Quando alla fiera del bestiame in Piazza Dante occorreva stare con gli "occhi aperti"
di: Vito Marino - del 2015-03-21
Durante la civiltà contadina tutti avevano bisogno degli animali da soma (cavallo, asino, mulo, bardotto) o del bue, per ausilio nei lavori più pesanti e per tirare il carretto o l’aratro. Anche i nobili, per spostarsi a cavallo o sulla carrozza avevano bisogno del cavallo.
Fiorente era l’allevamento di pecore e di bovini, mentre in tutti i cortili o dentro i magazzini non mancavano mai le galline, i conigli, la capra, e spesso anche il maialetto. Per fornire le forti richieste, in ogni paese c’era sempre una fiera di bestiame.
A Castelvetrano, in Piazza Dante, “a li cumuna” (salita per Piazza Bertani, allora non esisteva ancora l’edificio scolastico), fino agli anni ’60 circa, ogni fine mese c’era la fiera del bestiame; ma anche alla fiera della Tagliata, si negoziavano animali. Alla fiera bisognava essere esperti di animali, perché si potevano avere delle fregature.
Il mercante di animali per ingannare il probabile compratore usava tanti accorgimenti: puliva la bestia accuratamente per rendergli il pelo lucido (simbolo di buona salute), lo "appruvinnava" bene (gli dava da mangiare orzo e avena), aggiungeva del sale alla biada e lo faceva bere in abbondanza per renderlo apparentemente più pieno.
Ma, come dicono i proverbi: "a la squagghiata di la nivi si virinu li pirtusa" (sciolta la neve si vedono i buchi) oppure "a lunga cursa si viri lu giannettu" (nella lunga corsa si vede il cavallo da corsa), quando l'animale si metteva alla prova del duro lavoro giornaliero, spuntavano fuori i grossi difetti. Questo era il classico animale "ngannalafera", cioè che in fiera ingannava anche il compratore più esperto.