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“La birrina, lu mpalaturio e lu zzappuni strittu”. Ricordando gli antichi attrezzi per la lavorazione della vigna

di: Vito Marino - del 2018-10-05

Immagine articolo: “La birrina, lu mpalaturio e lu zzappuni strittu”. Ricordando gli antichi attrezzi per la lavorazione della vigna

(ph. www.tripadvisor.com.sg)

Durante la civiltà contadina i nostri nonni eseguivano tutti i lavori inerenti alla produzione agricola manualmente a forza di braccia e con l’ausilio degli animali da soma. Dagli inizi del 1800 e fino a qualche decennio fa, Castelvetrano produceva molto vino. Di conseguenza il contadino era attrezzato per la lavorazione della vigna. Fra questi attrezzi voglio citare, forse perché erano molto pesanti da usare, “la birrina, lu mpalaturio e lu zzappuni strittu”.

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  • La birrina” è formata da un massiccio e pesante blocco di legno duro con due manici, con al centro infilzato un lungo palo di ferro che finisce a punta. Serviva quando si doveva impiantare un vigneto per bucare uno strato di roccia, per far passare la “barbatella” (la pianta selvatica della vite; il porta innesto americano). Se non si riusciva, si usava “lu zappuni strittu”, una zappa dalla punta più stretta di quella ordinaria, ma molto pesante. Quando non si riusciva o quando si trovava uno strato roccioso molto spesso o molto duro, per frantumarlo si usava “la pruvulata” (la polvere da sparo).

    Con l’avvento dei potenti trattori, che con l’aratro ad un solo vomere riescono a bonificare i terreni rocciosi, questo aggeggio non si usa più. Volendo parlare di come si impianta un vigneto, dissodato il terreno, si spietra si lavora per spianare bene e si “assesta” con una “catena” (anche una corda) più lunga possibile. Sulla catena si riportano dei segnali alla distanza voluta; per il vigneto ad alberello era di mt. 1,50 x 1,50, ora è di 1,50 x 2,50 .

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  • Distesa la catena si infilzano delle cannucce, come segnale alla distanza già detta, segnata nella catena. Verso il mese di gennaio in corrispondenza delle cannucce si fa un buco con “la birrina” o con "lu ‘mpalaturi” e si infila (si mette a dimora) il portainnesto (barbatella).

    Lu ‘mpalaturi” è un altro attrezzo agricolo manuale simile alla “birrina” ma più leggero e con un palo più corto. Serviva per praticare nel terreno vicino alla pianta di vite un foro per infilzarvi una canna solida o un palo, per sostenere la pianta quando era in piena vegetazione. Per potare la vigna si usava “lu rincigghiu” un attrezzo manuale: una lama di ferro, arcuata e larga che finisce a punta da una parte e la “pinnedda”,  con un taglio di circa 3 cm. alla punta dall’altra parte.

    Con la lama arcuata, molto affilata, si tagliavano i tralci delle viti, mentre con la pinnedda si tagliavano i germogli che spuntavano dalle radici. Intorno agli anni 50 le forbici per potare, più maneggevoli, hanno soppiantato questo arnese. Come residui della lavorazione dell’uva, ci sono le vinacce, che si usano come concime per l’agricoltura e per ottenere dei vinelli destinati alla distillazione e la feccia che filtrata al massimo cede ancora un poco di vino.

    Oggi, per quest’ultima lavorazione ci sono centrifughe e filtri speciali; una volta si usava il “culaturi”: si trattava di un vaso in legno di castagno a forma tronco-conica che serviva a raccogliere il vino che filtrava dal sacco di olona posto al suo interno e dentro il quale veniva messa la feccia ricavata dai residui  della fermentazione del mosto e depositata sul fondo della botte o del tino. 

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