Ricordando Michele De Sabato, medico galantuomo che girava a bordo del suo calesse
di: Vito Marino - del 2018-11-16
Il 17 dicembre 1973 moriva a Castelvetrano all’età di 103 anni il dottor Miche De Sabato. Chi ha una certa età certamente lo ricorda, perché tutti in paese lo conoscevano; onestamente, credo che due paroline per rievocarlo li merita veramente.
Nato nella nostra città il 24 novembre 1870, si era laureato a Napoli a 24 anni a pieni voti. Invitato da quelle maestranze mediche ad intraprendere l’insegnamento universitario, dopo qualche anno volle tornare alla sua Castelvetrano, per portare soccorso ai suoi concittadini.
Esercitò la sua professione per 50 anni come direttore sanitario e primario di chirurgia e medicina presso l’ospedale Vittorio Emanuele II di Castelvetrano fino al 1945.
Dopo, continuò a far visite anche a domicilio. Tutti quelli che lo conobbero ricordano la sua competenza in ogni ramo della medicina e le sue diagnosi sempre esatte; ricordano anche la sua grande umanità, disponibilità e generosità.
Fino al 1950 circa eravamo ancora in piena civiltà contadina, anche se il benessere bussava alle porte. Allora, le terre, le uniche ricchezze del paese, erano concentrate in mano a pochi possidenti; solo costoro avevano la possibilità di poter far studiare i figli fino alla laurea.
Costoro trattavano malissimo i contadini, che erano costretti a lavorare “di lu scuru a lu scuru” (dalla mattina ancora al buio alla sera al buio), insultati e disprezzati, per un tozzo di pane; allora ancora non esistevano le pensioni e l’assistenza sanitaria gratuita.
Il Dott. De Sabato pur essendo un possidente, esercitò la sua professione con onestà, perché la considerava una missione; egli visse per gli altri e dai poveri non pretese mai alcun compenso: terminata la sua visita, senza chiedere nulla, salutava e se ne andava.
Tutti, però, cercavano di contraccambiare la sua generosità con regali in natura, con prodotti proveniente dalle campagne. Umili ricompense fatte con il cuore, accompagnate da benedizioni e ringraziamenti, le uniche ricchezze che i poveri di allora potevano permettersi di elargire. Medico d’altri tempi, abbondava in visite domiciliari e teneva sotto controllo il paziente.
Lo ricordiamo sempre sul suo calesse e con il puledro dell’anno legato dietro; anche in inverno si recava al capezzale dei suoi ammalati poveri, infagottato col berretto in testa e lo scialle sulle spalle. Ogni giorno lo vedevo passare, mentre si recava a fare visita a sua figlia, moglie del Commentatore Infranca e alla nipotina. Purtroppo, quando la sua nipotina, figlia unica, morì per un male incurabile, la sua bravura non era valsa a nulla.
Nella sua tarda età, sebbene non avesse più il dono dell’udito, egli visitava i suoi pazienti con le mani e con la sua grande esperienza; i suoi familiari e i pazienti comunicavano con lui scrivendo sulla lavagna. Quest’uomo nobile, esperto, simpatico anche, che metteva tutti a proprio agio e che curava il malato più che la malattia, eseguiva piccoli interventi chirurgici anche a domicilio, quando la situazione richiedeva di non perdere tempo.
Quando ero ragazzino una volta accompagnai mia zia “Ciccina”, che accusava sempre acciacchi, in casa del dottore per una visita. Lui, ottantenne, lesse quanto mia zia aveva scritto sulla lavagna, quindi visitò e diede la diagnosi. Ricordo che anche “Zia Maria”, un’altra zia che aveva la gola gonfia per la tonsillite, disperata perchè non poteva respirare, si era fatta visitare da lui, che con una spilla disinfettata al fuoco l’ha punta alla gola facendo scaricare del sangue.
A quei tempi l’ospedale incuteva terrore, ancora non c’era il culto del ricovero se non costretti da casi d’indispensabili interventi chirurgici. Allora ci si curava in casa con la cura popolare delle erbe, o con le orazioni. Nei casi più gravi si chiamava il medico in casa.
Questo personaggio non era un letterato, un giornalista, un uomo politico, non faceva grandi amicizie, non si sedeva al bar a spettegolare; egli, porte vous? ur vivendo nell’ombra, era conosciuto e stimato da tutti, perchè tutti in paese avevamo più o meno bisogno di lui.
Pertanto dopo la festa dei cento anni e dopo la morte, con un trasporto funebre a cui partecipò mezzo paese, tornò nell’ombra per come era vissuto.
Tuttavia, nel quartiere nuovo di Via Campobello esiste una via a lui dedicata. Se nessuno pensa ad una commemorazione, ritengo giusto almeno richiamarlo alla memoria di chi l’ha conosciuto.