Dall'Inghilterra alla Sicilia tra miniere di zolfo e vigneti. Quando le relazioni commerciali crearono sviluppo e posti di lavoro
del 2018-03-09
Fra la fine del 1700 e i primi del 1800 l’Inghilterra, per allargare la sua influenza commerciale e militare nel Mediterraneo, aveva allacciato relazioni commerciali, col Regno di Napoli.
A seguito della rivolta giacobina e dell’invasione francese del Regno di Napoli, Ferdinando II Re di Napoli, il 21 dicembre 1798 fuggiva alla volta di Palermo sulla nave inglese dell'ammiraglio Horatio Nelson. In quella occasione gli inglesi protessero la Sicilia dall’attacco delle truppe francesi.
Il re Ferdinando di Borbone, nel 1799 aveva voluto esprimere la sua riconoscenza agli Inglesi e aveva nominato il comandante di quella flotta, l'Ammiraglio Nclson, “Duca di Bronte” e donandogli 7000 ettari di un fertile e ricco territorio sistemato sulle pendici occidentali dell'Etna.
Il Re Ferdinando tornò a Napoli al giugno 1802, grazie anche all’aiuto inglese dove eseguì una dura repressione.
Un altro intervento militare inglese, che salvò di nuovo il re e la sua corte dai Francesi avvenne nel 1806. Il 23 gennaio Ferdinando si era imbarcato sull'Archimede alla volta di Palermo.
Anche quella volta gli inglesi avevano protetto la Sicilia da una possibile invasione francese comandati da Gioacchino Murat, che stavano scendendo dalla Calabria. In quella occasione. mentre una potente flotta vigilava le acque e i porti dell'isola, un esercito di 5.000 soldati inglesi era schierato sulle coste da Messina a Siracusa.
Il 3 marzo 1808 tra la Corte di Palermo o e quella di Londra, preoccupata dell'influenza dei napoletani presso il re Borbone, si era concluso un trattato d'alleanza per cui l'Inghilterra otteneva ogni tipo di franchigia per le sue truppe e la sua flotta, impegnandosi a mantenere un corpo di spedizione di circa 10.000 uomini.
Ma la presenza inglese in Sicilia non fu solamente militare, dalla II metà del 1700 in poi, la presenza di mercanti e di imprenditori inglesi crebbe notevolmente sino a raggiungere la massima intensità nel decennio di protettorato (1806-1815). Nel 1784 era arrivato in Sicilia John Woodhouse, uno dei più importanti commercianti inglesi, per acquistare ceneri di soda; qui si rese conto della potenzialità che offriva il settore vitivinicolo nell’area trapanese, e incominciò a dedicarsi alla produzione e alla commercializzazione del vino Marsala.
Dopo il 1806 arrivarono a Marsala altri commercianti inglesi, come Benjamin Ingham, Baron Beverley, Bernard Bishoff, James Carlill, William Turner, che, sull’esempio di Woodhouse, si inserirono nel settore vitivinicolo. La provincia di Trapani divenne gradualmente anche centro di affari di altre ditte e di altri connazionali inglesi, come James Hopps e Joseph Payne a Mazara, che si occuparono dell’esportazione di ceneri di soda, manna, mandorle e vino, Gli inglesi furono dei grandi imprenditori, che riuscirono a superare con grande spirito d’iniziative e con impiego di capitali adeguati, a superare i grandi ostacoli della cultura e burocrazia locale, avviando un processo di modernizzazione della Sicilia.
A seguito della grande richiesta di vino e mosto, la coltivazione della vite si estese dal marsalese in tutta la provincia di Trapani raggiungendo Castelvetrano e Salemi. Nello stesso tempo si sviluppò fra gli imprenditori locali la moderna concezione della coltivazione della vite e dell’industria enologica. Uno di questi imprenditori locali fu Vincenzo Florio, che presto entrò in competizione con un suo stabilimento vinicolo a Marsala a poca distanza da quelli di Woodhouse e Ingham.
Per quanto riguarda le miniere di zolfo della Sicilia, nel 1815, all'indomani del Congresso di Vienna, Londra e Napoli avevano stilato un trattato commerciale, in base al quale i mercanti inglesi si accaparrarono l'intera, o quasi, produzione di zolfi, con guadagni favolosi, senza lasciare utili alla Sicilia.
Inoltre, al pari di Malta, la Sicilia divenne per gli Inglesi base militare di importanza strategica nel Mediterraneo.
Ferdinando II, accortosi dell’errore, per rimediare diede in concessione il commercio degli zolfi a una società francese che lo avrebbe pagato almeno il doppio di quanto sborsavano gli inglesi.
Il visconte Lord Palmerston, primo ministro inglese, nel 1836 mandò una flotta nel golfo di Napoli minacciando bombardamenti, sbarchi; ma Ferdinando II non si smarrì, e ordinò a sua volta lo stato di allarme nei forti della costa e tenne pronto l'esercito nei luoghi del probabile sbarco. Pareva dovesse scoccare la scintilla di guerra da un momento all'altro. Ci si mise fortunatamente di mezzo Luigi Filippo d'Orleans e la Francia prese su di sé la mediazione, che non fu molto favorevole al Regno del Sud; anzi il regno napoletano ci rimise, ma l'Inghilterra se la legò al dito come supremo oltraggio.
Si aggiunga, inoltre, che Lord Palmerston aveva avuto motivi, e gravi, di astio se non proprio di odio nei confronti di Ferdinando II: si era illuso che sua nipote, Penelope Smith, sposata ad un Borbone, precisamente a Carlo, principe di Capua, fratello minore di Ferdinando scapestrato, fosse ammessa, quale regale parente o almeno quale regale affine, alla corte di Napoli, col rango di Principessa reale. Ma Ferdinando non volle a casa sua una borghese, per giunta straniera, e alquanto avventuriera.
Nel corso di questo periodo storico, la nobiltà e gli intellettuali siciliani avevano avuto intensi rapporti di simpatia e amicizia verso gli Inglesi, dominatori del mondo, ma per educazione tradizionale si presentavano freddi e riservati. Di contro, gli inglesi si erano innamorati di quei nobili dalla calda e spensierata maniera di vivere alla grande, che disdegnavano il lavoro e dissipavano le loro residue ricchezze tra i piaceri della buona cucina, gli amori passionali e i lieti festini. Gli uni e gli altri, che si consideravano perfetti come la massima espressione della volontà divina, non potevano che piacersi.
Dalla fine dell'Ottocento era andata crescendo l’ammirazione per gli inglesi da parte della nobiltà siciliana e delle migliori famiglie dell'isola e molti dei loro rampolli continuavano a frequentare l’Inghilterra, imparentandosi con famiglie della buona società britannica, mentre l’uso di istitutrici inglesi per i propri figli era diventato simbolo di orgoglio e di vanto.
A seguito di questa amicizia, la nobiltà palermitana continuò a sperare che la città, sede della Corte Reale Borbonica e di Lord Bentinck, potesse tornare a essere la capitale del Regno di Sicilia.
Londra, in contrasto con la corte Borbonica, miravano a impossessarsi dell'isola per farne, assieme a Malta, la loro più grande base operativa del Mediterraneo.
A tale scopo ne agevolavano le aspirazioni indipendentiste, plagiavano i nobili, e cercavano di mettere il Parlamento siciliano contro Corte e Corona. Spinsero al punto che, il 18 luglio del 1812, riuscirono a far sì che il Parlamento Siciliano approvasse all'unanimità una nuova Costituzione Liberale in 15 articoli che, costruita sul modello inglese, limitava i poteri del Re, aboliva i privilegi feudali, stabiliva la parità dei cittadini di fronte alle leggi, garantiva la libertà di stampa e di pensiero, etc.
Per tutto il periodo risorgimentale erano proseguiti gli intensi rapporti tra le logge della massoneria siciliana, che raccoglieva la nobiltà e la migliore intelligenza dell'isola, e la Gran Loggia di Inghilterra, grande madre di tutti i principi di libertà e di democrazia, cui tutti guardavano con ammirazione e deferenza. La massoneria inglese aveva finanziato l'impresa garibaldina in Sicilia anche corrompendo i due generali borbonici Landi e Lanza.
Durante la Seconda Guerra Mondiale si era rinsaldato l’antico legame tra i nobili siciliani che disprezzavano il rozzo regime fascista e di quei zoticoni in camicia nera che venivano dal nord a imporre la loro volontà, e gli Inglesi, che non avrebbero mai potuto considerare come nemici.