“L’acqualoru”, la “Selinuntina” e il ricordo di Don “Ancilu”
di: Vito Marino - del 2019-12-14
(ph. Il Castelvetranese doc)
Sebbene l’acqua naturale sia l’unica bevanda sana utile e indispensabile al nostro organismo, l’uomo ha cercato sempre di aggiungere altre bevande che siano di gradimento al palato e che diano un senso di soddisfazione alla sete. Fra queste bevande c’è il caffè, il vino, e le varie bibite, più o meno gassate e più o meno fresche o ghiacciate.
Agli inizi del 1900 a Castelvetrano passava per le strade il venditore di caffè, e “abbanniava” a viva voce: “cauru cauru è, va pigghiativi lu cafeè” oppure: “Va susitivi che tardu è, va pigghiativi lu cafè”; ma c’era anche “l’acqualoru” che, durante l’arsura estiva, passava vendendo acqua fresca, con aggiunta di alcune gocce di anice, come aromatizzante.
Negli anni ’50 c’era donn’Ancilu che vendeva il ghiaccio con il suo carrettino spinto a mano e c’era la famiglia Gandolfo con le sue bibite “La Selinuntina."
Intorno agli anni ‘50 – 60 a Castelvetrano c’era l’usanza di vendere, ancora caldo fumante, infuso di radici di gramigna, con l’aggiunta di alcune gocce di anice, per aromatizzare, al “bigliardo”, un locale adibito al gioco delle carte e del bigliardo, posto nella via Marconi, ma che aveva un altro ingresso in Via D’Alessi; all’imbrunire, portavano un pentolone pieno di questo infuso e lo vendevano per pochi spiccioli a bicchiere.
La gramigna è un’erba che cresce in tutti i terreni con una vegetazione spettacolare nel periodo estivo. Purtroppo è la dannazione dei contadini, perché infestano tutte le colture. Oggi, con i mezzi meccanici e gli erbicidi si riesce a debellare, ma una volta richiedeva un lavoro di zappa e tanta fatica.
Tuttavia le radici di questa pianta hanno delle proprietà benefiche per il nostro organismo, perché purificano l’organismo e in particolare il sistema urinario. L’anice, usato per aromatizzare certe bevande, è un liquore, che si ottiene dalla distillazione dell’anice stellato o cumino; con qualche goccia di questo liquore in un bicchiere d’acqua si ottiene una bibita gradevole e molto dissetante.
Il seme d’anice è una spezia fra le più antiche e usate in cucina, ne facevano uso i Greci, gli Egizi e i Romani, per condire le carni o preparare biscotti digestivi. Diffusosi in tutto il bacino mediterraneo fu introdotto nell’alimentazione di molti popoli europei.
A Palermo, città più grande ed evoluta, ma anche la capitale dell’isola, passava per le strade “l’acquavitaru”, per come era chiamato localmente, con una quartara piena d’acqua, una bottiglietta d’anice e qualche bicchiere; lo si trovava pure negli angoli delle piazze o nei mercati con un banchetto.
Questa antica tradizione, a Palermo si fa risalire addirittura alla dominazione araba in Sicilia; una volta si chiamava “acqua e zammù”. Nell’Ottocento l’acqua e zammù non mancava neppure nei chioschi e, in quelli delle zone più eleganti e frequentate dall’aristocrazia, si fermavano anche le nobildonne per dissetarsi con quella aromatica bevanda.
Il nome “zammù” deriva da sambuco; infatti, in origine si distillavano i semi e i fiori di sambuco. L’uso di questo distillato presto si diffuse fra tutta la popolazione contadina e veniva usata per disinfettare l’acqua dei pozzi e delle cisterne, uso praticato regolarmente grazie al fatto che questa pianta era di facile coltivazione.
In seguito col termine zammù vennero indicate varie piante con proprietà simili per l’intensità dell’aroma e per la caratteristica dei frutti e dei semi che possono essere pestati una volta essiccati; fra queste piante troviamo l’anice verde, l’anice pepato e l’anice stellato.