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La “lavannara”, la “curtigghiara” e la “criata”. Ricordando l’antica società siciliana tra divisioni sociali e ingiurie

di: Vito Marino - del 2020-01-30

Immagine articolo: La “lavannara”, la “curtigghiara” e la “criata”. Ricordando l’antica società siciliana tra divisioni sociali e ingiurie

(ph. www.palermoweb.com/)

Durante la civiltà contadina e fino agli anni ’50 circa la suddivisione della popolazione in gruppi sociali, era molto evidenziata. Agli ultimi scalini si trovavano “Lu nettacessi, lu rantuni, lu gnuri, lu carritteri, lu purtunaru, lu iurnateri” e fra le donne: “La lavannara, e la criata, la nurrizza”. Essi facevano spesso i lavori più pesanti e più umili guadagnando di meno. Siccome nella gerarchia sociale non contavano nulla, ognuno di loro era considerato come “Lu zu nuddu”.

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  • Essi erano chiamati con il loro nome di battesimo fino a quando erano scapoli (Vanni, Peppi, Maria, ecc.) e ricevevano regolarmente il “tu” dai loro padroni. Quando erano avanti negli anni o si sposavano, erano chiamati con il nome preceduto da “zu o za”. La curtigghiara era la donna che abitava nei cortili e generalmente apparteneva al basso ceto della popolazione. Allora il cortile era un paese in miniatura; chiuso il portone, per evitare di far entrare animali randagi o persone moleste, dentro si svolgevano i lavori più disparati di casalinga, d’artigianato e di campagna.

    Fra “li cummariddi” (le vicine dello stesso cortile), spesso avvenivano grandi bisticci con grida parolacce e tirata di capelli. A causa di questi bisticci la parola curtigghiara era diventata sinonimo di “strafalaria” cioé di donna volgare appartenente al basso ceto della popolazione. Tuttavia, proprio queste donnette davano un grande esempio d’umanità e di solidarietà dandosi assistenza reciproca in casi di bisogno, dimenticando quasi subito la baruffa avvenuta.

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  • La lavannara andava a lavare i panni e la biancheria sporca in casa di famiglie benestanti, in giornate stabilite; a volte si portava in casa il lavoro. La misera paga e qualche indumento dimesso che ricevevano dai padroni, serviva per arrotondare le entrate del bilancio familiare. La “criata” era la cameriera dei vecchi tempi. Essa, pur vivendo nella stessa casa dei “padroni”, non mangiava mai a tavola con loro, ma in cucina o in un angolo isolato.

    Generalmente il padrone, anche se sposato, si serviva di lei per i suoi desideri sessuali; se la metteva incinta, la faceva partorire di nascosto ed il figlio finiva alla “rota” per essere adottato. Quando invece voleva mandarla via, la faceva sposare, ancora incinta, con qualcuno dei suoi servi, regalandole un pezzetto di terreno o una casetta. Per questi motivi generalmente la criata era giudicata male dalla società; un proverbio in merito diceva: “criata: vasata o pizzicata”.

    Nel dopoguerra, quando la situazione economica disastrosa incominciò a normalizzarsi subentrando a poco a poco il benessere, anche la criata incominciò a reclamare i propri diritti. Allora sorse la frase: “Malu tempu c’è ‘n palazzu, la serva voli essiri chiamata signura”; una situazione che non era per niente gradita dalla classe dei “padroni”. La “nurrizza” era la balia, che allattava materialmente i bambini o effettuava la semplice funzione di bambinaia. La famiglia benestante poteva permettersi di trattenerla al proprio servizio.

    Il vocabolo deriva dallo spagnolo “nodrizza” o dal francese “nourrice”. “La spingula nurrizza” era la spilla di sicurezza con cui si assicuravano i panni ai bambini ancora in fasce.

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