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Tutti i Santi e la commemorazione dei defunti. Quando “lu squagghiumi” era venduto fuori dal cimitero

di: Vito Marino - del 2018-11-01

Immagine articolo: Tutti i Santi e la commemorazione dei defunti. Quando “lu squagghiumi” era venduto fuori dal cimitero

In un lontano passato si riteneva che la natura e il corso del tempo erano due elementi indivisibili; di conseguenza, lo spegnersi e il rifiorire delle stagioni rappresentavano la morte e il ritorno alla vita. Si pensava, inoltre, che i defunti avessero la possibilità e la capacità di proteggere i prodotti della terra; per cui gli uomini si prendevano cura dei defunti, offrendo loro quel cibo, che essi proteggevano e garantivano.

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  • Il I novembre, in tutti i popoli cristiani, si celebra la festa di Tutti i Santi, che rende onore a tutti i martiri e i santi della Chiesa, fu introdotta in Occidente da Papa Bonifacio IV alla fine del VI secolo e fissata al 13 maggio: su iniziativa di Papa Gregorio IV, nel IX secolo la data fu fissata al I novembre. Mentre la Commemorazione dei defunti fu fissata al 2 novembre nell'XI secolo, da Papa Giovanni XIX.

    Nel Vecchio Continente, la concezione della morte è stata diversa attraverso i secoli e da una località ad un’altra. Durante il Paganesimo c’era una credenza secondo la quale nella vigilia del 1 novembre i morti tornassero sulla terra sotto forma di fantasmi, demoni, gatti neri e si mostrassero a coloro i quali avevano fatto loro del male durante vita; il Cristianesimo conservò questa credenza.

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  • In varie regioni d'Europa si riscontrano usanze che hanno il fine di tenere lontani i morti perché considerati esseri malvagi. In alcune città della Germania, per tenersi buoni i defunti, i bambini accendevano candele e mettevano torte sulle tombe per nutrire gli antenati defunti che tornavano per fare loro visita. Oppure nelle case venivano apparecchiati cibi per i parenti defunti.

    A Castelvetrano il 1° novembre si usava andare in pellegrinaggio in chiesa e accendere dei ceri ai piedi delle statue dei vari santi con lo scopo di chiedere delle grazie per qualche parente o amico in condizioni di salute precaria, promettendo voti.

    Le famiglie più facoltose portavano in dono alle statue oggetti di valore come collane, bracciali, orecchini, etc., in ringraziamento. Il Siciliano ha esaltato da sempre il culto dei morti e delle tombe. Dopo la morte, secondo la sua cultura cristiana, non c’è il nulla eterno; il defunto, infatti, continua a vivere nell’aldilà, restando legato alla famiglia d’appartenenza, mentre i parenti viventi parlano di lui, “bon’arma”, in ogni occasione.

    I “ritratti” (foto) dei defunti, una volta stavano appesi alle pareti della “cammara” (stanza da letto tuttofare), a protezione della famiglia e della casa. Questa ricchezza d’animo, questa “corrispondenza d’amorosi sensi”, per come sosteneva il Foscolo, era qualcosa che il siciliano si portava dietro da millenni e nessuna colonizzazione era riuscita a portare via. I nostri nonni si rivolgevano spesso ai propri defunti per chiedere delle grazie; “li murticeddi”, riconoscenti, spesse volte venivano in sogno per accontentarli, dettando loro dei numeri da giocare al lotto oppure indicando loro l’ubicazione di tesori nascosti: le famose “attruvature” di cui ne parla ampiamente la nostra letteratura del passato.

    Il pensiero della morte accompagnava i nostri antenati nel corso della loro vita; morte intesa come castigo dei peccati commessi e come liberazione da questa vita povera e affrontata con sdegno, rassegnazione e senso d’impotenza allo stesso tempo.

    Tuttavia essi avevano un forte attaccamento alla vita, per l’amore familiare, per la casa e la terra, ma anche per il ricordo dei propri avi e per la nostalgia del passato; Il suicidio, tanto di moda fra i moderni popoli del benessere, nel passato era quasi sconosciuto; la speranza di un domani migliore dava più carica per non arrendersi alle avversità.

    Il Due Novembre, mentre tutto il mondo cristiano celebra la commemorazione dei defunti; in Sicilia, fino ad un recente passato, per i più piccoli era considerata “la festa di li morti”. Per non fare perdere ai bambini la memoria dei cari defunti, fino a qualche decennio fa, in quella ricorrenza, c’era la tradizione di portare loro dei doni e far credere, nella loro dolce innocenza, che a fare ciò erano “li murticeddi”.

    Per spiegare questo fenomeno, per loro soprannaturale, si sosteneva che i defunti, usciti dalle tombe, andassero a comprare dolciumi e oggetti vari e poi li portassero come regalo ai bambini più buoni. La delusione era forte, quando a scuola i ragazzi più grandi se ne ridevano della loro convinzione.

    L'origine ed il significato di questa usanza si collega certamente ad antichi culti pagani ed al banchetto funebre un tempo comune a tutti i popoli indo-europei, di cui si ha ancora un ricordo nel “cunsulu” siciliano.

    Come regali, i poveri potevano ricevere “lu scacciu” composto da frutta secca “calia e favi caliati, pastigghia, nuci, nuciddi, nuciddi americani e ficu sicchi” (ceci e fave tostati, castagne secche, noci, noccioline e arachidi e fichi secchi). C’era anche “Lu mmiscu”, composto da un miscuglio di frutta fresca (“ranati, cutugna” = melograni, mele cotogne), biscotti di vario tipo, frutta secca già citata. Non c’è da meravigliarsi  dei regali così miserevoli per i giorni nostri; ma la frutta allora era considerata un bene voluttuario alla stessa stregua dei dolci.

    Inoltre si regalavano “Li cosi di morti”: “Bombolona” (le caramelle artigianali di una volta), “tetù, muscardina, detti anche: “ossa di morti”, “mustazzola, quaresimali, viscotti picanti” (tutti biscotti artigianali), confetti, caramelle, cioccolatini, finte sigarette e soldoni di carta dorata o argentata ripieni di cioccolata.

    I dolci più caratteristici erano la frutta di “marturana” e “li pupa di zuccaru”. Da tener presente che una volta il vocabolo “dolce” non esisteva, si usava, invece, un nome composto “cosi duci” e nel caso in esame: “cosi di morti”; il dolciere si chiamava “cosaduciaru”.

    Per i benestanti c’erano anche vestitini, scarpette, camiciole, giocattoli. Il tutto era sistemato su una “nguantera” ben nascosta, per stimolare un loro maggiore interesse al risveglio. Per rispetto ai defunti durante quel giorno i genitori vietavano ai loro figli di cantare o fare schiamazzo e la radio trasmetteva soltanto musica da camera; lo stesso avveniva per il giorno di Venerdì Santo.

    Li muscardina” o “ossa di morti” sono dei biscotti di consistenza molto dura (adatta per chi ha buona dentatura), e di colore bianco e marrone; sono preparati con zucchero, farina, albume e acqua di chiodi di garofano, per questo vengono chiamati anche "Paste di Garofano".

    Così “lu iornu di li morti” i bambini andavano contenti con i genitori al cimitero a fare visita ai cari defunti per ringraziarli dei doni ricevuti. Ho trovato una preghiera che i bambini dovevano recitare la vigilia dei “morti” per stimolare “li murticeddi” a portare “li cosi di morti”: Animi santi, animi purganti, iu sugnu unu e vuiautri siti tanti mentri sugnu "ntra stu munnu di guai cosi di morti mittitiminni assai".

    Quando ero ragazzo, sulla tomba si accendevano le candele. La cera bruciata che colava “lu squagghiumi” era comprata a peso dai commercianti, che aspettavano fuori del cimitero; i ragazzi cercavano di raccoglierne il maggior quantitativo possibile, anche chiedendo il permesso ai vicini, per avere un maggior ricavo. Secondo Giovanni Asaro in “usanze e folclorismo” riportate in: “Il Faro”, 1966 "c’erano dei cantori di canti sacri che suonavano e cantavano a pagamento sulle tombe “litanie laudative” il 2 novembre".

    Io ricordo che giravano fra le tombe le suore e le orfanelle che, dietro un’offerta recitavano preghiere per i defunti. E’ con sommo dispiacere constatare che questa festa, creata per ricordare e non dimenticare i defunti, servendosi dell’innocenza dei bambini, scompaia, per far posto ad un’altra: Halloween di origine non cristiana, proveniente da una cultura non nostra, che permette di festeggiare streghe e folletti dei boschi nordici.

    Purtroppo, come frutto indesiderato della recente globalizzazione, i popoli economicamente e militarmente più evoluti, anche se dotati di una cultura di poco valore, hanno esercitato molta influenza su altri popoli, spesso con un più ricco patrimonio di conoscenze.

    Così in Sicilia si sono perduti o modificati dei valori umani inestimabili, come usi e costumi, modo di vivere, di pensare, di occupare il tempo libero, di lavorare, di giocare, di comunicare in seno alla famiglia e nella società; una ricca cultura acquisita nel corso di secoli dai vari popoli che ci hanno colonizzato. 

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