Le case di tolleranza nei lager nazisti tra testimonianze e ricordi
di: Vito Marino - del 2019-08-01
(ph. www.ilpost.it)
Durante la II Guerra Mondiale, nella Germania Nazista, il capo delle SS Heinrich Himmler, nel 1942 aveva pensato di istituire nel campo di concentramento di Auschwitz, e successivamente in altri campi, case di tolleranza, per aumentare la produttività degli internati, scegliendo fra le donne che riteneva idonee a diventare prostituite.
Esse erano scelte fra le internate polacche, tedesche o bielorusse, mai ebree con un’età che non dovevano superare i venticinque anni. Le donne prima di diventare prostitute venivano sterilizzate, per questo i casi di gravidanze erano pochissimi e quando succedeva c’era l’immediato aborto.
Durante le ore di “servizio” dovevano rimanere sempre in silenzio e presentarsi con addosso una divisa dove sopra c’era cucito il loro numero. Esse erano costrette a vivere in edifici speciali all’interno dei campi di concentramento, dove l’accesso era controllato in maniera meticolosa. La donna doveva presentarsi ben vestita e truccata, non doveva mai incrociare lo sguardo dell’uomo, guai a pronunciare una parola. Doveva restare sdraiata e aspettare che i 15 minuti stabiliti passassero.
Il rapporto sessuale veniva controllato dallo spioncino dalle SS. C’erano turni, tariffe e orari di ingresso riservato solo ai Funktionshäftlinge ovvero i detenuti-funzionari, gli internati che svolgevano compiti di sorveglianza all’interno del lager, come ad esempio decani o kapò.
Pertanto, si trattava di uomini che potevano pagare i due Reichsmark richiesti dalle SS per accedere alla casa chiusa. Quindi, un altro orrore nazista, un’altra triste realtà storica poco nota, dove le donne prigioniere erano considerate degli oggetti, come come merce di scambio. L’inferno di chi viveva nelle Sonderbauten è ben documentato nel libro: Das KZ-Bordell (Il bordello nel campo di concentramento), di Robert Sommer.
Altre testimonianze dirette sono state raccolte dalla scrittrice tedesca Helga Schneider che in uno dei suoi romanzi, parla proprio di queste vittime. Ne: “La baracca dei tristi piaceri”, ad esempio parla di donne diventate automi che dopo essere state oggetto in mano agli uomini, la sera per sopravvivere si alcolizzavano. Testimonianze preziose e rare perché sono pochissime le donne che sono uscite vive dal campo. Quando si ammalavano, infatti, sfinite da una vita fatta di degrado e umiliazione, venivano rispedite in altri lager, dove trovavano la morte con il gas e i forni crematori o diventavano cavie per esperimenti medici.