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"L'Abballu di li virgini”. Storia ed origine di un detto popolare ancora oggi sempre attuale

di: Vito Marino - del 2017-12-18

Immagine articolo: "L'Abballu di li virgini”. Storia ed origine di un detto popolare ancora oggi sempre attuale

In Sicilia la devozione popolare verso gli eventi religiosi è stata sempre molto sentita dalla popolazione. Una volta accanto alle celebrazioni liturgiche spesso si trovavano altre manifestazioni celebrative devozionali che, invece, da tali canoni si allontanano, come  “triunfi, novene, e ninnaredde”. Queste manifestazioni, venivano diffuse dai “triunfisti”, “ninnariddara” e dai “ciaramiddara”, spesso non vedenti. “Triunfisti” e “ninnariddara” spesso coincidevano nella stessa persona.

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  • Al fine di diffondere presso il popolo la Bibbia e le storie dei Santi, la Chiesa aveva preconfezionato delle preghiere a rima baciata e numerosissimi canti, per ogni santo e per ogni ricorrenza; nel 1661 a Palermo, presso la “Casa Professa” aveva costituito la “Congregazione dei cantastorie orvi”, per iniziativa e sotto la guida dei padri gesuiti sotto il titolo dell'Immacolata Concezione.

    Si trattava di cantori non vedenti, quindi analfabeti, ai quali da ragazzini, veniva loro insegnato a suonare il violino e a cantare. Per i ciechi (allora non esistevano le pensioni) era una opportunità per sbarcare il lunario. Essi, nel 1700 giravano per le strade, di solito accompagnati come guida da ragazzetti, cantando “triunfi, diesille, orazioni e ninnareddi”. 

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  • Anticamente, e fino agli anni ’50 cantavano anche il rosario per i morti sulle tombe dei defunti in occasione della ricorrenza del due novembre o  i rosari per i morti il lunedì, le orazioni per le Anime dei Corpi Decollati dal lunedì al venerdì, le diesille dedicate a parenti morti, le novene per il Natale. 

     -Il “TRIUNFU”  era una festa di ringraziamento indetta in onore di un Santo o della Vergine o di Cristo, da parte di chi aveva ricevuto una grazia. Chi aveva ricevuta una grazia chiamava il “triunfista” e gli faceva cantare un “triunfu” davanti ad un altarino, con l’immagine del santo protettore (li triunfi di Santa Rosolia, di Santa Lucia, ecc.). 

    Da Antonino Buttitta “le forme del lavoro” S.F. Flaccovio Editore pag. 425: <

    Nelle pause della celebrazione, così come alla fine, si offrivano agli astanti bibite varie, dolciumi, liquori. […] Da uno statuto del 1829, che in parte riproduce uno più antico (1755) si evince che i cantori  ciechi ricevevano dai Gesuiti una serie di garanzie, ma anche l’imposizione di vincoli, tra i quali quello di non  cantare per le strade storie profane.[…]

    Si trattava di canti e suoni ballabili, con particolari intervalli di violino, che intervallavano le strofe dai diversi cambi di tonalità, che venivano eseguiti anticamente dagli Orbi, che in casa, per strada, davanti ad un’edicola addobbata, o davanti ad un altarino con l’immagine del Santo, o davanti la porta di casa del devoto che chiama ad eseguire il trionfo, suonano il violino, la chitarra, a cui recentemente si è unita la fisarmonica e il mandolino, ricevendo in cambio del denaro>>.

    Il “triunfu” si concludeva ritualmente con la Litania della Vergine, l'”Abballu di li virgini” e una o più “sunati a cumplimentu” Anche in questo caso il devoto offre ai suonatori ed ai presenti, vino, dolci, favi a cunigghiu.

    L’”Abballu di li virgini” è un canto in cui si descrive una grande festa da ballo indetta in cielo «’nnanzi a Diu Patri e Signuri». Insieme a Maria, danzano le vergini che vengono nominate, in una lunghissima filastrocca, man mano che si avviano alla danza e alla fine del canto La cerimonia più frequentemente celebrata era in onore di Santa Rosalia patrona di Palermo, di Santa Lucia, ma c'erano “triunfi” per ognuno dei santi più venerati in ambito popolare. 

    Oggi i “triunfi”, a parte quello di Santa Rosalia puntualmente riproposto per il Festino, non vengono più eseguiti in contesti di celebrazioni devote, ma prevalentemente in occasione di concerti o rassegne di musica tradizionale. I “triunfisti” avevano anche un ricco repertorio di canti in latino, come  e Litaniae lauretanae, che in italiano. 

    -La DIES IRAE, più che una preghiera è una esortazione rivolta agli astanti affinché stiano attenti agli insegnamenti divini altrimenti si incorre nell’ira di Dio nel giorno del giudizio universale. Si tratta di una sequenza in lingua latina, molto famosa, nella quale si descrive il giorno del Giudizio universale, l’ultima tromba che raccoglie le anime davanti al trono di Dio, dove i buoni saranno salvati e i cattivi condannati al fuoco eterno.

    Il popolo è stato attratto a da questa sequenza sia perché in rima baciata sia perché evoca scenari terrificanti di morti, castighi eterni, di collera di Dio, ma l’ha adattato alla sua cultura creando i diessilla una sorta di filastrocca dove si mescola il dialetto col latino.   

    - Le ORAZIONI sono brevi leggende sacre, endecasillabo è il loro verso, ottave, sestine, quartine le strofe che venivano cantate la sera lungo le vie o davanti le case di devoti, cantate da ciechi cantastorie, che celebravano le ricorrenze dei santi venerati dal popolo. I mercoledì di San Giuseppe, i Venerdì della Passione, le Novene di Natale, dell’Immacolata, della Madonna del Carmine, delle Anime dei corpi decollati, la tredicina in onore di S.Antonio ecc…

    Visto che i numerosi canti tramandati oralmente erano formati da migliaia di versi, ogni cantore, servendosi della sua lunga esperienza, riusciva a improvvisare i versi dei suoi canti secondo l'ispirazione del momento, così, succedeva che un canto non veniva mai cantato due volte in modo perfettamente uguale. 

    A loro era proibito suonare musiche cosiddette profane e dovevano attenersi al repertorio scritto dai sacerdoti. Oggi è scomparsa la figura degli Orvi, chiamati anche ninnariddari, sunatura, triunfisti     

    A proposito dei cantastorie ciechi, il Marchese di Villabianca nel Settecento, così scrive: <

    Mentre  Lionardo Vigo, nell’Ottocento, a proposito dei cantastorie ciechi, così scrive: << I ciechi, in tutta la Sicilia vivono suonando il colascione, chi il violino, e cantando canzoni e storie sacre e profane. Quasi tutti coloro che nascono ciechi o perdono in gioventù il ben della vista, si addicono al mestiere del canto e della musica>>. 

    Anche Pitrè così li descrisse: <>.   

     

    Anche i “Ninnariddara” erano dei suonatori e cantori, generalmente poveri e spesso non vedenti che, per sbarcare il lunario,  suonavano nei circoli, dai barbieri e nei locali pubblici in generale, e  in occasione del Santo Natale intonavano le nenie natalizie, dette “ninnaredde” o “canti di naca”.  Come compenso si dava loro una offerta in denaro o “cosi duci” di Natale e un bicchiere di vino. Sulla Ninnaredda Ne parlo più ampiamente in apposito argomento.

     

    Dopo gli anni ’50, per come è successo a moltissime nostre tradizioni, questi canti sono scomparsi,  dissolti nel nulla, inghiottiti dalla globalizzazione.

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