Il problema dei cani ma anche dei padroni nell'epoca moderna
di: Vito Marino - del 2018-10-16
La città di Castelvetrano è da tempo sotto il mirino della stampa per l’immondezza, per il bilancio comunale che piange, per tutti gli edifici pubblici e privati, anche di un certo interesse architettonico che vanno in rovina e finanche per il canile comunale che tratta malissimo le povere bestie.
Per quanto riguarda il canile che va male, il comune si giustifica che non avendo soldi nemmeno per le spese correnti, non può stanziare altri soldi per gli animali. Ma la vera colpa non è del Comune, ma degli stessi cittadini che si professano amanti degli animali.
In Italia, in difesa dei diritti degli animali contro l’abbandono, il randagismo, la vivisezione ed ogni forma di sfruttamento e maltrattamento a loro danno, giacciono inoperose diverse norme giuridiche, come la legge 281 del ’91, alcuni articoli aggiuntivi al Codice Penale (544 bis, 544 ter, 544 quatere, 544 quinquie), nonché la modifica all’art. 727, dove sono previste, per “i delitti contro il sentimento degli animali”, pene che variano da tre mesi a tre anni di reclusione, più multe che variano da 3.000 a 160.000 delle vecchie lire.
Inoltre, esistono varie associazioni ONLUS d’animalisti volontari come: L’APAS, VITA DA CANI, LEAL, OIPA, LAV. La popolazione degli animali da compagnia, fra cui anche il maiale e il serpente boa, aumenta in maniera incredibile per una infinità di motivi fra cui affari commerciali da capogiro.
Oggi, per una serie di circostanze dovute allo stile di vita moderna, si assiste passivamente al disgregamento della famiglia tradizionale formata da padre, madre e numerosa prole, legate insieme da un amore sincero ed un alto senso del dovere dettato dalla legge di natura.
L’apparente libertà, conquistata dai non sposati e dai divorziati, purtroppo ha un duro prezzo da pagare. Infatti, a queste persone viene a mancare l’affetto, l’amore, la pace e l’interesse alla vita, che solo una struttura familiare al completo di prole può dare. In mancanza di tutto ciò, si cerca un surrogato, adottando in casa dei cuccioli d’animali, preferibilmente di cane.
Queste povere bestie, anche se trattate meglio di una persona, crescendo non possono più dare quella tenerezza che suscitavano da cuccioli ma danno tanto disturbo, impegno e lavoro, che a lungo tempo diventano insopportabili. Pertanto, il padrone li trascura o li abbandona al loro destino, diventando spesso cani randagi che finiscono schiacciati dalle automobili e i più fortunati nei canili comunali.
Nelle città, i così detti amanti degli animali tengono spesso un grosso cane nel bagno di casa o sul terrazzo o nel balcone; per fare il bisognino, lo portano ogni giorno, molto civilmente, per strada. Così, camminando nelle nostre strade, già sporche e trascurate in ogni senso, bisogna guardare anche dove si mettono i piedi. Ma avviene anche di peggio: ci sono moltissimi cani legati alla catena dalla nascita ed altri rinchiusi dentro magazzini o ristretti recinti.
Il randagismo non è un fenomeno nuovo, c’è sempre stato e i cani sono stati sempre trattati male; si suol dire, infatti: “è trattato come un cane”. Leggendo per caso il giornale “vita Nuova” n.12 ddel 31 agosto 1913, trovo scritto: <<La tassa sui cani fu imposta da commissario prefettizio, consigliato a far ciò dall’angustie del bilanciio. L’amministrazione attuale, dopo averci pensato su, la richiamò in vita. Tale tassa ha il valore di impedire lo sconcio ed il pericolo dei cani vagabondi>>.
Nel ciclo naturale della natura, ogni essere vivente deve occupare il posto assegnatogli: l’uomo per il suo ruolo nei centri abitati, ed il cane dovrebbe stare nel suo ambiente naturale, purtroppo usurpato dall’uomo.
Fuori dal suo ambiente naturale, il cane si comporta in maniera insospettabile. In questi ultimi anni la stampa quotidiana ci ha sommerso di casi di cani che hanno sbranato gli stessi padroni e casi di branco che hanno fatto di peggio. E’ inutile rivangare nei casi particolari successi, poiché la stampa l’ha già fatto e commentato.
Quando un cane disturba il vicinato, incominciano i guai. Volendo rispettare le leggi in materia, bisogna rivolgersi ad un giudice con le testimonianze del caso e sopportare spese e lungaggini burocratiche, oltre all’odio del vicino. Per questo motivo il cittadino preferisce la “giustizia fai da te”. Così, inspiegabilmente, l’animale oggetto della disputa, muore avvelenato: “ha preso veleno” dirà il proprietario; ed il caso è subito chiuso “all’italiana”.
Il problema non è facile da risolvere, a meno ché non si facciano rispettare le leggi già citate costringendo tutti a considerare le bestie alla stregua delle persone.