La rete stradale romana in Sicilia e le tre principali vie consolari
di: Vito Marino - del 2020-07-23
Quando nel 227 A.C., la Sicilia era diventa provincia romana, l’isola era già servita da un ricco sistema viario costruito dai Greci, mentre grandi scali marittimi la collegavano con i regni ellenistici e col mondo punico. Inoltre c’era una fitta maglia di sentieri, che dall’interno dell’Isola si irradiavano verso la costa e permettevano di avviare i vari prodotti verso gli scali minori e da qui, attraverso un servizio di piccolo cabotaggio, ai grandi porti.
Nella Sicilia romana esistevano tre principali vie consolari: la via Valeria (210 a.C.), che lungo la costa collegava Messina con Lilibeo (Marsala), la via Pompeia, sulla costa orientale tra Messina e Siracusa, e la Via Selenuntina (Siracusa – Lilibeo). Queste strade consolari servivano ai rapidi spostamenti dell'esercito verso i porti principali della Sicilia. La via Valeria, da Messina a Lilibeo, nacque per le esigenze militari della seconda guerra punica.
Nella “Geografia” di Strabone viene denominata Valeria con riferimento o al console Marco Valerio Levino, che nel 210 a.C., riorganizzò la Sicilia in modo da incrementarne la ripresa economica ed agricola, o a qualche alto magistrato della “Gens Valeria”, precisamente a Lucio Valerio Flacco, pretore in Sicilia nel 199 a.C. Quest’arteria congiungeva Messina con Tindari, porto d’imbarco per le isole Lipari, Agatirno, Calacte, Alesa (Tusa), Cefalù, Termine Imerese, Solunto, Palermo, Partinico, Segesta, Trapani, ed infine il porto di Lilibeo (Marsala).
La Strada ionica da Messina a Siracusa, presunta via Pompeia, prenderà poi la denominazione di “dromos”, “strada principale”; congiungeva lo stretto di Messina con Taormina, Aci, Catania, Lentini, e Siracusa, quest’ultima importante scalo marittimo e nodo viario. La Via Selenuntina (Siracusa – Lilibeo), strada costiera meridionale congiungeva Siracusa a Lilibeo riprendeva la vecchia via Selenuntina, attraversando prima il massiccio Ibleo per Acre (Palazzolo Acreide) e Ibla (Ragusa) e proseguendo, poi, lungo la costa per Calvisiana, Agrigento, Sciacca (Aquae Alabodes).
Una variante di questa via aggirava la cuspide del Pachino ricalcando la vecchia via Elorina. La via Selenuntina, a partire dal fiume Dirillo, era in gran parte costiera e toccava Gela, Agrigento, Heraclea, Minoa e Selinunte.
L’area centro – orientale dell’Isola, rimasta a lungo sotto l’influenza di Siracusa, godeva di un proprio sistema di collegamenti terrestri. L’estrema Sicilia occidentale, poiché in mano ai cartaginesi, era rimasta estranea ad ogni progetto viario delle città siceliote.
Ma quando Roma, nel III secolo a.C si scontrò con Cartagine la Sicilia occidentale, in quanto teatro della prima guerra punica, fu per prima, dai romani, dotata di un sistema viario nato per esigenze militari. Quando dopo le guerre puniche la Sicilia perse ogni interesse strategico; Roma, si limitò a tenere efficienti comodi punti di appoggio costieri, costituiti dai grandi porti quali Siracusa, Messina, Palermo e Catania, che risultarono utili per il commercio del grano.
Nell’ultimo secolo della Repubblica, con l’istaurarsi della grande proprietà privata, sotto Ottaviano si avrà non solo l’arresto dell’attività economica, ma anche la marginalizzazione della Sicilia, l’Egitto, infatti, era divenuto il nuovo granaio di Roma. In questo periodo si diffonde il latifondo e si volge l’attenzione a quella rete viaria minore necessaria per avviare ai grandi porti la produzione cerealicola.
Segni di qualche risveglio si avranno sotto la dinastia dei Severi che, incrementando lo sviluppo e l’importanza delle province africane, restituiranno alla Sicilia un ruolo economico strategico. Sotto Diocleziano (286-305) con la riforma delle province romane, l’isola ritorna al centro dei traffici del Mediterraneo tra Oriente, Egitto ed Africa da una parte e Roma dall’altra.
Caduto l’impero romano, con il trascorrere del tempo, queste strade caddero in disuso per la mancanza di vere e proprie sedi stradali e per il passaggio pericoloso dei fiumi in piena durante l’inverno; inoltre, essendo il territorio infestato dai briganti si doveva sottostare al pagamento di pedaggi e a ruberie.
Dopo la parentesi della dominazione araba e normanna, con l’istaurarsi di una società di tipo feudale, le strade caddero in disuso sia perché mancavano di vere e proprie sedi stradali; sia perché l'attraversamento dei fiumi nella stagione invernale comportava spesso il pericolo di annegamento; ma anche perché si doveva sottostare ai pedaggi ed alle malversazioni dei briganti.
In genere si preferivano gli spostamenti via mare, a meno che non intervenissero delle particolari necessità che obbligassero il viaggio via terra.
Per viaggiare i Romani si servivano di diversi tipi di carte stradali: gli “Itineraria scripta” e gli “Itineraria picta”, le prime erano guide scritte, le seconde disegnate. Entrambi i tipi offrivano informazioni preziose, infatti riportavano le distanze che intercorrevano tra i principali centri abitati annotando anche pubblici locali per le soste dei viaggiatori e “mutationes” per il cambio dei cavalli.