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Ciro Signorello e i Nuclear simphony. Storia di un talento rock alla chitarra

del 2014-12-05

Per parlare di Ciro Signorello devo partire da molto lontano, dai tempi in cui frequentavo il liceo. Parliamo di 45 anni fa (un’eternità). Con noi c’era la signora Giovanna, una giovane donna molto bella e con un cuore grande. Prestava servizio presso il liceo scientifico “Michele Cipolla” di Castelvetrano, liceo al quale mi affezionai talmente da rimanervi due anni in più, sette invece di cinque (la verità è che ho ripetuto il terzo e il quarto anno).

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  • Il collaboratore scolastico, a quell’epoca bidella, Giovanna era la nostra sorella maggiore (non di troppo, aveva solo qualche anno più di noi), pronta a proteggerci, a giustificarci, a difenderci, a coprire qualsiasi nostra marachella. A quell’età, d’altronde, la nostra esuberanza ci faceva fare cose di cui non ci rendevamo nemmeno conto. Potrei raccontare cento aneddoti e stupire il lettore con ciascuno di essi.

    Uno per tutti quando, per puro spirito goliardico (anche se ancora non ero uno studente universitario), stupendo i miei compagni che mi avevano sfidato a farlo, ho provocato un incendio all’interno dell’istituto mettendo in serio pericolo l’incolumità di tutti gli studenti. Si può essere più deficienti di così, eppure lo si faceva nella nostra più atavica e infinita incoscienza.

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  • Adesso, col senno di poi e ripensando a tutte quelle incredibili avventure, non so se vergognarmi o se compiacermi, tanto era forte l’autostima che ognuno avevamo di noi stessi, l’unica cosa sicuramente positiva. Oggi, invece, molti giovani non sanno nemmeno cosa sia l’autostima. Mi fermo qui per non aprire delle questioni generazionali delle quali non voglio occuparmi, almeno in questa sede.

    Dicevo di Giovanna. Mi accompagnò in tutti e sette i miei anni di liceo, stando sempre al mio fianco. A lei confidavo i miei segreti e lei aveva sempre il consiglio giusto da darmi. Questo, comunque, lo faceva con tutti, poiché il suo animo era dei più nobili, sincera e altruista.

    Mi dispiacque quando terminai il liceo perché non l’avrei più rivista, almeno non con la stessa frequenza, ma non potevo rimanere in eterno in quella scuola. Oltretutto mi ero, nel frattempo, anche sposato e completai gli ultimi due anni di liceo in quella condizione. Mio figlio Daniele, addirittura, nacque mentre svolgevo gli esami di stato.

    Giovanna, maritatasi molto giovane, era all’epoca già mamma di Liana, una bellissima ragazza che da grande ha preso tutte le gentili sembianze della madre. Dopo qualche anno nacque anche Ciro. Non so perché lui, quando fu grande, e nutrendo come tanti di noi la passione per la musica, rivolse il suo interesse dapprima verso la musica rock (e fin qui ci siamo) per, poi, spostarlo verso la musica trash, fermandosi a suonare solo quella. In ogni caso era un mostro (di bravura s’intende).

    Sentirgli suonare la chitarra era quanto di più elettrizzante e sublime potesse capitarmi. Quando avevo l’occasione, lo andavo a trovare e lui non mi deludeva mai. Mi faceva ascoltare le sue nuove composizioni, tutte di ottima fattura. Quando aveva voglia mi permetteva anche di suonare con lui, ma io non ero alla sua altezza e preferivo ascoltarlo.

    Abbiamo anche tentato di fare un gruppo insieme al comune amico Filippo Fasitta, soprannominato “provolino”, e ai suoi due figli Leonardo e Fabio. Dopo, però, un’improvvisata esibizione alla villa “Parco delle Rimembranze” di Castelvetrano, ci siamo dovuti arrendere di fronte all’evidente divario tecnico e alla diversità di gusti musicali che c’era fra noi, tralasciando qualsiasi progetto musicale futuro.

    Riprovai, in seguito, con i “Fasitta family”, rockettari puri, ma l’ho fatto solo per puro divertimento. Con noi c’era anche Salvatore Totò Occhipinti, un bravissimo cantante rock castelvetranese, trasferitosi da tempo a Palermo dove gestisce una tabaccheria. L’unico con il quale, in effetti, suonerei dalla mattina alla sera senza stancarmi mai, ancora oggi che sono un sessant’enne suonato (in tutto i sensi), è Leonardo Nanà Fasitta.

    Il suo modo di suonare la chitarra a totale emulazione del grande chitarrista dei Deep Purple, Ritchie Blackmore, per me che sono un penitente nostalgico di quel genere musicale, mi fa venire i brividi ogni volta che mi capita d’ascoltarlo. Anche Leonardo, purtroppo, rappresenta l’ennesima vittima immolata sull’altare del terronismo più puro. Non riesco a capire perché questa terra tanto bella e amata da tutti i popoli del mondo, deve essere così matrigna verso i suoi figli migliori.

    Tornando a Ciro, egli aveva conosciuto, nel frattempo, Gino Pecoraro, un favarese trapiantato in Germania. Erano gli inizi degli anni ’80. Con Gino formò un gruppo metallaro il cui primo concerto, che allora fecero presso lu pirucchieddu “Cinema Marconi” di Castelvetrano, ce l’ho ancora marcato a fuoco, indelebile, nella mente e nel cuore. Fu qualcosa d’incredibile.

    Non conoscevo quella musica così violenta e invasiva. La chitarra di Ciro sembrava un continuo vulcano in eruzione. La voce di Gino, detto Cino, era di quelle che spaccava i timpani e ci masturbava il cervello a ogni acuto. Ogni colpo della cassa della batteria di Giovanni La Rocca, unito con perfetto sincronismo al basso di Salvatore Totò Lupo, si ripercuoteva nel torace facendo sussultare il nostro provato cuore. Era adrenalina allo stato puro. Eravamo tutti drogati da quella musica così intrigante che ci sconvolgeva trasportandoci idealmente in incredibili ameni luoghi vasti e sperduti. Una meraviglia, un’assoluta meraviglia.

    Ho dovuto aspettare il 1987 per avere fra le mani la loro prima musicassetta autoprodotta: “Choir of the desperation” che conservo gelosamente fra quelle di maggior pregio. Per il gruppo scelsero il nome di “Nuclear Simphony”. Avrò ascoltato quella magica cassetta chissà per quante volte e in cuffia, così da farmi saltare i timpani e fondere il cervello più di quanto fosse già fuso di suo.

    Due anni dopo, con mio profondo piacere, ho incontrato Ciro che passeggiava lungo la via Vittorio Emanuele, la “strata di la cursa” di Castelvetrano. Gli chiesi dove fosse stato per tutto quel tempo e lui mi rispose ch’era stato in Germania, dove si era stabilito con il suo gruppo percorrendo in lungo e in largo, con la loro musica metal, il duro suolo teutonico. Aveva con sé l’ultima loro produzione, il long playning “Lost in wonderland”, prodotto con l’etichetta discografica tedesca Metal Master Records.

    Quel disco è stato ritenuto dalla critica internazionale come uno dei migliori prodotti thrash, ottimo full length, giurassica pietra miliare della musica pesante italiana di quel periodo. Lo volli subito e corsi a casa ad ascoltarlo.

    Era veramente una bomba. Il gruppo era sempre quello storico dei “Nuclear Simphony” con una copertina che, di per se, era già tutto un programma. Purtroppo, quando sembrava che andasse tutto per il verso giusto per fare diventare Ciro e i suoi compagni di viaggio una delle band più note a livello internazionale, diversi cambiamenti nella formazione non consentirono di farli decollare nel momento in cui essi erano pronti per volare.

    Nel 1991 si fermarono per ritentare nel 1994, ma oramai avevano perso quella lucentezza, quella carica esplosiva che li aveva contraddistinti nel primo periodo. Ciro decise, così, di ritirarsi a vita privata. Oggi fa l’istruttore d’appassionati del deltaplano. Lo vedo passare con il suo, tutti i giorni alla stessa ora, sopra la mia testa, almeno nel periodo estivo in cui soggiorno a Triscina. Lo saluto anche se so che lui non può né vedermi né sentirmi. Lo faccio forse perché nel salutarlo ho come l’impressione di salutare quel magico mondo che fu.

    Dopo vent’anni Ciro ha ripreso quel progetto coadiuvato da un altro eccezionale chitarrista castelvetranese, Rudy Pusateri. Con essi i compagni di sempre di Ciro: i favaresi Luciano Benevento, Tony Corio e Gino Pecoraro con la sua immancabile e incredibile voce. Si sono riproposti avendo ricevuto un grande incoraggiamento, da parte dei tanti fan sparsi fra l’Italia e la Germania, a riprendere in mano quel progetto interrotto tanti anni prima.

    Ho rivisto Ciro, dopo che l’avevo nuovamente perso di vista, al concerto che il nostro bravissimo chitarrista e compositore Maurizio Filardo ha tenuto domenica 16 marzo di quest’anno al “Cine Teatro Capitol” di Castelvetrano. Ho stentato a riconoscere Ciro per via della folta barba molto più lunga di prima, a emulare una quasi figura di Cristo che mi ha incusso un po’ d’umano disagio.

    Parlando del più e del meno rivangando il passato, ho saputo che suona anche il violino e, siccome ne possiedo uno che aveva bisogno d’un intervento, ho pensato d’approfittarne per trascorrere un po’ di tempo con Ciro. Sono andato a trovarlo a casa sua, a Campobello di Mazara, dove si è trasferito insieme alla madre.

    Ho avuto modo così di rivedere, con mia profonda soddisfazione e piacere, la signora Giovanna, sempre bella malgrado la sua non più giovane età e il suo stato di vedovanza. Mi hanno accolto con quella cordialità che può essere riservata soltanto agli amici più sinceri.

    Ciro si è messo subito a disposizione e mi ha sistemato il violino con degli interventi tecnici che solo lui sapeva fare. Ho potuto appurare di quanto sia bravo anche al violino dopo che, avendo sistemato il mio, me l’ha fatto ascoltare. Mi ha regalato, oltre il lavoro per il quale non ha voluto assolutamente essere pagato, un paio d’ore di serenità assoluta nel ricordo dei bei tempi andati. A farci compagnia, mentre lui era intento a riparare il violino, tanta buona musica e il suo pappagallino ammaestrato “Cenerino Gennaro”, star indiscusso del web, dove Ciro ha messo alcuni video che lo ritraggono mentre, incredibilmente, parla e sparla, sparla e parla.

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