Quando nel 1911 la luce elettrica arrivò a CVetrano e le case si illuminavano con candele e non solo
di: Vito Marino - del 2020-08-04
La luce elettrica è arrivava a Castelvetrano nel 1911, per interessamento dell'allora sindaco Antonino Saporito, ma l'illuminazione della città e delle abitazioni è avvenuta antorno al 1915, ed è continuata lentamente per molti altri anni. Intorno agli anni ’50, con la II Guerra Mondiale alle spalle, c'erano ancora molte famiglie, che consideravano un lusso avere la corrente elettrica in casa. Ricordo che in quel periodo la nostra Marinella di Selinunte era sprovvista di corrente elettrica; l’illuminazione delle strade era garantita da pochissimi fanali ad acetilene.
Si trattava di un contenitore contenente carburo di calcio, con un secondo contenitore, più piccolo, posto sopra, che lasciava gocciolare l’acqua contenuta sul carburo; per reazione chimica si sviluppava “acetilene”, un gas che acceso produceva una fiamma luminosa. Ogni sera c’era una persona incaricata dal Comune a controllare il combustibile e ad accendere questi fanali.
I privati cittadini s‘ingegnavano ad illuminare le proprie abitazioni con i mezzi che esistevano in quel periodo. Così c’era il “pietromax” (fanale a petrolio), il lume ad “arsoliu” (petrolio), “lu spicchiu” la lucerna ad olio) e la candela. Il principio generale era sempre lo stesso: il carburante (petrolio, olio d’uliva, cera) e “lu micciu” che facilitava la combustione.
Il lume a petrolio era il massimo che si potesse avere allora in campo dell’illuminazione; infatti era il meno inquinante, e dava una luce accettabile. I lumi, fatti di materiali diversi (metallo, vetro o ceramica) erano nobilitati da decorazioni a sbalzo o a pittura. Generalmente era composto dal piede, dal “congegnu” e dal tubo di vetro. Il piede serviva per dare stabilità al lume e da serbatoio.
“Lu congegnu” era un marchingegno avvitato al piede e serviva per abbassare o aumentare la fiamma tramite “lu mecciu” fatto di una striscia di spessa tela, che aspirava, per osmosi, il petrolio per bruciarlo dalla parte alta, con sviluppo di luce. Il tubo di vetro, che era incastrato al congegnu, fungeva da cappa fumaria e aspirava la fiamma ed il fumo verso l’alto e impediva alla fiamma di spegnersi in caso di vento.
Oggi ci sono molte famiglie che conservano, come rarità del passato, lumi di ottima fattura, di vetro, di ceramica o di rame, che sono dei veri capolavori d’arte. - “Lu spicchiu” (la lucerna) era composto da un piccolo contenitore con piede d’appoggio di varia forma, generalmente di terracotta, contenente olio e un “mecciu” che poteva farsi benissimo con un po’ di bambagia attorcigliata (stoppino).
Per una buona illuminazione esisteva anche una lucerna multipla, detta “trappitara”, perché usata per illuminare “lu trappitu” (frantoio), tanto lì l’olio si trovava molto facilmente; essa aveva una forma piramidale con circa 30 lucerne ad olio disposti su tre ordini. Per le candele a cera c’era “lu cannileri” (portacandele).
Un detto antico diceva “si mancia puru lu fumu di la lampa” per indicare una persona ingorda.