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Nel ricordo dei musicisti solisti castelvetranesi: da Ascenzio Errante a Giovanni Asaro e non solo

del 2014-08-25

In foto: Giovanni asaro musicista

Accanto a Caravaglios, sicuramente il più prestigioso nome che ha rappresentato il mondo della musica a Castelvetrano, almeno quella bandistica, ci sono stati altrettanto bravi musicisti che, se non hanno raggiunto la sua fama, hanno dato ugualmente lustro alla nostra ridente cittadella. Essi sono vissuti nel periodo a ridosso dell’ultimo conflitto mondiale. La maggior parte è andata a ingrossare la grande “Orchestra del Cielo”, mentre altri ci fanno ancora compagnia nel nostro cammino di speranza.

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  • I PIANISTI

    Calantonio Di Bella era impiegato presso il municipio di Castelvetrano, ufficio stato civile. Egli, con Giovanni Asaro suo strettissimo amico, quando qualcuno si presentava al comune per registrare la nascita di un bambino senza genitori, quindi classificato con la sigla “N.N.”, si adoperava per trovare un cognome da imporre al nascituro inventandosi i nomi più strani. Di Bella, oltre a sapere suonare discretamente il pianoforte, si destreggiava egregiamente anche al contrabbasso che suonava nell’orchestra durante le riviste in programma al Teatro “Selinus”. Il suo posto era all’esterno del nucleo centrale dell’orchestra, vicino l’ingresso che porta sia al palcoscenico sia allo stanzino riservato agli attori. Francesco Asaro, figlio del violinista Giovanni, con Francesco Pizzitola e altri amici, solevano molestare il Di Bella gettandogli addosso, dal loggione, dei semi di ceci. Di Bella innervosendosi li minacciava di vendicarsi rivolgendosi a loro con la frase: “Appena finisciu di sunari, li lignati vi li fazzu nesciri di tutti li naschi” “Appena smetto di suonare vi ammazzo di botte”.

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  • Vincenzo Indelicato, fratello del carissimo professore e scrittore Lolly, oltre a essere stato un eccellente pianista, era anche un poeta e uno scrittore. Nella sua lunga carriera egli fece grandi esperienze pianistiche. Una per tutte quando, durante la guerra del ‘43, accompagnò al pianoforte i cantanti-attori d’una compagnia teatrale formata da prigionieri di guerra degli inglesi deportati nei campi di concentramento in India, allora loro colonia. Lo stesso amava organizzare, in collaborazione con i suoi amici del Circolo degli Universitari, le Riviste Musicali. Passione che ha trasmesso ai suoi due nipoti avvocati Giuseppe ed Elio Indelicato, quest’ultimo peraltro editore del quindicinale “Agave” che sta pubblicando queste pagine di “Storia della Musica a Castelvetrano”. Entrambi, infatti, sono spesso incaricati, dagli attuali studenti dell’ultimo anno dei diversi istituti superiori castelvetranesi, d’organizzare l’annuale Rivista. Questa bella tradizione, per fortuna, non è andata persa e quest’immancabile appuntamento continua a incantare le nuove generazioni, come ha incantato per anni la mia, lasciandoci ricordi indelebili e meravigliosi di momenti di vita vissuti nel divertimento assoluto e nella più nostalgica spensieratezza.

    Rosario Sarino Simanella, fratello di mio padre, è stato il capostipite di tutti i pianisti Simanella tra cui io e altri due miei omonimi cugini. Altri tre, poi, della generazione successiva, tutti diplomati al Conservatorio tra cui: Maria Luisa, Roberto e mio figlio Daniele. Quest’ultimo è l’unico che ha sfruttato il suo titolo, poiché insegna pianoforte presso un Conservatorio di Musica in Normandia. Mio zio Sarino, oramai deceduto, per tanti anni ha ricoperto la carica di Vice Comandante dei Vigili Urbani di Castelvetrano. Durante il tempo libero, quando per un motivo qualsiasi si assentava il titolare, Sarino lo sostituiva, sia al “Cinema Marconi” sia al “Cine Teatro Palme”, suonando il pianoforte durante la proiezione dei film muti d’allora: dei fratelli Lumière, di Ridolini e di Tom Mix, di Charlot e dei fratelli Marx. E’ stato anche un apprezzato giocatore della nostra amata squadra di calcio, la “Folgore”. Spesso lo andavano a trovare i fratelli Gattuso, il baritono Franco e il soprano Grazia. Lu zu Sarinu li accompagnava, naturalmente al pianoforte, mentre loro cantavano le più belle arie da operetta. Mio zio conosceva benissimo tutte le opere e le ascoltava sovente, poiché teneva a casa un’intera collezione di dischi, oggi ancora conservati dai figli.

    Lo ricordo quando, nelle occasioni in cui ci si ritrovava in famiglia attorno a un pianoforte, mi faceva ascoltare alcuni brani del suo vasto repertorio composto principalmente da canzoni napoletane alle quali ero molto interessato per la mia attività di musicista. Per emulare il mandolino, strumento che non può mancare quando si esegue la musica napoletana, utilizzava il pollice e il mignolo della mano destra, ribattendo le note in ottava (tipo il grande Renato Carosone, per intenderci). Osservando la sua tecnica imparai anch’io a usarla e mi fu molto utile negli anni a seguire ogni volta che qualcuno mi richiedeva dei classici brani napoletani.

    Quando le riunioni familiari si svolgevano a casa sua e lui riteneva che giunti a una certa ora si fosse fatto tardi, accennava al pianoforte un famoso brano di Tony Cucchiara che recitava: “…se vuoi andare vai, io non ti fermerò…”. Noi capivamo l’antifona e “toglievamo le tende”.

    Filippo Fifì Ingoglia, suonava il pianoforte durante le riviste che si svolgevano presso il nostro meraviglioso e invidiato Teatro “Selinus”. Era un pianoforte verticale sistemato insieme all’orchestra nel “golfo mistico”, così detto quello spazio sotto il palcoscenico, antistante al proscenio dei teatri dove, per l’appunto, alloggiano le orchestre.

    Luciano Messina. Del nostro beneamato preside ne ho parlato in un precedente articolo.

    Angelo Tommaso, zio del più famoso Giovanni Tommaso, bassista del “Perigeo”, famosissimo gruppo nazionale jazz-rock, e direttore, poi, dell’orchestra di fiati: “Sax Machine”.

    Chiudo l’elenco con Giovanni Montoleone e Giovanni Ingoglia, ambedue eccellenti pianisti dei quali, purtroppo, non possiedo elementi storici da potere riportare.

    I VIOLINISTI

    Ascenzio Errante, padre del mio carissimo amico giornalista Pietro, nostro esimio concittadino. Pietro conserva ancora gelosamente, in un’addobbata vetrina di casa, due violini di ottima fattura appartenuti al papà. Uno di questi è stato un regalo da parte di un soldato americano sbarcato in Sicilia durante la seconda guerra mondiale, Nicholas May. Questi era un eccellente violoncellista che visse per molti anni a Castelvetrano. Con il violino donatogli da May, Ascenzio, anche se in maniera autodidattica, raggiunse ottimi risultati.

    Egli alternava i suoi studi utilizzando anche l'altro violino avuto in dono dal nonno. Una volta acquisita la padronanza dello strumento e una preparazione sufficiente per potersi proporre a un pubblico amante del violino, formò insieme a May, del quale divenne grande amico, un duo di alto spessore artistico. L'attività musicale di Errante si sviluppò nel corso degli anni post-bellici con serate danzanti e canore, ma soprattutto partecipando a funzioni religiose e feste varie (matrimoni nei quali suonava in coppia col celebre organista, monaco cappuccino, padre Arcangelo, di Salemi).

    Ascenzio fu tra i fondatori e per molti anni segretario generale del “Gruppo Sportivo Folgore” di Castelvetrano sulle cui ceneri sarebbe, poi, sorta la “Folgore”, attuale formazione calcistica dal glorioso passato oggi, purtroppo, in decadenza. Per trentacinque anni Ascenzio lavorò all’E.C.A.  l'Ente Comunale di Assistenza, allora sito all’angolo della via IV novembre di fronte al palazzo Hopps. Al figlio Pietro, oltre ai due citati violini, sono rimasti del papà numerosissimi spartiti d’epoca: studi per violino, esercizi di solfeggio e qualche piccola composizione scritta di suo pugno (tutti cimeli conservati gelosamente dal grande significato affettivo).

    Nota la grande melomania di Errante per la musica classica, con una particolare predilezione per la musica lirica.

    Giovanni Asaro, diplomatosi presso il Conservatorio di Musica di Palermo, era figlio di Giuseppe, eccellente clarinettista, diplomato anche lui. Suonava quasi sempre come primo violino con le orchestre che spesso venivano a Castelvetrano per esibirsi in opere e operette presso il nostro Teatro “Selinus”. Era anche nonno di Guido Asaro, bravissimo e notissimo pianista-concertista castelvetranese. Giovanni  aveva l’abitudine d’aspettare che la banda paesana passasse davanti alla sua tabaccheria di piazza Municipio, per sfottere l’allora direttore Ingoglia apostrofandolo: “‘Gnuranti, va ‘nzignati la musica”. Come docente prestava la sua opera presso la “scuola di musica”, che allora funzionava insieme alla “scuola di avviamento”, nel vecchio Palazzo Signorello, sito in fondo alla via XXIV Maggio. Il palazzo fu acquistato negli anni cinquanta dai fratelli Amodio di Palermo.

    Oggi risulta fatiscente, pericolante e sorretto dalle moderne “piramidi” di “cantuna”. Piramidi che si vedono in giro per Castelvetrano a sorreggere importanti monumenti storici, obbrobrio architettonico, artistico e culturale, nonché pericolosi poiché occupano i marciapiedi riservati ai passanti che sono costretti a scendere per strada con tutte le conseguenze del caso. A proposito del Palazzo Signorello, la “Scuola di Avviamento Professionale a Tipo Commerciale” era diretta dalla professoressa Angela Curiale. In essa funzionavano tre classi e alla fine del corso era rilasciata una licenza. Chi, invece, voleva continuare gli studi per arrivare al conseguimento del diploma di ragioniere, poteva frequentare le due classi dell’Istituto Tecnico Commerciale, diretto dalla professoressa Pandolfo e funzionante sempre nella stessa sede del Palazzo Signorello. Le aule erano dislocate al secondo piano, mentre al primo piano alloggiava la famiglia di Giuseppe Lisciandra con la funzione di custode dell’immobile. Nel 1955 nella scuola, in maniera del tutto eccezionale, si svolse una festa di matrimonio. In pratica il Lisciandra mise a disposizione d’una coppia di amici i locali del Palazzo per potervi svolgere la festa.

    Questo perché la coppia non aveva i mezzi finanziari per organizzarne una sufficientemente degna per ricordare una data così importante. In quella “straordinaria” occasione, un duo d’eccezione (si fa per dire) si adoperò per animare la festa. Era formato da Salvatore Chiofalo alla chitarra (conosceva appena due o tre accordi) e da Pippo Rinella alla fisarmonica (che di accordi ne conosceva altri due o tre). Il trattamento, come di consueto per quel periodo, fu a base di: muscardini, tetù, dolci di riposto e rosolio.

    Questo era un liquore fatto in casa con alcool naturale ed essenze di agrumi. I dolci di riposto, invece, erano dei dolcetti di forma rotondeggiante ricoperti di glassa di diversi colori: rosa, celeste, verde. Il duo Chiofalo-Rinella, nonostante la loro modesta preparazione musicale, ma in possesso d’una grande carica di simpatia e d’allegria, erano spesso invitati a delle feste di fidanzamento nelle quali allietavano, come meglio potevano, gli ospiti.

    Gioacchino Italia andava spesso a suonare il violino nelle funzioni religiose che si svolgevano nelle chiese di Castelvetrano: i “Vespri”, le “Messe Solenni” nelle occasioni particolari e le  “Novene” nel periodo natalizio. Anch’io, nella mia lunghissima carriera, ho fatto una bellissima esperienza andando a cantare nelle “Novene” sia in giro per i vari paesi in cui organizzavano questo tipo di manifestazione folklorico-religiosa sia nel presepe di Custonaci nella magica cornice della grotta “Mangiapane” a Borgo Scurati.

    Lo facevo insieme a due cari amici colleghi: Nino Bommarito alla “nzampugna” zampogna e Nicola Muratore alla “ciaramedda” piffero. Italia possedeva a casa un altro violino al cui interno c’era scritto: “1721 Stradivarius facebat” che custodiva gelosamente. Faceva anche parte di orchestre sinfoniche e girava per la Sicilia realizzando molte opere liriche. Quest’esperienza lo ha portato anche a fare l’impresario del Teatro “Selinus” con Leonardo “Nanà” Giardina. Pur avendo imparato in maniera autodidattica, fu un eccellente maestro, tanto che portò fino al diploma il figlio d’un carissimo amico: il giovane Flavio D’Angelo, trasferitosi altrove. Quando Flavio conseguì il diploma di violino, Italia ebbe a fare questa considerazione: “Viri comu sù li cosi. Iu chi fu lu maestru, diploma un’haiu, e iddu chi fu l’allievu ora avi lu diploma”, “Vedi come vanno le cose. Io che sono stato il maestro non ho il diploma, e lui ch’è stato l’allievo adesso ha il diploma”.

    D’Angelo, senza dubbio, fu il migliore allievo di Italia, anche perché avendo lui un carattere “sgorbu” scorbutico, non era facile seguire le sue lezioni. Per una sua nipote acquisita, la signora Ampolilla già sua allieva, ha fatto di tutto perché rinunciasse allo studio del violino. Secondo lui la signora, allora signorina, ma non più ragazzina, strutturalmente non era adatta a uno studio che potesse produrre effetti concretamente accettabili. Sempre a causa di questo suo innato carattere da bisbetico (non domato), quando qualcuno lo invitava per qualche impegno musicale, non rispondeva mai di sì alla prima richiesta.

    Bastava, però, insistere un po’ e alla fine si faceva convincere. Ancora un altro caso, per volere simpaticamente scimmiottare questo grande maestro col suo particolare carattere introverso e solitario, è che non gradiva mai alcuna compagnia o distrazione dovuta a riunioni familiari in occasione di festività e ricorrenze. Addirittura, quando non ne poteva fare a meno, esortava la Divina Provvidenza a manifestarsi negativamente con, a esempio, un bell’acquazzone per far fallire l’appuntamento e guastare la festa. Ne so qualcosa avendo vissuto direttamente simili esperienze con quella “simpaticona” di mia moglie.

    Francesco Mandina era un abile liutaio. Costruiva e firmava i suoi violini, oggi ricercatissimi, che ha esportato anche in America e, per questo, citato nei libri di liuteria moderna. Nel mese di settembre del 1929, gli fu conferito il diploma d’onore. L’occasione fu la “Mostra delle piccole industrie d’artigianato e prodotti d’esportazione della Sicilia e Calabria” tenutasi a Catania. Mandina non si limitava soltanto alla liuteria. Nel suo laboratorio, sito in fondo alla via Garibaldi, costruiva anche biciclette che regolarmente firmava. Oggi quei locali sono di proprietà del maestro scenografo Guglielmo Barbaresi, sposato con la nostra bravissima violinista Maria Teresa Clemente, diplomatasi al conservatorio “A. Scontrino” di Trapani. Insieme, piano e violino, abbiamo allietato tante feste di matrimonio, suonando anche durante la cerimonia nuziale. Maria Teresa, quando va a suonare, utilizza uno dei violini costruiti da Mandina quasi a volerne rievocare l’antica arte. Mandina era persona facoltosa (nella sua carta d’identità, alla voce professione, c’è scritto: possidente). Fu lo stesso che insegnò a suonare il violino alla figlia Maria Luisa, chiamata anche Gina, che diventò più brava del padre e avviò una scuola di musica che le permise di vivere, serenamente, la sua vita.

    Questa serenità, i coniugi Barbaresi, sono convinti sia stata loro tramandata anche perché un hobby del Mandina era di studiare tutti i fenomeni legati all’occulto. Nella casa sono ancora conservati parecchi volumi riguardanti l’argomento. Non è retorica dire e pensare che in qualche modo la vita di Guglielmo e Maria Teresa sia stata da sempre influenzata dalla presenza benefica dei Mandina, padre e figlia. Tanto ne è, che in quella casa si continua a respirare il loro tenore di vita. Maria Teresa, infatti, è lì, come Maria Luisa, che suona, dà lezioni di violino ai suoi allievi e vive, anche lei serenamente, la sua vita. Nel periodo in cui è vissuto Mandina, c’era una simpatica rivalità fra i violinisti che si manifestava, a esempio, in chi aveva più impegni di lavoro nel periodo natalizio. Era uso, infatti, che alcuni di essi, fra i più bravi, andassero a suonare, di prima mattina, nelle varie chiese paesane la “Ninnaredda” durante le “novene natalizie”.

    Paolo Sorrentino, oltre alla passione per la musica che dimostrava quando si metteva il violino nelle mani, era appassionato anche di bicicletta. Quand’era giovane partecipava a tutte le gare che la Federazione organizzava sia a Castelvetrano sia in altri paesi della Sicilia. Un giorno, però, la sua cattiva sorte lo attendeva inesorabile. Mentre passeggiava con la sua inseparabile bicicletta, cadde andando a sbattere violentemente la testa contro un grosso masso. D’allora perse l’uso del braccio sinistro e di conseguenza la possibilità di continuare a suonare il violino. Rassegnatosi al suo triste destino creò, insieme all’amico Alberto Casesi (Bertu lu scarparu – poeta dialettale castelvetranese), l’“Unione Velocipedistica” di Castelvetrano con la quale organizzavano gare ciclistiche in città e fuori città insieme ad altre società. Casesi aveva una bottega di calzolaio nella via Mazzini, angolo con la via Rocco Pirri, oggi sede del negozio di articoli funerari della ditta Santangelo. Il direttore sportivo della squadra di Castelvetrano, rappresentata da mio fratello Giacomo, da Salvatore Abate e da Giuseppe Pernice per indicare i più rappresentativi, era Italo Sciortino, grande appassionato di ciclismo.

    Dopo qualche anno, però, per controversie interne alla direzione, la società si divise. Casesi per l’occasione, dedicò a Sorrentino questa poesia dal titolo “LU SPORTIVU DI CASTEDDUVITRANU”, che così recitava: CONSA E AFFITTA BICICLETTI/‘NTA UN PIRTUSU DI PUTIA/MANCIA, VIVI E SI DIVERTI/ E OGNI TANTU STRULLICHIA/CHI BEDD’OMU VERU ATTIVU/‘NZIGNA A TUTTI LA CHITARRA/L’ACCUNTENTA CU LU SONU/ DI CHITARRA E MANDULINU/SUGNU SEMPRI LU SPORTIVU/ MENTRI CANTU, MANCIU E BIVU/ PICCIUTTEDDI A LU SO LATU/ LI VIDITI A FROTTA A FROTTA/ IDDI SUNNU ‘NNAMMURATI/DI STU CELIBRI PICCIOTTU/ SI SSU MASCULI UN CI FA NENTI/ E LI RISPETTA VERAMENTI/OGNI TANTU CANCIA TONU/“PIGGHIA DO” CI DICI A NINU/E NINUZZU LESTU LESTU/CI RISPUNNI CANCIU PRESTU/AVI UN CIRCULU SPORTIVU/CHI FINISCI SEMPRI A SCIARRIA/E MISCHINU ‘NTA LI VUCI/SI RASSEGNA LA SO CRUCI. “Lu ‘zu Paolo”, per com’era affettuosamente chiamato da tutti coloro che lo conoscevano, fu così costretto a vivere tutta la sua vita in una piccola officina di riparazione di biciclette in via Minghetti trasferita, poi, nella via Mannone dove tanti giovani sportivi, amanti del mezzo a due ruote, l’andavano a trovare.

    Anche tanti musicisti in erba si recavano da lui che, in maniera assolutamente gratuita, cercava di aiutare i neofiti a fare suonare la loro chitarra o la pianola, una grossa diamonica con ventola ad alimentazione elettrica. Mio fratello Giacomo, anche lui amante di bicicletta e appassionato di musica, trascorreva tutto il suo tempo libero presso don (in senso di rispetto) Paolino. Qui, oltre ad avere un amico che lo consigliava su come affrontare le gare ciclistiche e superare le avversità che spesso si presentavano, trovò una persona che lo aiutò a imparare a suonare la pianola.

    Così, dopo poco tempo, fu in grado di eseguire discretamente la celeberrima e difficilissima mazurka variata di “Migliavacca”, dal nome dell’autore Augusto Migliavacca. Purtroppo anche mio fratello, a distanza di tempo, subì la stessa sorte, e anche peggio, “di lu zu Paolo”. Trasferitosi in Canada, un giorno, mentre passeggiava con la sua bicicletta da corsa dopo che da anni non la toccava più e la teneva appesa al classico chiodo, un’accidentale caduta gli procurò la frattura di due vertebre cervicali che lo ha costretto a una situazione di tetraplegia. Oggi vive ricoverato in un istituto assistenziale di Montréal, dove si prendono cura di lui.

    Tornando a Paolo Sorrentino, la malasorte lo accompagnò sino alla fine. A causa d’un corto circuito a una coperta elettrica che aveva lasciato accesa per difendersi dal freddo, nonostante il pronto intervento dei Vigili del Fuoco, fu trovato arso vivo senza che nessuno ha potuto fare nulla per salvargli la vita. Riposa in pace nel ricordo di tanti suoi amici estimatori che non lo hanno, di certo, dimenticato.  

    Francesco Binaggia, era solito suonare nelle cerimonie nuziali alle quali era chiamato per eseguire la famosa “Ave Maria” di Schubert, quella di Gounoud e le due marce nuziali di Schubert e di Mendelsson. Lo invitai a suonare da solo col suo magico violino ai funerali del mio fraterno amico e compagno di liceo, Ninni Ruggeri, eccezionale chitarrista di Menfi morto prematuramente. Le note tristi del violino suonato da Binaggia riecheggiano ancora nella mia mente che non ha voluto accettare un fatto così gravemente luttuoso della mia vita.

    Rosario Saro Lentini, che suonò anche con la direzione del grande Arturo Toscanini alla “Carnesh Hall” di New York. Chiudo con Giuseppe Rizzo.

    I CLARINETTISTI

    Pietro Corseri, nonno e bisnonno rispettivamente del mio carissimo amico Leonardo e di suo figlio, Vincenzo, era un musicista appassionato di melodramma. Pietro è vissuto a cavallo fra l’Otto e il Novecento, essendo nato a Castelvetrano nel 1874. Sposò donna Benvenuta Romano (di famiglia “civile” e, perciò, superiore alla sua) dalla quale ebbe quattro figli. Viveva creando calzature per uomini e donne che realizzava nella sua bottega di via Garibaldi, poco distante dalla sua abitazione. Egli forniva anche il cuoio agli altri calzolai, di Castelvetrano e dintorni, che ne avevano bisogno.

    L’altra sua passione era la politica per la quale spesso si sistemava nella vicina piazza Garibaldi per fare degli appassionati comizi, conditi da veementi invettive, specie quando affrontava i vari problemi che toccavano da vicino i cittadini. Egli era molto noto a Castelvetrano e, nel suo laboratorio, riceveva di frequente anche uomini illustri come il famoso storico e letterato castelvetranese Virgilio Titone, grande amico di famiglia.

    A Titone è stato intitolato l’Archivio Storico del comune di Castelvetrano e il locale Istituto Alberghiero. Autore di numerosissime opere tra cui tanti saggi, scritti letterari e diari, ebbe a parlare anche dell’amico Corseri, del suo negozio di calzature e di tutte le attività che si svolgevano nella via Garibaldi, in un suo racconto intitolato “La Strada” (oggi pubblicato in: Virgilio Titone “Racconti”, a cura di Lucio Zinna, ed. Novecento, Palermo 1999). Tutte le volte che Titone veniva a Castelvetrano non poteva non passare a trovare l’amico Corseri con il quale disquisiva di svariati argomenti sia di politica sia di storia e di filosofia. Gli piaceva anche ascoltare alcuni versi della “Divina Commedia” della quale “don Pietrino” (come l’amico Virgilio affettuosamente lo chiamava) conosceva interi canti, che recitava a memoria, con religiosa venerazione, davanti a un pubblico d’amici, ma anche di occasionali passanti. Versi che, poi, erano regolarmente commentati.

    La bottega era anche un ritrovo di appassionati di musica operistica, poiché don Pietrino era anche un bravissimo suonatore di clarinetto e conosceva a menadito quasi tutte le opere più famose di quel periodo sia musicalmente sia oralmente. In alcune fredde sere d’inverno, alla luce fioca emessa da un modesto lume a petrolio e fra l’odore acre di consumati sigari, gli amici gli facevano le loro richieste e lui li accontentava chiedendo: “la vuliti sentiri sunata o recitata?”, “Volete che ve la faccia sentire suonata o recitata?”.

    Se la risposta era “sunata”, lui prendeva il clarinetto e disinvoltamente li accontentava. Se, invece, la richiesta era per la recita, con altrettanta disinvoltura, si sistemava su una base rialzata e cominciava a recitare con la verve di un consumato attore. Corseri eseguiva al clarinetto alcune fra le più belle arie d’opera. Se, poi, c’era qualcuno che sapeva anche cantare quelle arie, lui si limitava ad arricchire l’esecuzione canora con degli interventi musicali mirati e opportuni per una migliore godibilità delle stesse. Il clarinetto esiste ancora ed è conservato con cura dal nipote Leonardo. Un giorno Pietro chiese a un suo amico, possessore di una moto dell’epoca con trasmissione a cinghia di cuoio, il permesso di guidare il mezzo per fare un breve giro. L’amico acconsentì.

    Così, partendo da via Garibaldi davanti alla sua bottega, scendendola tutta fino all’“arco dell’Immacolata” e salendo dalla via Denaro, si rimetteva nella via Garibaldi. Fatto, però, il primo giro, gli amici lo videro ripassare senza fermarsi. Pensarono che Pietro si volesse fare un altro giro, ma quando questi diventarono diversi e non si fermava, cominciarono tutti a preoccuparsi. In effetti, egli avrebbe voluto fermarsi, ma non sapeva come fare, poiché non conosceva il funzionamento dei freni della moto. In pratica, pur gridando agli amici a ogni giro di aiutarlo a fermare quel diventato infernale mezzo a due ruote essi, nei pochi istanti in cui passava in velocità, non capivano cosa stesse dicendo. Alla fine si fermò soltanto quando finì la benzina.

    Di lui si racconta ch’era un tipo molto irascibile. Fumava i famosi sigari toscani che comprava presso la tabaccheria del signor Civili, meglio nota come “lu civili” proprio dal cognome del proprietario, di via Garibaldi. Quest’ultimo, conoscendo il carattere irascibile di Don Pietrino, si divertiva a farlo arrabbiare. Ogni tanto provava a rifilargli il mezzo toscano, che era solito comprare, ma non di buona marca. Don Pietrino, ch’era un esperto di sigari, arguiva l’inganno e cominciava a imprecare facendo, però, il gioco del Civili.

    Quando la bottega di calzolaio cominciò a non rendere a sufficienza per mantenere tutta la famiglia, la signora Benvenuta si adoperò per trasformarla in una sartoria, impegnandosi in prima persona. Le cose, però, non andarono bene, così tentarono - in un altro antico locale, sempre in via Garibaldi – di avviare un forno. Anche questa volta, però, non ebbero fortuna.

    Fu, in seguito, uno dei quattro figli, Vincenzo, papà di Leonardo, a utilizzare quei locali per ben quarant’anni, con delle attività commerciali. Egli vendette dapprima le radio d’allora e alcuni strumenti musicali e, poi, tutta una gamma di elettrodomestici. Siamo negli anni che precedettero la seconda guerra mondiale. Quando l’allora capo del governo italiano, Benito Mussolini, parlò agli italiani alla radio per annunciare l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Inghilterra e la Francia, a fianco della Germania di Hitler, Vincenzo prese una radio a onde medio-corte e la montò su un tavolo posto al centro della piazza Garibaldi. Qui molta gente s’era riunita per ascoltare la voce del Duce. Fu proprio Mussolini, nel 1940, con una semplice comunicazione, a fare espropriare tutto il mandorleto che i Corseri possedevano in contrada Fontanelle, per farvi costruire un aeroporto militare, localmente noto come “campo d’aviazione”, (oggi completamente abbandonato). Mussolini in persona venne a Castelvetrano per fare un sopralluogo e a niente valsero le rivendicazioni di Don Pietrino.

    Egli, che già soffriva di pressione alta, si prese un tale dispiacere che gli provocò un ictus cerebrale con conseguente paresi. A causa di questa grave malattia, fu costretto a interrompere la sua attività commerciale, abbandonando per sempre anche le sue due grandi passioni: la politica e la musica. Questa drammatica situazione lo portò, ben presto, alla morte. Anche perché i referenti locali del “regime” non lo avevano avvisato per tempo dell’esproprio.

    Così, un bel mattino, arrivarono le ruspe che cominciarono a sradicare tutto il mandorleto, rimuovendo copiosamente la terra. Per l’esproprio del terreno, cinque tumuli che aveva acquistato con tanti sacrifici, a don Pietrino furono fatte recapitare due Polizze Fruttifere per un importo pari a diecimila lire, d’allora, emesse in data 20 novembre 1940 dalla Cassa Depositi e Prestiti di Trapani. Questo avvenne dopo circa un anno, cioè dopo che l’aeroporto era stato ultimato.

    Corseri non accettò mai quello che riteneva un obolo, inadeguato al reale valore della terra. Anche perché per lui s’era trattato d’un vero e proprio furto, un abuso di “regime”. A tutt’oggi, nonostante la somma sia ancora disponibile, gli eredi la rifiutano anche perché per la direzione della Cassa Depositi e Prestiti quella cifra non è stata rivalutata nel tempo e, quindi, rimane ancora a disposizione degli eredi, ma solo per lo stesso valore d’allora.

    I  FISARMONICISTI

    Nicola Cocò Vivona è stato il fondatore, insieme al fratello Salvatore, della famosa omonima pasticceria che ancora oggi, grazie ai nipoti Nicola e Francesco figli di Salvatore, è una fra le migliori produttrici di dolciumi di tutta la provincia di Trapani. Lu zu Cocò, come affettuosamente lo chiamavamo tutti quelli che gli volevamo bene, oltre alla fisarmonica suonava benissimo anche il mandolino. Intervallava i due strumenti quando, insieme a Oreste Gattuso, chitarrista e mandolinista, andavano a fare le serenate alle belle ragazze d’allora. Serenate che riecheggiano ancora oggi nel cuore di tante donne oramai giunte all’ultimo tratto del loro cammino, almeno per chi c’è ancora. La prima pasticceria Vivona fu aperta nella stretta via Biagio Militello. Nelle calde e tranquille sere d’estate, i fratelli Vivona sistemavano dei tavolinetti all’esterno della pasticceria dove i clienti erano soliti consumare del gelato a pezzi duri di forma triangolare. Ricordo ch’era un dolce che sia io sia i miei fratelli gradivamo moltissimo quando il mio buon padre ci portava fuori a gustare un bel gelato.

    Attiguo alla pasticceria funzionava anche un piccolo ristorante nel quale lavorava da ragazzo Giovanni Santangelo, l’attuale proprietario della trattoria “da Giovanni” di via Milazzo. Nella pasticceria, invece, collaborava il mio carissimo amico Mimmo Palminteri che, in seguito, ha aperto una sua pasticceria in via Denaro e, più di recente, un’altra a Triscina. Dopo la morte di lu zu Cocò, il fratello Salvatore ha continuato l’antica tradizione di famiglia, per ancora un bel po’ di anni, nella nuova sede di via Crispi.  

    Filippo Piazza è sicuramente uno dei migliori fisarmonicisti la cui indiscussa abilità tecnica è risaputa. Meglio conosciuto come l’infermiere Piazza, oggi pensionato, ha preferito per tutto il suo percorso artistico suonare da solo disdegnando di fare parte di complessi od orchestre varie. Decisione legittima che ne ha fatto quasi un’icona fra i musicisti castelvetranesi. Fra le sue tante esibizioni ci fu quella presso Long Island, a New York, in occasione del matrimonio d’una nipote, ivi residente. Una tipicità di quegli anni era suonare la fisarmonica sui treni che coprivano le distanze fra Castelvetrano con Trapani e Castelvetrano con Palermo. Il maestro Piazza si divertiva a intrattenere i fortunati viaggiatori con i suoi impegnativi virtuosismi.

    Lorenzo Giancontieri, mio carissimo amico d’infanzia. Lo annovero fra i musicista solisti, avendo deciso di non far parte né di orchestrine né di complessi. Lo ricordo quando all’azione cattolica della parrocchia di San Francesco di Paola, accompagnava dal vivo e con la sola fisarmonica noi, piccoli cantanti, che ci esibivamo durante dei mini festival ch’erano organizzati presso il teatrino della stessa parrocchia. Non posso dimenticare la brutta figura che ho fatto allora quando, nel lontano 1967, volendo interpretare “Io tu e le rose”, canzone presentata da Orietta Berti al Festival di Sanremo di quell’anno, e non avendo avuto il tempo d’impararla bene, stonai vistosamente suscitando l’ilarità di tanti miei piccoli coetanei, maschietti e femminucce.

    Mio fratello Giacomo, invece, in quell’occasione cantò “Ogni volta”, brano presentato da Paul Anka al Festival di Sanremo del 1964. Siccome la cantava sempre, la interpretò così bene che vinse quel mini festival. Un paio d'anni fa ho trovato il 45 giri originale in una bancarella di uno di quei mercatini rionali in cui si trova di tutto, l’ho comprato e gliel’ho fatto avere in Canada. Lui si è molto emozionato, anche perché nel testo della canzone ci sono tante similitudini con la sua storia personale (vedi storia violinista Paolo Sorrentino). Sembrerebbe come se egli, sin da ragazzino, avesse cominciato ad asfaltare la strada a un destino che è stato molto crudele nei suoi confronti. Da considerare, fra l'altro, che Paul Anka era un cantante canadese. Tornando a Lorenzo, da molti anni oramai si è trasferito a Catania. Lo incontro con immenso piacere il due di novembre di ogni anno al cimitero di Castelvetrano dove, per la commemorazione dei defunti, viene a fare visita ai suoi cari.

    I  MANDOLINISTI.

    I mandolinisti castelvetranesi, in rapida sequenza, sono stati: Carlo Cascio, padre del nostro ex-sindaco Giovanni Cascio; Calogero Caliddu Ancona, zio del nostro amato Preside Giuseppe Ancona; Francesco Lombardo il cui cavallo di battaglia era: “Orrait, sugnu un re di nait, che ci posso far”; Vincenzo Scarpinati che suonava anche il pianoforte presso il Dopolavoro Ferroviario di Castelvetrano; Antonino e Giuseppe Cipolla, padre e figlio, la cui memoria musicale oggi è resa viva da Giovanni Cipolla; Paolo Cammarata, ex sacrista della Chiesa Madre; Domenico Mimì Triolo e Giovanni Giammarinaro.

    CANTANTI

    Vincenzo De Pasquale 

    Il mio carissimo amico Enzuccio è stato un compagno prezioso di tante serate trascorse all’insegna del più puro e spassoso divertimento. Un personaggio molto singolare in una Castelvetrano che pulsa di voglia di spensieratezza che solo Vincenzo può garantire. E’ più noto col soprannome di “Spagnoletta”, o “Bobbynette” alla francese, per via di un negozio di merceria che ha gestito fino a pochi anni orsono nella via Crispi. De Pasquale ha da sempre vantato un repertorio pressoché infinito di canzoni che partono dagli anni ’30 fino ad arrivare agli anni ’90. Esso è così vasto che lui stesso non è in grado di sapere quante ne conosce delle quali, peraltro, ricorda a memoria tutti i testi.

    Lo si vede spesso ospite in casa di privati che l’invitano a intrattenere gl’invitati con le sue canzoni cantate, ma ancor più interpretate, in modo da coinvolgere tutti. Le sue vittime preferite sono le gentili signore, che rimangono estasiate dal suo stile artistico per mezzo del quale riesce a sedurle con le sue allusioni e i suoi ammiccamenti. Enzuccio, molto amato da tutti noi suoi compaesani, è considerato un vero e proprio menestrello, un giullare popolano, un cantante “a preu”, a piacere come lui stesso si autodefinisce. Una sera di qualche anno fa, si trovò ad animare una cena fra amici che si svolse presso il “Lido Azzurro” di Selinunte. Lido di cui è proprietario Gaspare Giglio da tutti, meglio noto, come Jojò. Questo a causa della sua camminatura un po’ dondolante dovuta al fatto che da bambino ha contratto la poliomielite, una grave malattia che in quel periodo ha colpito molti ragazzini e dalla quale, per fortuna, tanti sono riusciti con le cure più appropriate a uscirne ritornando a una vita normale e serena. Così è stato, per fortuna, per il nostro Gaspare che di Jojò gli è rimasto soltanto il soprannome da lui, peraltro, orgogliosamente vantato. 

    Nella compagnia di amici di quella cena c’era anche il mio caro amico Gaspare Aiello, alias “cocciu d’aremi”. “Spagnoletta” intratteneva i conviviali con delle belle melodie che pescava nella sua capiente memoria. Proprio quella sera, a un tavolo posto in fondo al ristorante, c’era seduto il famoso scrittore Luciano De Crescenzo. Questi rimase quasi tutto il tempo ad ascoltare e osservare “Bobbynette”, le sue canzoni e le sue performance, ma senza rivolgere alcun cenno di gradimento (applauso e quant’altro). A un certo punto, però, all’ennesimo brano di De Pasquale, Luciano si alzò, si avvicinò al tavolo dov’erano seduti i nostri amici e, dopo essersi complimentato con “Spagnoletta” per la sua duttilità artistica e l’enciclopedico repertorio, chiese il permesso di rimanere insieme a loro.

    Gaspare e gli altri gli risposero ch’erano lusingati di poter condividere la serata con un personaggio così famoso e amato dal pubblico. Così De Crescenzo si accomodò e trascorse il resto della serata partecipando attivamente al canto e divertendosi come un matto. “Bobbynette”, nelle serate in cui era invitato, soleva farsi accompagnare da un chitarrista o da un pianista. Il chitarrista solitamente era Michele Indelicato. Insieme, negli anni sessanta, andavano spesso ad allietare le serate con gli amici alla “Stella Marina” di Triscina.

    Era un bar, noto anche come “Bar la bionda” per via delle tre figlie del proprietario Ingargiola, tutte con i capelli biondi, sorelle del mio carissimo amico Vincenzo che ci ha lasciato, purtroppo, prematuramente. Un altro musicista con il quale “Bobbynette” andava a fare delle feste di matrimonio e delle serate varie era il mio carissimo amico, bravo collega pianista, Pietro Piazza di Sciacca. 

     P.S. Sicuramente avrò dimenticato tanti altri pregevoli colleghi musicisti che sarebbe stato doveroso menzionare. Per chi non l’ho fatto mi scuso con sincera contrizione. Alcuni saranno menzionati negli articoli che seguiranno, poiché hanno fatto parte di gruppi musicali castelvetranesi e in questa pagina di storia, ho parlato solo di quelli che, invece, hanno preferito suonare da soli.

    Purtroppo, per quanto uno come me presuntuosamente si sforzi di recuperare tutto ciò che la memoria collettiva ha conservato nei suoi meandri cerebrali, diventa davvero impossibile non trascurare qualcuno. Mi appello a tutti quelli che possono fornirmi altre informazioni, di mettersi in contatto con me al fine di potere integrare le vostre storie con il materiale in mio possesso. Questo perché possiamo, alla fine di questo meraviglioso cammino, scrivere una pagina di storia da lasciare ai posteri che ne faranno l’uso che riterranno più opportuno.

    Ringrazio tutti e aspetto speranzoso il materiale che vorrete fornirmi per una più completa ricostruzione della “Storia della musica a Castelvetrano”.

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