Giovedì santo, "lu giru di li sepulcri" e altre tradizioni di una Castelvetrano che fu
di: Vito Marino - del 2020-04-09
(ph. www.gtcny.org/)
La Chiesa, nel corso della serata del Giovedì Santo rievoca l'Ultima cena di Gesù, l'istituzione dell'eucaristia, e ripete la lavanda dei piedi effettuato da Cristo nell'Ultima cena.
A Castelvetrano, in questa giornata, le campane vengono suonate fino al “Santo” della messa in Coena Domini, quindi, non suonano più (s’attaccanu li campani) e gli altari si spogliano, il resto della chiesa viene oscurato. Al posto delle campane, che una volta si legavano veramente, si suonavano “li trik trak” di legno (le traccole), che davano un suono stridulo e profano, fino alla Resurrezione.
La pratica di allestire gli Altari della Reposizione si è affermata in Europa già a partire dall’Età carolingia ed esprime l’idea del lutto e della sepoltura.
Fino ad una diecina di anni fa, in occasione del Giovedì Santo, in chiesa si svolgeva il rito dei “Sepolcri”, dopo sono stati vietati, ma, malgrado questo segno di devozione fosse stato proibito dalla curia vescovile, la commemorazione dei sepolcri continua in molti paesi della Sicilia, fra i quali anche nella vicina Menfi.
Questi riti ci richiamano ai riti precristiani dei “Giardini di Adone”, usati nell’antica Grecia durante le “Adonie”, come simbolo della natura che ritorna a splendere appena giunge la primavera, dopo i rigori invernali. In quella occasione le giovani donne sue devote portavano al tempio piccoli giardinetti in vaso a lui dedicati, coltivati amorosamente per tutta la durata della cattiva stagione.
E' certo che nel periodo barocco, l'usanza della visita ai sepolcri era già ben radicata nel popolo e soltanto recentemente, nel 1998, la Congregazione per il Culto divino sulla "preparazione e celebrazione delle feste pasquali" ha stabilito che il tabernacolo in cui viene custodito il " Corpo di Cristo " non deve avere la forma di sepolcro, così come deve essere evitato l'uso di chiamarlo in tal modo; e che la "cappella della reposizione” viene allestita non per rappresentare la sepoltura del Signore, ma per custodire il Pane Eucaristico per la Comunione che verrà distribuita il venerdì della passione di Gesù.
I “Sepolcri”, oltre a questi “giardini di Adone” (detti “piattini”), venivano arricchiti con fiori bianchi di fresia e “balacu” (violaciocca), tappeti veri o preparati con sabbia e colori, ceri, piante, luci e rametti d’ulivo a simboleggiare l’orto degli ulivi, dove Gesù pregò in attesa di essere arrestato; inoltre, il tavolo simbolo del sacrificio e dell' imminente Pasqua, il pane, il vino fatto bollire con l’incenso, i 12 piatti degli Apostoli, tutti doni e simboli umili, rappresentativi della comunità. e il tabernacolo dove è collocata la SS. Eucarestia
Talvolta, gli oggetti della Passione (croce, scala, chiodi, martello), venivano preparati con la pasta dei biscotti, portati in chiesa per essere benedetti ed ornare i sepolcri.
Molto particolari erano le composizioni floreali, chiamati “piattini dei sepulcri”, che consistevano in un contenitore, anche di cartone dove si poneva bambagia umida e semi di grano e di lenticchia, che, messi al buio emettevano dei germogli dai colori quasi irreali, che andavano dal bianco, al giallo al verde, che simboleggiavano il passaggio dalle tenebre della morte di Gesù alla luce della sua Resurrezione. Questi “piattini”, contornati con nastrini variopinti, andavano ad ornare gli “Altari” per la ricorrenza di San Giuseppe come simboli votivi; quindi, pochi giorni dopo si ponevano, sempre come stessi simboli, sui “Sepolcri”, che si preparavano in occasione della ricorrenza del Giovedì Santo.
Fino ad un decennio fa a Castelvetrano, nel tardo pomeriggio del Giovedì Santo, dopo la messa e la celebrazione della lavanda dei piedi, i fedeli devoti e non devoti, chi per fede, chi per curiosità e consuetudine, donne ed uomini, si mettevano in cammino per fare “lu giru di li sepulcri” (la visita dei sepolcri), preparati nelle varie chiese del paese, dei quali occorreva visitarne almeno tre ( sempre comunque in numero dispari secondo un'antica tradizione ), mentre anticamente non dovevano essere meno di sette, pregando con devozione e fermandosi in contemplazione. Alcune donne per promesse fatte, giravano a piedi scalzi.
Il pellegrinaggio alle sette chiese, nella sua forma originaria è dovuto a san Filippo Neri: le chiese toccate erano le grandi basiliche romane (San Pietro, San Paolo fuori le mura, San Giovanni in Laterano, San Lorenzo, Santa Maria Maggiore, Santa Croce in Gerusalemme e San Sebastiano).
Nel pomeriggio del Giovedì Santo, fino agli anni’’40-‘50 si cantava in chiesa la parabola del “figliol prodigo” in siciliano e si svolgeva la cerimonia della lavanda dei piedi ai “12 apostoli”, per come avviene oggi.
Una volta il contadino, in occasione del Giovedì Santo toglieva le campane dal collo degli animali, in segno di lutto, e andava a visitare i Sepolcri, sui quali depositava un mazzetto di spighe verdi, che portava dalla campagna, come auspicio di abbondante messi.
Ricordo che mia madre, da quel giorno e fino alla cerimonia della resurrezione, che si svolgeva il Sabato Santo, a noi ragazzi ci proibiva di cantare, fischiare o fare schiamazzi, in segno di lutto. Anche alla Radio si trasmetteva soltanto musica sinfonica.
Il popolo credente, in questi giorni, come segno di lutto conduceva una vita triste, evitando ogni segno di divertimento o di semplice benessere; così nell’alimentazione si evitava di mangiare carne, selvaggina, dolci, cibi fritti (perché più gustosi), cipolla fritta (solo bollita), ma anche la semplice pasta con aglio, perché usata abitualmente come divertimento nelle scampagnate.
Voglio citare un avvenimento storico, citato dal Ferrigno, avvenuto in occasione del Giovedì Santo del 15 giugno 1813, quando la regina del Regno delle Due Sicilie, Carolina d’Austria, moglie di Ferdinando di Borbone, trovandosi relegata a Castelvetrano, ha voluto effettuare lei stessa la lavanda dei piedi a 12 donzelle. In quegli anni i Borboni, fuggiti da Napoli perché occupata dai Francesi, si trovavano sotto il protettorato Inglese. Per motivi politici la regina fu relegata dagli Inglesi a Castelvetrano per 83 giorni e, in seguito fu mandata in esilio in Austria.