Aido. Quando avevano un impegno di matrimonio, era quest’ultimo che con la sua cinquecento color rosso fiamma dava un passaggio a Zino, inerpicandosi sulle impervie stradine che si dovevano attraversare in quel periodo per coprire la distanza tra Castelvetrano e Palermo.
Aido, anche per cercare d’arrivare il più presto possibile in sala, procedeva con un’andatura piuttosto sostenuta, istigato anche da Zino. Cosicché un giorno, giunti a S. Ninfa, Aido, abbordando spavaldamente una curva, rischiò d’andare a sbattere frontalmente con un’altra macchina. Guarda caso si trattava di una pattuglia dei carabinieri, la classica “pantera” color grigio verde.
Per fortuna lo scontro fu evitato da un’abile manovra del brigadiere ch’era al volante dell’auto. Non poterono evitare, però, una sonora lavata di capo, accompagnata da una pesante contravvenzione o multa che dir si voglia. In un’altra occasione, invece, dovendo andare a registrare un brano per il progetto di un nuovo 45 giri, si partirono con due auto sempre alla volta di Catania. Giunti a Canicattì si fermarono per rifocillarsi. Era il mese di gennaio e aveva nevicato da poco. Angelo Mazzotta, nel modo di scendere dalla macchina, scivolò e andò a finire pancia a terra su una pozzanghera suscitando l’ilarità dei suoi amici.
Un particolare curioso fu quando il ristoratore corresse il loro Canicattì con Canicatti, senza l’accento. Egli sosteneva che in realtà si pronunciava così, senza l’accento e sembrava che dicesse “cani e gatti - Canicatti”. La registrazione, dopo ore di estenuanti prove, andò benissimo. Purtroppo, però, non se ne fece nulla e a loro rimase soltanto il demo. Al ritorno, pur se stanchissimi per l’estenuante viaggio e per le ripetute prove in sala di registrazione, ebbero ancora voglia per un’ultima goliardata. In pratica Zino, Gaspare Aggiato e Giorgio Kovaceff, a bordo di una delle due auto, avendo guadagnato un po’ di terreno rispetto all’altra, pensarono di fermarsi e di fare uno scherzo agli altri amici che sarebbero sopraggiunti con l’altro mezzo. Sistemata, così, la macchina nascosta nei pressi, improvvisarono una rapina a scopo estorsivo.
Due di loro si gettarono a terra mentre l’altro, utilizzando il cric dell’auto in modo da sembrare la canna di un fucile a pallettoni coprendolo in parte con il proprio corpo, rivolse l’improvvisata arma verso i fantomatici ostaggi. In effetti, quando arrivò l’altra auto, erano le cinque del mattino, il conducente dovette fare una brusca frenata e, per un attimo, temette che stesse succedendo qualcosa di grave. Bastò, comunque, che Zino e Gaspare si mettessero a ridere a crepapelle, per far svanire ogni paura e accettare lo scherzo da prete. Intanto, in sostituzione di Messina, entrò a far parte degli “Asteroidi” colui che diede nuova linfa a tutto il gruppo sperimentando nuove sonorità sia ritmiche sia musicali, Calogero Lilly Rosolia.
Egli era soprannominato “Matapollo” che non era un termine ingiurioso, ma il nome delle stoffe che il padre vendeva prima d’aprire un negozio d’abbigliamento in piazza Principe di Piemonte. In verità si trattava del madapolam, tela di cotone fine e leggera che le donne d’allora utilizzavano per tessere le lenzuola dei corredi che ricamavano. Lilly, l’amico di tutti, è stato (purtroppo è scomparso il 30 novembre 2009), uno dei batteristi più estrosi fra tutti coloro i quali hanno lasciato una traccia del loro percorso musicale castelvetranese.
Ricordo un suo interminabile assolo, durante una delle feste del Liceo Scientifico presso il Cinema Capitol, nell’esecuzione del brano “In a gadda da vida” degli Iron Butterfly, quando faceva andare in visibilio sia noi maschiacci sia tutte le belle ragazze liceali. Un mio carissimo amico, Mariano La Barbera (detto Makumba, storpiatura di Lumumba, primo presidente congo-belga, al quale somigliava per via della lunga e folta barba che portava) anche lui purtroppo non più fra noi, mi ha raccontato, quand’era ancora in vita, che lui, Luigi Bongiorno e Lilly firriavanu giravano con una Fiat 500 ascoltando musica da un mangiadischi Philips.
Il brano che programmavano più frequentemente era “Fortuna” dei Procol Harum. Su questo brano Lilly s’improvvisava batterista e, usando le mani come bacchette, picchiava sulle gambe o sulla plancia della macchina cercando d’andare a tempo seguendo la ritmica della canzone. Cominciava così a gettare le basi, a muovere i suoi primi passi per una, poi, più che generosa carriera di prestigioso batterista.
Un altro amico, Agostino Accardi, mi ha raccontato che all’epoca erano compagni di scuola e che spesso facevano “sicilia”, marinavano la scuola, perché l’amico Lilly doveva andare a suonare. Martedì 27 dicembre 2011, presso il Teatro Selinus di Castelvetrano, è stata organizzata un’indimenticabile serata in suo ricordo (io c’ero) dal titolo “It’s time for jazz: omaggio a Lilly Rosolia” con la partecipazione di Federica Foscari, una grande promessa jazzistica per il mondo della musica a Castelvetrano.
Riporto una parte di un lungo articolo a firma architetto Maria Luigia Dia, Presidente dell’Associazione Cooltour Land, per descrivere meglio Lilly. “………..Il batterista Lilly Rosolia era la personificazione dello stile jazz e dei suoi sottogeneri poiché riusciva, al di là dell’uso d'una tecnica magistrale e di una profonda musicalità nelle sue performance, ad interagire con il pubblico in modo del tutto unico, usando proprio la semplicità prorompente del linguaggio popolare, diretto, gestuale, mimico, costruendo, volta per volta, grandi spettacoli musicali intrisi di continui rimandi storico-musicali alla cultura jazz americana mescolati a vere e proprie sperimentazioni autoctone della cultura musicale italiana (leggibili nello spettacolo omaggio a Fred Buscaglione realizzato con il gruppo “Quelli dal whiskey facile”) e siciliana (visibili nella formula allegra e goliardica dello spettacolo itinerante realizzato con la band “Dixieland Street Parade”).
Insieme ai suoi compagni di “avventure musicali” quali, per citarne alcuni, Giovanni Genovese, Giampiero Lo Piccolo, Tommaso Angileri, Giovanni Mazzarino, l’artista ha compiuto un percorso musicale di grande spessore lasciando un grande vuoto attorno a sé dopo la sua prematura scomparsa. Il periodo natalizio era solito ospitare le sue performance itineranti proprio nella città di Castelvetrano e i suoni, le interazioni vocali, intercalate dalle risate e dalle sue freddure, che come un’eco risuonano tutt’oggi nelle nostre menti, rendono a lui un omaggio perenne che il mondo della cultura, della musica, dello spettacolo e la città di Castelvetrano desiderano rendergli.………..”.
Tornando di nuovo agli “Asteroidi”, a un certo punto della loro carriera, essi pensarono di presentarsi con una mascotte al seguito: il piccolo Francesco Seidita. Questi era un ragazzino biondissimo e molto sveglio, figlio di Vincenzo fotografo molto stimato e apprezzato nell’hinterland castelvetranese.
Dal padre, prematuramente scomparso, Francesco ha ereditato la passione per la fotografia della quale ha fatto la sua professione continuando l’antica tradizione di famiglia. Il piccolo Francesco stava sul palco insieme agli “Asteroidi” con tanto di divisa e, al collo, una piccola chitarra elettrica che fingeva di suonare imitando le movenze tipiche dei musicisti quando si esibiscono. La carriera degli “Asteroidi” è stata molto lunga e diventa quasi impossibile raccontare tutto il loro percorso artistico e musicale.
Un altro episodio curioso della loro aneddotistica che voglio riportare è il seguente. Il 28 luglio del 1978 essi erano impegnati per una serata a Palermo. Nicola, insieme al cognato Giorgio, partirono davanti su un furgone 238 Fiat e dietro a loro Lillo Aspanò, il loro capo-tecnico, su una berlina 1750 Alfa Romeo, con Gino Rizzo, il nuovo batterista che aveva sostituito più che degnamente Lilly, al suo fianco. Dietro si sistemarono: Aido, Bruno Musiari, che nel frattempo era entrato nella formazione in sostituzione di Piero Giambruno, e Diana Kovaceff. Sull’autostrada, all’altezza dei due cavalcavia, fra S.Ninfa e Salemi, a causa dello sbalzo di temperatura dell’asfalto tra l’ingresso alle gallerie e l’uscita, conseguentemente anche a una sostenuta andatura, avvenne lo scoppio di uno pneumatico.
La macchina cominciò a sbandare andando a sbattere ripetutamente ai vari guard-rail dell’autostrada e dopo rocamboleschi urti, alfine, si fermò, per fortuna, senza provocare danni agli occupanti la stessa. A questo punto i ragazzi uscirono dalla macchina, evidentemente molto provati, spaventati e disorientati. Diana aveva perso i sensi.
Aido rimase per alcuni minuti impassibile davanti allo strapiombo del viadotto a guardare giù nel vuoto. Gli altri compagni lo chiamarono, ma lui non rispose. Pensarono che per la paura gli si fosse fuso il cervello. Poi, a un tratto, si avvicinò agli altri chiedendo a tutti il loro peso. Si resero conto che fosse probabilmente impazzito per la paura, ma l’accontentarono ugualmente.
A questo punto Aido asserì: “Se fossimo caduti giù, non ci saremmo fatti niente, poiché il nostro peso corporeo era talmente ben distribuito sulla macchina che questa si sarebbe posata sul fondo senza capovolgersi e, quindi, a noi non sarebbe successo nulla”. In effetti, studiando ingegneria, il suo pensiero, pur in una situazione così tragica, andò al calcolo delle probabilità se quell’avventura avesse avuto un differente epilogo. Naturalmente finì, almeno per quella volta, a risate e avendo recuperato anche Diana che, però, si era persa la scena di eruditismo matematico del futuro cognato Aido, cambiata la ruota della macchina, si rimisero in viaggio.
Nicola fece una bella lavata di capo a Lillo che promise di non correre mai più a quelle alte velocità. Per ironia della sorte Gino Rizzo la fece franca per quella volta, ma gli andò peggio la seconda volta dove, parecchi anni dopo e nello stesso punto, vi lasciò la vita a causa d’un sorpasso azzardato con un autobus. Castelvetrano quel fatidico giorno ha perduto, sia dal lato umano sia dal lato musicale, uno dei suoi figli migliori. Gino era l’amico degli amici, un batterista di cui ci s’innamorava beatificandosi del suo sincero e radioso sorriso. Bravissimo sullo strumento, caratterizzò gli “Asteroidi” col suo modo di suonare duro e incisivo.
Un altro personaggio che è doveroso ricordare e che ha fatto parte per un periodo degli “Asteroidi” è stato Calogero Rapallo, meglio noto come “Caliddu, lu tedescu”. Fu un giorno del 1970 che quel burlone di Giuseppe Ancora, meglio noto come “Peppi funcia” a causa d’una bocca alla Rosa Fumetto (regina del Crazy Horse e ballerina di Pole Dance), ad accorgersi di uno strano tipo di ragazzo, nuovo alla compagnia.
Quel giorno egli sostava davanti la sala giochi “Giancontieri” nella centralissima via Vittorio Emanuele, luogo di ritrovo di quasi tutta la gioventù d’allora e oggi sede di un negozio d’abbigliamento cinese. Peppi funcia, grazie al suo carattere sempre gioviale e scherzoso, lo importunò interrogandolo sul chi fosse, da dove veniva e cosa faceva nella vita. Fu così che scoprì il famosissimo “Caliddu, lu tedescu”.
Faccia tipica di contestatore sessantottino, capelli lunghi, abbigliamento da hippy, era nato a Selinunte ed era emigrato ancora giovanissimo in Germania insieme ai suoi genitori. Qui aveva appreso le tecniche della chitarra diventata sua inseparabile compagna di vita. Ancona lo invitò presso il nuovo studio musicale di via Beati Morti dove abitava Vincenzo Incerto, altro noto chitarrista castelvetranese, per suonare qualcosa assieme. Si accorse immediatamente che davanti a lui si stava esibendo un vero mostro sacro con una tecnica ben più sviluppata rispetto a quella dei musicisti locali, con una preparazione da far invidia al migliore di essi.
Calogero diventò, ben presto, il punto di riferimento di tanti musicisti castelvetranesi e il suo stile di suonare fece scuola fra loro. Fu una perla rara per gli “Asteroidi” che con lui raggiunsero l’apice di un’invidiabile carriera. Per quanto riguarda Peppi Funcia c’è da dire che anche lui si trovava sull’auto insieme a Gino Rizzo nel momento del mortale incidente. Per sua fortuna, pur essendosi procurato dei danni che col tempo ha risolto, è rimasto in vita cercando giorno dopo giorno di dimenticare quella tristissima esperienza. Nel 1982 i fratelli Mangiaracina decisero di porre fine, dopo circa vent’anni d’incredibili evoluzioni musicali, alla meravigliosa avventura degli “Asteroidi” che hanno lasciato un segno indelebile nella storia dei complessi a Castelvetrano.