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"Quel viaggio in mare in balia delle onde tra paure e una improvvisa tempesta". Il racconto del Prof. Agate

di: Gaspare Agate - del 2016-11-08

Immagine articolo: "Quel viaggio in mare in balia delle onde tra paure e una improvvisa tempesta". Il racconto del Prof. Agate

Una burrasca ha messo alla prova il sangue freddo e le capacità di marinai di una famiglia castelvetranese che, a bordo del loro veliero, hanno dovuto fronteggiare un mare minaccioso in tempesta con alto rischio di mettere in pericolo la propria incolumità.

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  • Il fatto è accaduto nel Marzo del 2014 anche se quelle ore trascorse in balie delle onde sono sembrate giorni interminabili. Dagli occhi del Prof. Agate traspare un ricordo lucido della vicenda che avrebbe potuto avere conseguenze ben più gravi se il panico avesse prevalso sulla capacità di ragionare.

    Cosa fare se in pochi minuti ci si ritrova nel bel mezzo di una tempesta? La prima cosa è cercare di mantenere la lucidità e non farsi sopraffare dalla paura. In questi momenti, il panico può rivelarsi un nemico peggiore del cattivo tempo.

    Ecco il racconto di quei drammatici momenti per i lettori di Castelvetranonews: "Al rientro da una crociera in Tunisia con la famiglia un armatore diretto a Lampedusa viene sorpreso da un colpo di vento, ma mette a frutto l'esperienza di Gaspare Agate. Un detto marinaresco recita così: "Il bravo comandante affronta la tempesta dall'osteria del porto".

    E io di questo motto per anni ne ho fatto un "cavallo di battaglia", almeno fino all'estate scorsa, quando in piena burrasca da Nord Ovest non ero seduto in osteria, ma al timone della mia barca in mare aperto con rotta verso Lampedusa di ritorno da Madhia, in Tunisia, la stessa traversata che fanno gli immigrati clandestini quando giungono nel nostro Paese.

    Io e la mia famiglia, composta da mia moglie Katy, mia figlia Giovanna, allora diciassettenne e mio figlio Fausto undicenne, avevamo trascorso giornate indimenticabili durante una crociera nel Sud della Tunisia con rientro via Lampedusa-Linosa.

    Dovevamo navigare per 80 miglia ed essendo la mia una barca a vela avevamo bisogno di vento, non troppo forte, ma neanche troppo debole, per evitare una smotorata. Un rinomato sito di previsioni meteo dava vento da Nord Ovest con un'intensità tra i 9 e gli 11 nodi. Ci sembrò il momento perfetto per attraversare, anche se qualcuno in porto diceva "Mistral bum bum!", cioè burrasca di Maestrale. Ci fidammo del sito, nonostante il vento già fischiasse alle 5 del mattino. Dopo aver fatto dogana, mollammo gli ormeggi con il cuore ancora pieno di gioia per la splendida giornata passata il giorno precedente con gli amici del diving locale che ci avevano guidato in una splendida escursione in mezzo ai pesci colorati.

    Appena lasciammo la costa l'anemometro dava 20 nodi e il barometro, sceso tutta la notte, continuava a scendere, non promettendo nulla di buono. Dopo un paio di ore ci trovammo con onde di oltre 2 metri e il vento che era rinforzato a 25 nodi. Navigavamo con il fiocco rollato per metà, la randa con due mani di terzaroli e le onde, che ormai sembravano "colline", si susseguivano una dietro l'altra impegnando oltremodo il pilota automatico, così lo spegnemmo e dovetti mettermi al timone.

    Non erano ancora le 11 del mattino che il vento era rinforzato ancora e ormai raggiungeva i 30 nodi e le "colline" erano diventate "montagne" che ci toglievano il respiro rischiando di coricarci e impedendoci di navigare al traverso ma costringendoci ad alternare tratti di bolina larga, con tratti di navigazione col vento in poppa per rientrare in rotta.

    Navigando con il mare al giardinetto le onde si abbattevano nel pozzetto e frangendo bagnavano tutto e tutti e ci costringevano a lunghe surfate. A poco a poco l'acqua cominciò a infiltrarsi dagli osteriggi, mia moglie si fece prendere dal panico suggerendomi di chiedere aiuto via radio, ma aiuto per cosa?

    Stavamo navigando anche se sballottati, tutto grazie a dio funzionava, la velocità era perfino buona, avevamo punte di 8-9 nodi e, nonostante le miglia che stavamo facendo in più per i continui cambi di rotta, eravamo nei tempi di navigazione; sapevo che con quel mare un'altra unità non si sarebbe potuta neanche avvicinare alla mia, sballottolavamo troppo, non rimaneva che stare tranquilli e continuare la navigazione. A un certo punto incontrammo anche i delfini che giocavano sulle onde e fece molto effetto vederli su una cresta che era più alta del nostro albero.

    Fausto commentò che i "delfini erano in aria", ma noi continuavamo la nostra navigazione onda su onda e spruzzi dopo spruzzi, con l'aria così piena di salmastro che gli occhiali non restavano puliti che per pochi minuti e un grazie lo devo a mia figlia Giovanna che mi è rimasta vicino tutto il tempo, assistendomi per ogni cosa, visto che da allora non potei lasciare più il timone fino all'arrivo.

    Alle 2 del pomeriggio avvistammo terra e tornò un po' di ottimismo; cominciavamo a essere stremati, ma i conti non tornavano, era troppo presto e secondo il GPS mancavano ancora 30 miglia. Non poteva essere Lampedusa, l'isola era troppo lontana per essere avvistata, infatti era l'isolotto disabito  di Lampione, più che un'isola uno scoglio in mezzo al nulla. Passammo Lampione al traverso sottovento qualche ora dopo e per una ventina di minuti ci fu relativa pace, visto che l'isola ci fece da riparo e il mare un po' si calmò.

    Usciti dal riparo di Lampione il tormento riprese e la paura riaffiorò sugli occhi di tutti; mancavano poche miglia ma eravamo stremati e prendeva corpo il timore di non farcela, la barca continuava a navigare, l'acqua ormai si era insinuata ovunque e si era bagnato di tutto, mezzo portolano era volato via strappato dal vento e l'altro mezzo era zuppo fradicio di acqua di mare, ma per il resto tutto: sembrava in ordine e con u ultimo sforzo finalmente alle del pomeriggio ci riparammo dalla burrasca dietro l'isola di Lampedusa, dove ci fermammo, per fare il bilancio della situazione. Raggiungemmo il porto all'imbrunire e lo trovammo pieno; ci diede ospitalità un peschereccio di Porto Empedocle, il capitano del quale alla domanda se usciva durante la notte si mise ridere e commentò che coi quel mare non ci pensava proprio.

    Ci assistette all'ormeggio e vedendoci così provati ci volle rincuorare regalandoci dei gamberi, noi contracambiammo con una bottiglia di buon vino. Il Maestrale continuò a imperversare per due giorni ancora: restarono bloccati anche i collegamenti con la terraferma, i marinai mi presero quasi pei un eroe, mi fecero notare che tutti i pescherecci erano in porto e che per mare non c'era nessuno; io invece mi considero un imbecille per avere sbagliato bollettino e per essermi fidato di un solo sito internet mettendo a repentaglio la sicurezza della navigazione.

    Un mio caro amico commentò che l'eroe e l'imbecille spesso convivono e quindi potevo considerarmi tutti e due, visto che per essere eroi bisogna essere anche un po' imbecilli: accetto allora questa considerazione.

    La vera eroina però è stata la mia barca che nel momento del bisogno ha dato prova di buone doti marine e anche se le onde ci hanno coricato più volte lei è sempre tornata dritta.I problemi vennero in seguito. La burrasca aveva fatto sguazzare per molto tempo il gasolio nel rispettivo serbatoio e l'acqua della condensa era andata nel circuito facendo fumare di bianco il motore che poi si avviò con fatica fino a quando cominciò a girare singhiozzando.

    Noi nel frattempo, con l'ausilio di una Citroén Meari noleggiata sul luogo, avevamo esplorato Lampedusa, selvaggia e turistica per vocazione dalla quale non si può andar via senza far visita al centro tartarughe gestito da volontari. Un meccanico di Lampedusa decretò, dopo aver tentato di sistemare gli iniettori, che bisognava smontare la pompa d'iniezione e mandarla a revisionare ad Agrigento, allora mi ricordai che sono un velista e non un motorista e dopo aver imbarcato la,famigliola sull'aliscafo per Agrigento ripresi il largo in solitario accompagnato da un Maestrale, stavolta amico che mi permise di bolinare verso la Sicilia e fare prima rotta su Licata, anche. se non era la mia meta.

    Dopo una trentina di miglia cambiai mure e puntai Pantelleria che raggiunsi ben oltre la mezzanotte, da lì con un vento che ormai sapeva dì brezza continuai a navigare verso Sciacca dove arrivai nel tardo pomeriggio di due giorni dopo.

    Così ho impiegato quasi tre giorni per coprire le 120 miglia che separano Lampedusa da Sciacca, ma bolinando avevo navigato per quasi 200 miglia. Per  farla breve ho impiegato tre giorni di navigazione in solitario, ma sono arrivato sano e salvo e perfino con un tonnetto di circa 8 chili pescato a traina nei pressi di Pantelleria. II bravo comandante, se può, la tempesta la deve evitare, ma se lei ti colpisce all'improvviso la devi gestire e questo, credo valga anche per la vita.

    Buon vento a tutti ma in particolare a quei disperati che affrontano il mare con la speranza di migliorare la propria condizione di vita e di sicuro non hanno gli strumenti e il comfort che ho io a bordo."

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