Le sacre ceneri nella tradizione castelvetranese ricordando i predicatori del passato
di: Vito Marino - del 2018-02-14
Con le Ceneri aveva inizio il periodo quaresimale che veniva a ricordarci che si tornava alla vita di tutti i giorni e che tutti noi siamo destinati a morire e a tornare polvere (Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris).
Dal settimanale il Faro a.8,n,12, Trapani 1966, da un articolo di Giovanni Asaro nostro concittadino: "Il rito risale al IX secolo d. C. e cade sempre il mercoledì della settimana detta di Quinquesima (dopo i tre giorni di Carnevale). Intorno al 1930 -scrive G. Asaro-, l’imposizione delle ceneri veniva praticata dal cappellano maggiore in paramenti violacei, sul capo della principale autorità del clero, l’arciprete.
Le ceneri si ricavavano bruciando le palme e gli ulivi benedetti acquistati l’anno precedente dai fedeli la Domenica delle Palme. Accompagnava il gesto la formula 'Ricordati uomo che sei polvere ed in polvere tornerai'."
La baldoria carnevalesca aveva fine alla mezzanotte del martedì, ultimo di Carnevale, o l’ultimo degli “sdirri”. Si cenava in fretta, perché il campanone del duomo alle 24 precise intonava i rintocchi cadenzati, che annunciavano la fine della baldoria.
Il primo giorno di quaresima si mangiava minestra di verdura e frutta e il rito in chiesa avveniva alle 9. Alle 8,30 venivano bruciati assieme ad un fascio di tralci di vite le palme e gli ulivi benedetti dell’anno precedente. Il sacerdote ufficiante aspergeva con dell’acqua benedetta. Il cappellano maggiore prelevava un pizzico di cenere e ne cospargeva il capo dell’officiante. I pezzetti di tralci rimasti si dividevano ai presenti, compreso il capo del clero. A casa ogni famiglia trasformava il piccolo tralcio in una piccola croce che sistemava nella parte interna della porta di casa che sarebbe servita per preservare la casa da fulmini, carestia, malocchio, morte subitanea. Questa cerimonia si svolgeva nelle varie parrocchie.
Dopo il rito aveva luogo la messa solenne (la missa ranni) e quindi la predica del “patri quaresimalista” (padre predicatore). Secondo la credenza popolare da quella predica, a seconda del giudizio del popolo giudicante, si prevedeva l’andamento buono o cattivo dei restanti giorni di quaresima. Sempre secondo Giovanni Asaro, nella chiesa Madre la funzione e predica avveniva di mattina, mentre nella II parrocchia, quella di San Giovanni (allora le parrocchie erano soltanto due) aveva luogo nel pomeriggio; tutto questo per dare possibilità ai fedeli di intervenire nelle due manifestazioni.
I fedeli, tranne le donne, dovevano dare un giudizio sulla predica, tenendo conto della parte oratoria ma anche della voce, dell’enfasi oratoria e dell’aspetto fisico dell’oratore. Il giudizio si estrinsecava la domenica successiva con la presenza di persone intellettuali o qualificate che affollavano di più una delle due parrocchie. Pertanto i due predicatori, che venivano da altri paesi anche lontani, si preparavano bene la predica per essere giudicati in maniera positiva. Se il numero dei fedeli restava invariato, i due predicatori erano invitati, da apposita commissione presso la chiesa del Purgatorio a svolgere una serie di conferenze a tema libero, dove assistevano persone di alto livello ad invito.
Castelvetrano nel passato aveva grandi predicatori, come il canonico Lorenzo Curti, can. Alvaro, can. Giovanni Errante Parrino, Francesco Maggio, can. Vito Pappalardo. In tempi più recenti abbiamo avuto l’arciprete don Melchiorre Geraci. Ma l’usanza era quella di farli venire da Diocesi anche lontane, come i quaresimalisti Gregorio Ugdulena grecista e patriota e il glorioso Bernabita Ugo Bassi.