"Quella corsa pensando che mia sorella fosse morta. Le urla e una gioia incredibile". Storia di Marta e Antonietta
del 2018-01-14
Marta ha ancora negli occhi quella tragica notte del 15 gennaio del 1968. Allunga le braccia e le stringe attorno al petto, come se sua sorella Antonietta fosse ancora quel fagotto di carne che ha tratto in salvo dalle macerie della sua casa di Menfi. Sono passati cinquant’anni da quella notte, ma il ricordo di Marta Li Petri, oggi sessantenne, è ancora vivo. La corsa disperata tra le macerie, i blocchi di pietre che crollavano dalle case, la fitta nebbia di polvere e la sua sorellina di appena un anno, che credeva morta.
Quella notte, intorno alle due, ci fu una violentissima scossa. Marta dormiva dalla nonna, a pochi isolati da casa sua. Il suo pensiero fu la sua famiglia, i suoi genitori, suo fratello Filippo di appena tre anni, sua sorella Lilla di undici e la piccola Antonietta di un anno. Correva disperata, per raggiungere le persone che amava. Ha avuto il coraggio di attraversare due lunghe vie e la piazza principale per raggiungere la sua casa. Non vedeva nulla, il fumo annebbiava la vista, gli ostacoli erano tanti.
Calcinacci che cadevano, cornicioni, gente che urlava impaurita in preda al panico e blocchi di pietre che ostacolavano la strada e rischiavano di farla cadere. Ma lei è riuscita ad entrare in casa e a salire le scale. La scena che si trovò di fronte era agghiacciante e ancora oggi il ricordo fa male.
I suoi genitori e i suoi due fratelli urlavano disperati perché incastrati in camera da letto da un blocco di tetto che era crollato e aveva diviso la stanza in due.
Dall’altra parte, da sola, nella culla ricoperta di calcinacci c’era la piccola Antonietta. Marta l’ha presa tra le sue braccia e sua madre l’ha inviata a scappare e cercare di salvare la sua sorellina anche se ormai la credevano morta. Urlava e la invitava a fuggire e chiedere aiuto, ma soprattutto di non pensare a loro, perché forse non ce l’avrebbero fatta.
Comincia la corsa disperata di Marta, tra il fumo e le macerie con in braccio la piccola Antonietta che non dava cenni di vita. Marta urlava e piangeva. Chiedeva aiuto, ma nessuno le dava retta in preda al delirio che li nella piazza principale stava accadendo da oltre due ore. Poi l’intervento di un anziano che ha mosso la neonata e capito che era svenuta a causa dei calcinacci che l’avevano avvolta.
“Il mio ricordo è vivo dentro me, la ferita è ancora aperta e ogni anno, per l’anniversario sono triste, ma nello stesso tempo mi sento fortunata - racconta Marta - perché siamo sopravvissuti. Quell’anziano che si chiamava Don Gioacchino Mistretta, fu un angelo custode per me. Le mie urla di gioia quando scosse mia sorella e la rianimò con dell’acqua capendo che era ancora viva, si sentirono in tutta la piazza. Dopo la felicità di avere scoperto che mia sorella era viva, cominciai a piangere per la mia famiglia perché credevo fossero ormai morti sotto le macerie.
Davanti a me, cominciava a crollare parte della chiesa Madre, il fumo e il delirio della gente e’ qualcosa di indimenticabile, come indimenticabile è stata la gioia nel rivedere i miei genitori e i miei due fratelli correre verso di me. Mia madre si inginocchio’ e baciò il terreno non appena apprese che mia sorella era viva, ci abbracciammo e scappammo verso la villa comunale, sotto la piazza, dove tutti si riparavano”.
Una notte che Marta non dimenticherà mai più, come non dimentica la nonna che ebbe un brutto presentimento la sera della violenta scossa. Disse a Marta di non dormire in pigiama, ma vestita. La mattina c’era stata la prima avvisaglia ma nessuno poteva immaginare quello che sarebbe accaduto.
“ Le nostre case - continua a raccontare - non esistevano più - erano invivibili e cosi andammo a vivere in tenda alla villa comunale e poi in baracca e ci siamo stati fino agli inizi degli anni 90”. Marta racconta anche della scuola. Frequentava la quinta elementare e dopo il terremoto, per parecchi mesi nessuno andò più a scuola, fin quando aprirono in baracca “Il centro studi” dove delle crocerossine davano lezioni ai bambini sul programma perso in quei mesi.
Ed è li che conobbe una donna che non dimenticherà mai, la donna che poi divenne la seconda moglie del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Emanuela Setti Carraro e che mori poi il 3 settembre 1982 cinquantaquattro giorni dopo il matrimonio, a 31 anni, vittima dell'attentato mafioso in cui vennero uccisi, oltre a lei stessa, il marito. “non dimenticherò mai la dolcezza di Emanuela, le sue dolci parole di conforto, le sue lezioni. Una grande donna”.
Francesca Capizzi