Ricordando la pesca di un tempo a Selinunte negli anni '60. Quando nell'attesa non c'erano i social
di: Pietro Errante - del 2018-04-22
La pesca dai moli e dalla riva era uno dei passatempi preferiti nelle estati selinuntine degli anni 60-70. Non c'erano molti altri svaghi, fortunatamente niente telefonini, niente social network, pochissima tecnologia, ma tanta umanità in più.
Ci si ritrovava volentieri tra le barche dei pescatori tirate a riva durante le burrasche di scirocco, per ascoltare racconti di mare, carpire i segreti di pesca, apprendere le previsioni meteo, le correnti e le maree.
Tra quelle barche apotropaiche, i visi scavati dal sole e dalla salsedine, le mani ruvide e l'imponenza muscolare, le voci, rotte dal fragore dello scirocco, raccontavano episodi fiabeschi, insegnavano lezioni di vita e di fatica. Si restava incantati da tanta saggezza!
Pochi i soldi, poche le canne da pesca che solo i benestanti si potevano permettere. I più fortunati andavano in barca a raggiungere le secche con la certezza di portare a casa un buon quantitativo di pescato.
Chi non aveva barca e neanche canne con mulinello si arrangiava alla meglio. Mio papà che era un incallito appassionato di pesca soprattutto dalla riva, si alzava alle due di notte per raggiungere la foce del Belice dopo circa un ora di cammino.
Sulla bellissima rena dorata svolgeva in circolo la sua lenza per almeno cento metri, si insinuava nel bellissimo fondale proprio di fronte al Belice e fatti almeno trenta metri effettuava un lancio con metodo rotatorio degno del miglior lancio del martello (specialità dell'atletica). Ritornava in spiaggia strattonando leggermente la lenza ai cui tre ami erano impigliate con maestria sarde e gamberi dall'odorino poco... raccomandabile.
Stava ore ed ore con quella lenza gettata a cento metri, fissando il mare con lo sguardo rivolto sempre al punto di entrata di piombo e ami con relative esche. Appena il sole diventava cocente, verso le 9,30, raccoglieva la lenza curando di non aggrovigliarla e si incamminava per la via del ritorno (un' altra ora). Tornava a casa verso le 10,30 sfinito ma felice. Un buon pasto ed una bella dormita e tutto tornava a posto come prima.
Con questo metodo molto artigianale mio padre (dopo tanti tentativi spesso infruttuosi) riuscì a pescare molte prede di ogni genere ma la sua più grande impresa fu quella di catturare una spigola di tredici chili con cui lottò per tre ore, prima di riuscire a farla avvicinare alla riva quando fu necessario che alcuni pescatori selinuntini, accorsi alle urla di mio padre, si tuffarono in mare per recuperare l'enorme pesce che continuava a dimenarsi per sfuggire alla cattura.
Ricordo ancora l'immagine nitida e scolpita nella memoria di mio padre che tornava dal Cantone con un pesce alto quasi quanto lui ed un codazzo di pescatori e amici che si complimentavano per la fantastica preda. Era una spigola di tredici chili, fantastica, meraviogliosa. Mangiammo pesce per una settimana intera e molto del pescato fu dato in omaggio a parenti ed amici.