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“Li mennuli” tra ricordi, lavori di un tempo e l’indimenticabile “scutulata”

di: Vito Marino - del 2018-08-10

Immagine articolo: “Li mennuli” tra ricordi, lavori di un tempo e l’indimenticabile “scutulata”

(ph. www.siciliafan.it)

La lettura del romanzo “La Minnulara” di Simonetta Agnello Hornby mi ha riportato al mio lontano passato, diciamo intorno agli anni ’50, quando nella calma delle assolate giornate dei primi di agosto nei “minnuliti” si sentiva “scutulari li mennuli” il rumore caratteristico delle canne che percuotevano i rami dei mandorli per farne cadere il frutto, ormai maturo e con il mallo già aperto (la bacchiatura).

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  • Rivedo il “minnulitu” bruciato dal sole e dalla lunga siccità, con le poche piante erbacee cresciute su un terreno roccioso, già essiccate; le foglie dei mandorli ormai cineree e senza vita cadono per terra, solo qualche ciuffo di gramigna timidamente cerca di proliferare sfuggendo all’occhio vigile del contadino. Noncuranti dell’arsura i grilli fanno sentire il loro richiamo amoroso.

    Di mattina, “a li sett’arbi” (alle sette stelle dell’alba), come di consuetudine, i contadini sono già “all’antu” (luogo di lavoro), pronti per iniziare la raccolta, approfittando della frescura mattutina. Hanno portato con loro le canne lunghe e robuste, panara, carteddi e capienti sacchi di canapa. I contadini, come è loro consuetudine, sono numerosi, poiché in occasione della raccolta dei frutti usano aiutarsi a vicenda, per sbrigarsi prima, ma principalmente per non sentire la noia della solitudine e della fatica del duro lavoro.

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  • In questo periodo la pianta è cosparsa di pidocchi delle piante; si tratta di piccoli insetti che, muovendo i rami e le foglie si alzano a nuvole e  si appiccicano alla pelle sudata e punzecchiano, recando una sensazione di continuo fastidio.

    Il contadino cerca di rimediare indossando una camicia a maniche lunghe e portando sulla testa un cappello di paglia con un fazzoletto a contatto con la testa. Ogni tanto il rumore delle canne diventa più forte e più veloce a causa di qualche mandorla che, malgrado il colpo ricevuto, non si vuole staccare.

    Allora, nonostante la fatica, era consuetudine cantare in maniera collettiva oppure qualche giovanotto faceva sentite la sua voce tenorile per attirare l’attenzione di qualche ragazza presente alla raccolta. In alternativa scherzavano, si raccontavano “li smafari” (le antiche barzellette) o si prendevano in giro a vicenda.

    I mandorleti, durante la Civiltà Contadina erano numerosi. Essi richiedevano meno lavoro e meno spese per la produzione, mentre il frutto si vendeva ad un prezzo accettabile. Allora per bonificare i terreni rocciosi l’unico sistema era quello naturale: piantare mandorli o fichidindia che, con le loro radici riuscivano chimicamente a frantumare le rocce più dure e, col trascorrere del tempo rendere coltivabile il terreno. Ma il lavoro non di fermava alla raccolta, i sacchi pieni si portavano col carretto al paese o “a li casi”, quando i contadini abitavano in campagna, e qui si completava il lavoro.

    Intanto si dovevano “scurciari”, cioè togliere il mallo ancora rimasto attaccato alla mandorla, quindi metterle ad essiccare al sole, per evitare il formarsi dei bruchi, e infine “fari la ntrita” (schiacciarle una per una) e “assiddiiri” o “annittari” (separarli dalle bucce legnose frantumate). Il mallo si buttava attorno agli alberi come concime naturale, mentre le bucce legnose si usavano o si vendevano come ottimo combustibile. La cenere si vendeva per l’alto contenuto di potassa.

    Nel 1800 venivano commercianti addirittura dall’Inghilterra per comprare cenere. In quegli anni in tutte le case dei contadini esisteva la “catasta di fumeri” (oggi diremmo la “compostiera”), dove finivano tutti i prodotti biodegradabili di casa. Il riciclaggio allora era già conosciuto ed attuato per proprio interesse e nel rispetto assoluto della natura.

    Fra le mandorle buone ce n’erano alcune il cui mallo non si poteva togliere perché faceva parte unica con la buccia legnosa e si chiamava “sulame”. Queste mandorle venivano schiacciate lo stesso, ma il più delle volte erano vuote o erano di cattiva qualità.

    Durante la civiltà contadina si faceva molto consumo di mandorle, mangiate col pane o trasformati in dolci; l’eccedenza si vendeva ai commercianti, che arrivavano anche da altri paesi con i carretti, girando per le strade e “abbanniannu” (annunciando a viva voce che compravano mandorle) oppure ai dolcieri locali. Chi ha vissuto in quegli anni non può fare a meno di ricordare e sentire una stretta al cuore.

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