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Storia dei gruppi castelvetranesi: da “Li Piricudda” ai “I Pilos” che suonavano per "Maria la pazza"

del 2014-09-02

Immagine articolo: Storia dei gruppi castelvetranesi: da “Li Piricudda” ai “I Pilos” che suonavano per "Maria la pazza"

Continuando il viaggio nella storia della musica a Castelvetrano racconterò, adesso, l’attività dei complessi che si sono formati nel periodo prima e dopo l’ultimo conflitto mondiale. Ci proverò scusandomi se commetterò degli errori, se dimenticherò qualcuno o se userò dei soprannomi che magari potrebbero provocare suscettibilità in chi vi si rivede.

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  • D’altronde quello che riporto è ciò che mi è stato raccontato dagli stessi protagonisti di questo meraviglioso viaggio a ritroso nella storia. Tutto quello che ha fatto parte di quel mondo, ritengo sia interessante, al di là dal fatto che possa suscitare forme d’ilarità.

    La prima orchestra che si formò a Castelvetrano, nel 1942, si chiamò “Aggregazione Esposito” ed era composta da Paolo Esposito alla batteria (allora la chiamavano “azbanna”, traduzione popolare di yazz band), Audenzio Errante al violino, Antonino Pizzolato al sax e clarinetto, Domenico Triolo alla chitarra e banjo, Matteo Ancona alla chitarra accompagnamento.

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  • Ne fecero parte anche due elementi di Pantelleria: Salvatore Guttadoro alla chitarra solista (la suonava anche utilizzando una bottiglietta di succo di frutta come plettro per simulare il suono della chitarra hawiana) e un certo Castro alla fisarmonica. Esposito e i suoi continuarono a suonare anche durante la guerra, nascostamente, in feste private.

    Dal ’48 in poi, invece, poterono riprendere a pieno titolo la loro attività di musicisti. Si esibivano, solitamente, davanti l’“Extrabar” dei fratelli Ferraro in via Vittorio Emanuele, a fianco quella che fu la sala biliardi di lu zu Lorenzu Giancontieri, oggi sede d’un negozio d’abbigliamento gestito da cinesi. Un altro posto dove si sistemavano per fare ascoltare la loro musica era in piazza Garibaldi davanti l’attuale sede della Banca di Credito Cooperativo “G. Toniolo”.

    Qui i fratelli Nicola e Salvatore Vivona, proprietari dell'omonima famosa pasticceria ubicata nella vicina via Biagio Militello, sistemavano dei tavolinetti nella piazzetta di sotto alla quale, in quel periodo, funzionavano i bagni pubblici. Nella stessa piazzetta da qualche anno è stata posta una statua commemorativa dedicata al nostro esimio concittadino, il filosofo e storico Giovanni Gentile.

    Di lui ricordiamo la famosa omonima riforma scolastica del 1923, quando ricopriva la carica di ministro dell'istruzione del governo di Mussolini. Riforma con la quale molte generazioni si sono formate, visto ch'è rimasta in vigore fino all'anno 1962. Per la storia, Giovanni Gentile è stato assassinato a Firenze nel 1944, davanti il cancello di casa, per mano dell'eroico (l'amministrazione del comune di Firenze gli ha titolato una strada), partigiano Bruno Fanciullacci, responsabile del G.A.P. Gruppo di Azione Patriottica. Esposito, per attirare gente che si sedesse ai tavoli, escogitò quello che in Giappone, molti anni dopo, fu chiamato “Karaoke” e che Fiorello portò in Italia.

    In pratica invitò alcuni ragazzi, che sostavano davanti la sua orchestra ad ascoltare, a esibirsi. Risposero all’invito Rosario Sarino Di Bella che cantò “Tico Tico” e Salvatore Totò Chiofalo che cantò “Brasilena”. L’idea si rivelò molto intelligente, tanto che tutti i sabato i tavolini del bar si riempivano di curiosi. Fra l’altro si presentarono a cantare diversi ragazzi e ragazze accompagnati da familiari, parenti e amici, tutti potenziali clienti dei Vivona.

    A tutti quelli che si esibivano la direzione del bar, offriva un rinfresco. Un altro posto in cui si sistemava il gruppo di Esposito per suonare era poco più avanti, accanto al Teatro “Selinus”, oggi sede della farmacia Rizzuto. All'epoca, negli stessi locali, c’era la pasticceria dei fratelli Garofalo.

    Di fronte, invece, nei locali che ospitano la cartolibreria della mia carissima amica Antonella Craparotta, c’era il “Bar del Sole” dei fratelli Nicola e Giovanni Li Causi, rispettivamente papà e zio del mio affezionatissimo amico onorevole Vito Li Causi. Paolo Esposito formò anche un trio, “I maghi del jazz”, composto dallo stesso e da due elementi della sua “Aggregazione”: Salvatore Guttadoro e Castro.

    Essi, quando andavano a suonare, si presentavano provvisti di poster personali per dimostrare la loro professionalità. Con questa formazione andarono a suonare per un mese intero anche a Pantelleria. Gli altri musicisti che Esposito impegnava al bisogno erano: Leone al violino (emigrato in Australia), il mazarese Giacomo Tumbiolo alla fisarmonica, (in seguito deceduto nel tentativo di salvare una ragazza che stava annegando), Nino Bosco alla chitarra e il fratello Lillo alla tromba, Salvatore Casablanca voce solista (fu il primo cantante in assoluto che cantò a Castelvetrano, poiché allora la gente con sapeva nemmeno cos’era un microfono).

    Accanto a quello di Esposito, nello stesso periodo, si formò a Castelvetrano un altro gruppo musicale chiamato: “Li Piricudda”. Ne fecero parte: i tre fratelli Giammarinaro, soprannominati “Piricudda” (da qui il nome del complesso), Vincenzo al contrabbasso, Giovanni al violino e Peppino alla chitarra, nonché Pino Giammarinaro (figlio di Vincenzo) alla batteria. Nota una poesia a loro dedicata: “Piricuddu piricuddu, quannu mancia 'un voli a nuddu, quannu allesti di manciari, chiama a tutti li so cumpari”.

    Occasionalmente andavano a suonare anche con loro: Giovanni Vannino Triolo al sax contralto e Francesco Ciccio Catalano al clarinetto. Don Vincenzo, capo orchestra, avendo sentito suonare il violino a Tonino Giannilivigni, pur essendo quest’ultimo molto giovane, lo volle nella sua orchestra, anche se ha dovuto sacrificare il fratello Giovanni che ne uscì.

    Tonino, allora era un ragazzo di appena dodici anni. Aveva cominciato a studiare il violino già all’età di sette, stimolato anche dal padre Giuseppe che suonava la chitarra e il mandolino. Lo seguiva negli studi musicali il maestro, violinista-liutaio castelvetranese Francesco Mandina.

    Un giorno, passando davanti al negozio d’abbigliamento di Giovanni Asaro, primo violino al Teatro “Selinus” di Castelvetrano, fu invitato da quest’ultimo a suonare qualcosa per lui. Tonino lo accontentò e da quel giorno, una volta la settimana, oltre a continuare a frequentare le lezioni del Mandina, si recava regolarmente anche da Asaro. Questi gli dava dei consigli utili, sempre sul suono del violino, finché un bel giorno lo volle con lui a suonare nell’orchestrina del Teatro come terzo violino. Nel mese di Luglio del 1943 gli alleati americani sbarcarono in Sicilia.

    A quei tempi “la fami davanti e la genti darrè”, la fame avanti e la gente dietro, era l'idilliaco quadro d’ogni giorno. Ci si organizzava, quindi, per garantirsi un minimo d’approvvigionamento alimentare e continuare a vivere alla meno peggio. Fra le tante invenzioni e intuizioni, sapendo che agli americani piaceva tantissimo il pollo, molte persone lo preparavano e lo esponevano cotto su un tavolinetto posto davanti casa.

    Quando passavano gli americani, una ragazza li invitava ad acquistare la ghiotta pietanza dicendo: “Ciken, Ciken”, (chicken, pollo). Per attirare meglio l’attenzione dei soldati americani impegnavano dei musicisti locali per creare attrazione e un po’ d’allegria. L’espediente funzionava e dal pomeriggio fino la sera in molte case si preparava il pollo per gli americani. Talvolta qualcuno richiedeva anche i nostri famosi spaghetti per i quali i militari andavano matti. Questo faceva sì che tutti i musicisti erano impegnati e, con quello che pagavano gli americani per il pollo, potevano guadagnare qualcosa anche loro per riuscire a sbarcare il lunario.

    Tonino spesso, andava a suonare anche durante le cerimonie nuziali, accompagnato all’organo dal maestro Mangogna, unico accreditato per suonare il grande organo a canne della Chiesa Madre di Castelvetrano. L’ho suonato anch’io in alcune cerimonie nuziali, anche se la tastiera oramai è in pessime condizioni e non facilmente gestibile.

    L’orchestra “Li Piricudda” durò fino al 1945. In quell’anno si formò a Castelvetrano il complesso de “I Peppi”. Vi fecero parte: i fratelli Ingrasciotta, Giuseppe alla tromba e Paolo alla batteria e trombone a culisse, Giuseppe Peppe Crescente alla chitarra e voce solista, Tonino Giannilivigni al violino e Vannino Triolo al sax e clarino.

    All’occorrenza si univano a loro anche Francesco Catalano al clarinetto e Vito Marino alla fisarmonica. Marino, poi emigrato in America, era anche un bravo suonatore di tromba. Tonino era diventato così bravo col violino che già era in grado di suonare perfino la famosa e difficilissima “Czardas”.

    Per completare l’organico de “I Peppi” serviva qualcuno che suonasse il sassofono tenore d’accoppiare con il contralto suonato da Triolo. Non trovando nessuno disponibile, fu Giannilivigni ad assumersi l’impegno d’imparare a suonare anche il sax. Egli, comunque, non abbandonò mai il suo primo strumento se non quando, nel dicembre del 1952, il fratello Angelo, proveniente dal Venezuela, gli consigliò di lasciare perdere il violino per dedicarsi solamente allo studio, perché in tre anni d’iscrizione all’Università, per colpa della musica, non si era data alcuna materia. 

    Così, con un bel po’ di buonsenso, Tonino mise da parte il violino e si concentrò negli studi universitari. Dopo pochi anni conseguì la laurea in giurisprudenza diventando ben presto uno dei più stimati “Principi del Foro” di Palermo. In ogni caso non abbandonò del tutto il violino e, se non nuoceva ai suoi studi, fra un esame e un altro qualche impegno lo andava a fare. Ho conosciuto personalmente l'avvocato Giannilivigni quando, un giorno di circa dieci anni fa, lo andai a trovare a Palermo.

    Mi ha ricevuto nel suo studio come se fossi stato una persona conoscente da sempre, dandomi tutte le informazioni di cui avevo bisogno relativamente alla sua esperienza di musicista nel periodo in cui viveva a Castelvetrano. Mi ha anche raccontato quando un giorno, dopo una serie di matrimoni che li avevano visti impegnati sia di mattina sia di sera egli, in visibili condizioni di stanchezza fisica, mentre i suoi colleghi sistemavano gli strumenti nell’attesa degli sposi di quel giorno, pensò bene di sedersi.

    Appoggiò il violino con tutta la custodia sulle gambe e si assopì. Dopo un bel quarto d’ora di sonno profondo fu svegliato da Vito Marino per informarlo che la festa era finita e che non l’avrebbero pagato, poiché lui aveva dormito per tutto il tempo.

    Tonino si alzò e, col suo strumento a corde sotto braccio, s’avviò siddiatu seccato verso l’uscita. Vito, però, lo fermò e gli disse: “Ma dunni và? Va sona chi a mumentu vennu li ziti”, “Ma dove vai? Preparati con lo strumento che stanno per arrivare gli sposi”. In un’altra occasione, sempre il nostro Tonino, fu impegnato, a livello di cortesia, da un amico ad andare a fare la serenata sotto il balcone d’una ragazza che abitava nei pressi della stazione ferroviaria di Castelvetrano, per la quale l’amico spasimava.

    Tonino, nonostante la stanchezza per avere suonato tutto il giorno in una delle solite feste di matrimonio, accettò l’invito dell’amico. Giunti a destinazione intonò “Grazie dei fior”, brano con il quale Nilla Pizzi aveva vinto la prima edizione del Festival di Sanremo: correva l’anno 1951. A un certo punto, però, le persiane della finestra si spalancarono e, invece di comparire l’agognata spasimante, qualcuno della famiglia buttò un secchio d’acqua gelida addosso ai due malcapitati.

    L’acqua cadde, però, tutta su Tonino che, a parte la doccia fredda, gli causò la scollata del violino. Fu, quindi, costretto a rivolgersi a un liutaio di Palermo, un tal Averna, che dopo un paio di tentativi s’arrese: il violino non volle più incollarsi. A quel punto Tonino fu costretto a comprarsi un altro violino. Nicola Cocò Vivona doveva vendere il suo, così si misero d’accordo sul prezzo che pattuirono in 1.500 lire di allora. Anche questo secondo violino fece, in seguito, una brutta fine. Per evitare che i nipoti glielo rompessero, lo sistemò sotto il letto.

    A causa, però, della forte umidità che c'era nella casa, il violino subì la stessa sorte del primo scollandosi. Con l'uscita di Tonino ne “I Peppi”, oltre al violino, venne a mancare anche il sassofono. Si rivolsero, così, a Giuseppe Peppe Palma, bravissimo suonatore di sax che insieme a Vannino Triolo formarono una coppia molto affiatata che diede nuova energia a tutta l'orchestra.

    I Peppi” furono considerati, a buon titolo, una delle migliori orchestre di quel particolare periodo storico. Un’altra orchestra che operò in quel periodo e che assunse un nome ch’era tutto un programma fu quella de “I Pilos”. Questo nome fu dovuto al fatto che spesso andavano a suonare in un casa privata, sita vicino il deposito ferroviario di Castelvetrano, frequentata da occasionali clienti che volevano consumare del sesso a pagamento. Il gruppo era composto da: Felice Ancona alla batteria, Gaspare Catanzaro al violino, Giovanni Silvano, detto “Pendola” dal cognome della madre, alla chitarra, Carlo Parisi alla fisarmonica, Antonino Chinesi al sax soprano. Quando andavano a suonare nelle feste di matrimonio o nelle serate di Carnevale essi, avendo un nome così particolarmente impegnativo, si presentavano solo come formazione orchestrale, senza indicare il nome. Un altro gruppo (per l’esattezza si trattava di un trio) che utilizzò lo stesso nome,

    I Pilos”, fu quello formato da: Nino Guarino alla fisarmonica, il mazarese Giacomino Mengiassi alla batteria e Giovanni Fasulo alla chitarra. Era il 1950. Avevano scelto quel nome, perché andavano a suonare quasi tutte le sere presso una tenutaria molto nota a Castelvetrano, “Maria” detta “la pazza”.

    Il loro compito era d’intrattenere i clienti del postribolo durante l’attesa del loro turno d'amore. Al trio si aggiunse, in seguito, Giovanni Giammarinaro che, oltre a saper suonare il violino, s'arrangiava anche al banjo. Ogni volta che andavano a suonare, alla fine della serata, Nino Guarino aveva preso l’abitudine d'andare a fare la serenata a una sua cugina della quale s’era invaghito: Ida.

    Il brano che andava a suonare con la fisarmonica sotto il suo balcone, da lei molto gradito, era “Dormi Dormi”. Guarino aveva imparato a suonare seguendo le lezioni e i consigli del maestro Vito Marino. Da questi acquistò la sua prima fisarmonica, una Paolo Soprani 80 bassi.

    Non appena ebbe imparato qualche brano, per tenersi allenato, andava a suonare in campagna, ad allietare i raccoglitori di olive nelle terre dei Saporito. Essi la sera non andavano a casa, ma rimanevano nel “loco”, cosicché qualche bel valzer o una coinvolgente mazurca per trascorrere un po' di tempo spensierati prima d’andare a dormire non dispiaceva a nessuno. Di giorno, Guarino, non avendo come trascorrere il tempo, aiutava gli altri a raccogliere le olive, prevalentemente le signorine, essendo allora appena quindicenne.

    Quando qualcuna aveva bisogno d’un poco d’acqua, lui solerte andava a prendere la brocca e la porgeva a chi aveva sete. Una mattina, mentre era intento a raccogliere le olive delle “arge”, il centro dell’albero, una signorina chiese dell’acqua. Lui, prontamente, fece un balzo, ma i pantaloncini corti gli rimasero impigliati a un ramo. In pratica rimase a penzoloni, fin quando i pantaloncini non si strapparono del tutto e lui cadde, rovinosamente, a terra rompendosi un braccio.

    Uno dei raccoglitori, Simone Di Maria, orinò allora su un fazzoletto e glielo legò al braccio per evitare che gli si gonfiasse. Fu portato, poi, a casa dove i suoi genitori chiamarono il dottore Di Sabato che avrebbe provveduto all'ingessatura del braccio. Quando il medico arrivò la mamma di Nino lo invitò ad accomodarsi.

    Chissà perché il Di Sabato scelse l’unica sedia rotta che possedevano. Non fecero in tempo ad avvertirlo che il dottore si trovò con le gambe per aria. Toccò a Guarino sollevarlo da terra con tutto il braccio rotto. Di Sabato, una volta in piedi, provvide per l’ingessatura. Il calesse che utilizzava il dottore Di Sabato per spostarsi da un posto all’altro, ancora integro e in ottime condizioni, fa parte della preziosa collezione di calessi e carri siciliani del nostro amatissimo concittadino Filippo Ancona, lu zu Fifiddu.

    Un’altra formazione che in quel periodo operava a Castelvetrano, ma che non aveva un nome, fu quella composta da: Gaspare Scirè al violino, Vincenzo Russo alla fisarmonica, Francesco Catalano al sax contralto, Vito Marino alla tromba, Salvatore Triolo alla batteria, Salvatore Vallone al contrabbasso e Nino Bosco alla chitarra. In quel particolare periodo storico le feste di matrimonio si svolgevano quasi sempre in casa.

    Chi non aveva la possibilità di pagare un’orchestra utilizzava un grammofono per diffondere la musica. I dischi erano quelli a 78 giri. Il padre della sposa incaricava un parente anziano di sorvegliare la porta d’ingresso dell'abitazione nella quale si svolgeva la festa, per evitare che qualcuno non invitato s’intrufolasse. In effetti, c’era sempre chi bussava alla porta e chiedeva d’entrare anche per fare un solo ballo.

    Di solito l’incaricato responsabile della porta rispondeva: “Mi dispiaci, ma appi l’ordini d’un fari trasiri a nuddu” “Spiacente, ma ho ricevuto l'ordine di non fare entrare nessuno”. Quando, poi, capitava che a bussare era un amico di famiglia al quale non si poteva certo dire di no, lo si faceva entrare, ma il ballo poteva farlo solamente con un altro maschio.

    Questo, comunque, era sufficiente per farlo contento e, dopo il ballo, ringraziando, andava via. Una formazione musicale che prese il nome di “Ariston” fu quella formata da: Salvatore Turiddu Triolo alla batteria, Giuseppe Rizzo al violino, Francesco Catalano al sassofono (suonava con l’“Orchestra Brazil” e ogni tanto, quand'era libero, favoriva gli Ariston”), Leonardo Nanà Cusumano alla fisarmonica (ne uscì quando partì militare e fu sostituito da Vincenzo Russo).

    Russo, allora, era appena un quindicenne con tanta voglia di suonare. Lo avevano indicato a Triolo rassicurandolo che il ragazzo si sarebbe fatto (oggi questa frase ha acquisito tutto un altro significato, ma allora significava solamente che sarebbe diventato bravo). Russo aveva studiato con un certo Pino detto “lu siniaru” poiché lavorava nelle terre dei Piccione, grossi proprietari di terreni agricoli (senie), che “l’avianu pigghiatu come figghiu di santu”, l’avevano adottato. Quando Pino non era impegnato col suo lavoro di campagna, andava a suonare la fisarmonica dov'era invitato. Vincenzo gli andava spesso dietro e lo accompagnava con una chitarra, La sua passione, però, era la fisarmonica, quindi lo faceva soltanto con l'intento di rubargli l’arte.

    E così fu, specialmente quando gli chiese la fisarmonica in affitto per una settimana. Riuscì, in quel poco lasso di tempo, a imparare a suonare il tango il primo giorno, il valzer il secondo giorno e via di seguito. Accadde che un bel dì Pino, avendo voglia di divertirsi anche lui e giacché oramai Vincenzo se la cavava, lo lasciò da solo per andarsi a fare una bella “abballata”.

    Da quel momento tutti s’accorsero della bravura di Vincenzo che da lì a poco diventò una delle migliori promesse alla fisarmonica. Pino, però, quando tornò a suonare, costatò che la gente non aveva più voglia di ballare perché preferivano che la fisarmonica la suonasse Vincenzo. Missione compiuta, mestiere rubato.

    Per allenarsi un po’ di più, Vincenzo si rivolse al cugino Antonino Cardinale, bravo fisarmonicista, per imparare qualche altro tempo musicale. Andò pure a suonare nell’unica “casa da ballo” privata per soli uomini di Francesco Valenti, che a sua volta aggiustava e affittava anche fisarmoniche. La “casa da ballo” si trovava in un cortile di via Puma.

    Con questa nuova esperienza riuscì, in poco tempo, a eseguire la famosa “Migliavacca” anche nella parte in cui le quartine la fanno da padrone e che pochi sono in grado di suonare in maniera corretta. Alla fine era consuetudine andare tutti a mangiare e Vincenzo raccomandava gli altri di non buttare le teste dei pesci di cui era ghiottissimo. A Don Vicé (così lo chiamo affettuosamente), mi sono rivolto per l’esecuzione delle parti alla fisarmonica quando, nel 1991, ho prodotto il mio secondo lavoro discografico: “Borsalino”. I brani, prevalentemente di musica cosiddetta liscio, necessitavano della mano esperta d’un bravo fisarmonicista.

    E chi se non Vincenzo Russo? Entrò, intanto, con gli “Ariston” anche il fratello di Vincenzo, Giacomo Russo. Questi suonava il bombardino nella Banda Comunale. Quando fu messo al corrente che il fratello Vincenzo era entrato a far parte d'un complesso, volle farne parte anche lui. Triolo, però, aveva bisogno d'un trombettista. Giacomo disse che se gli procuravano una tromba avrebbe imparato presto. Triolo trovò una tromba d’occasione, prestatagli da un amico, e fu con quella tromba che Giacomo divenne ben presto il punto forte, l’attrattiva dell’intero complesso.

    Tanto ne è che Triolo, i fratelli Russo, Agostino Accardi, sassofonista di Campobello di Mazara e Giovanni Bertuglia, cantante, sono stati invitati a suonare per un’intera stagione anche presso il Circolo Ufficiali della Marina di Cagliari.

    Dopo avere suonato per tutte le serate di Carnevale al Circolo, ritornarono a Castelvetrano perché nel periodo di Quaresima non si poteva suonare. Finita la Quaresima avrebbero dovuto tornare a Cagliari, ma sopraggiunti impegni personali non ne consentirono il ritorno. Triolo, nel frattempo, aveva lasciato la batteria a Cagliari e lì era, pure, rimasto Agostino Accardi che vi si sistemò con la nuova famiglia. Triolo incaricò Accardi di vendergli la batteria.

    Questi da lì a poco la vendette e gli spedì il ricavato a Castelvetrano. Ho avuto modo di suonare con Giacomo Russo e devo dire che è un musicista speciale, poiché suona benissimo sia il sassofono sia la tromba. L’unica cosa che non farei più è d’invitarlo a mangiare una pizza.

    L’ho fatto una sera, dopo che avevamo finito di suonare in duo sul meraviglioso litorale di San Leone ad Agrigento. In quell’occasione per far fuori una pizza che io consumai in meno di dieci minuti, lui impiegò un’ora. A un matrimonio al Cine Teatro Palme, dove avevano impegnato per l’occasione un complesso di Palermo, vedendo che ritardavano, preoccupati, i genitori degli sposi andarono a impegnare gli “Ariston”.

    Questi non ebbero nemmeno il tempo di finire di montare tutta l’attrezzatura che, nel frattempo, arrivò il gruppo di Palermo. A questo punto non rimase altro da fare che suonare tutti assieme non coscienti del fatto che stavano inventando una delle soluzioni più indovinate nell’esecuzione musicale di gruppo: la jam session.

    In foto Ascenzio Errante con l'orchestra

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