L'atmosfera natalizia di oggi e di ieri tra “cosi duci”, canti in Chiesa e l’immancabile presepe
di: Vito Marino - del 2020-12-20
In foto: Il presepe al Loggiato
Siamo già in piena ricorrenza natalizia, la festa più attesa dell’anno, ricca di religiosità, folclore e tradizioni; ma per quest'anno, il Natale 2020 non porta niente di buono, solo morte e cuori che piangono. Resterà nella nostra mente come la festività più brutta della nostra vita. Tuttavia questo virus ci fa molto riflettere sulla vanità della nostra esistenza.
Per qualcuno questo sarà il primo Natale, per qualcun altro forse l’ultimo; qualcuno lo passerà solo in casa, lontano dai propri cari, altri sul letto di un ospedale sognando le luminarie per le strade, l'albero di Natale in piazza e in casa, gli acquisti anche di cose futili e costose, e tutta quell'atmosfera di benessere e di consumismo sfrenato degli anni passati. Qualcuno sognerà i figli e i nipotini, senza dei quali l’atmosfera natalizia non si riesce a concepire.
Ogni epoca storica ha le sue caratteristiche, ogni Natale è diverso da un altro. Nel corso del tempo malvagio che va via, ci sono stati altri Natali con l'atmosfera simile a quest'anno: Nel '43, anche se la guerra era finita, ancora nelle orecchie si sentiva il colpo delle bombe, il fischio delle sirene e qualcuno sentiva ancora il gusto dell'olio di ricino, che le autorità fasciste “regalavano” ai sovversivi.
Nel '68 anche se il terremoto era già finito, ancora l'animo era sconvolto dal terrore vissuto. Nel mio lontano passato, fin dove arrivano i miei ricordi, diciamo fra gli anni ’40 e ’50’ del 1900, l’atmosfera era del tutto diversa dagli ultimi anni che stiamo vivendo. Non posso giudicare se era più bella o più brutta, perché il passato, anche se trascorso in pessime condizioni, si colora sempre di nostalgia e di romanticismo, e diventa più bello.
Certamente era molto più gioioso di quello che stiamo attraversando in quasi segregazione. In quegli anni la ricorrenza natalizia univa la religiosità alla tradizione popolare, fatta di presepe, “cosi duci” e canti natalizi. L’atmosfera natalizia era sicuramente più sentita, anche se di soldi se ne vedevano ben pochi.
Alcune settimane prima, le famiglie erano tutte indaffarate a fare le grandi pulizie della casa ed a preparare il presepe e “li cosi duci”.
Il presepe era preparato da quasi tutte le famiglie; per la sua preparazione oltre ai pastorelli, si utilizzava materiale povero, come pietre, pezzi di sughero grezzo, terra di campagna, muschio tolto dai vecchi muri umidi, fiocchetti di bambagia a simboleggiare la neve.
Ricordo che il primo presepe l'abbiamo preparato io e mio fratello, allora ragazzi: abbiamo preso dei pezzi d’argilla e forgiato i pastorelli, facendoli poi asciugare vicino al fuoco del focolaio, quindi abbiamo dato un po' di tono con le matite da disegno a colori. Di sera, attorno al presepe mia madre ci faceva recitare il rosario e altre preghiere. Oltre al presepe, allora esisteva in molte famiglie il culto dell’altarino in casa, possibilmente sistemato in una nicchia incassata nel muro.
I benestanti tenevano l’altare in un’apposita stanza.
“Li cosi duci” erano dei dolci preparati in casa da quasi tutte le famiglie; chi non aveva il forno li andava ad infornare dalla “cummaredda”, a buon rendere.
Oggi questi dolci si trovano facilmente in tutti i forni e supermercati, sono di ottima fattura, ma non creano più quell’atmosfera natalizia di una volta, quando varie famiglie di amici e parenti preparavano i dolcetti, messi attorno allo “scannaturi” (spianatoio), con sotto il braciere con la carbonella accesa per riscaldarsi. Durante la lavorazione chiacchieravano e negli intervalli giocavano a carte.
Nell’aria si sentiva il caratteristico odore di legna d’ulivo bruciata e di biscotti appena sfornati. Ogni famiglia ne faceva una buona provvista, riempiendo un paio dei capienti cassetti del canterano. Allora le famiglie generavano anche 15 figli e i dolci si consumavano in poco tempo.
In quegli anni tutti i lavori si eseguivano a forza di braccia e l’arrivo di figli, specialmente maschi era considerato un dono della Provvidenza. Li “cosi duci” (dolci di Natale) erano di varia natura e nome; così avevamo: “li cosi di ficu, lu chinu, li mustazzola, li tetù, li muscardini, li quaresimali, li viscotti picanti”.
I più importanti erano “li cosi di ficu” perché richiesti dalla tradizione e si presentavano bellissimi per tutti i lavori artistici barocchi (fiore o palma) che venivano eseguiti con la lametta da barba o con un coltellino a lama sottile. Allora non esisteva il vocabolo specifico “dolce” e “dolciere”, in sua vece si usava dire: “cosi duci di Natali” o “Cosi duci di li morti”; il “cosaducuiaru” era il dolciere, che allora faceva pochi affari, visto che i dolci si preparavano in casa.
Il giorno di Natale, oltre ad assistere alle funzioni religiose in chiesa, si passeggiava, freddo permettendo, lungo la “strata di la cursa” (Via V. Emanuele), “a lu chianu” (piazza Garibaldi), e lungo la via Garibaldi.
Evidentemente, in una civiltà maschilista era il “maschio” che passeggiava, perchè la donna doveva preparare il pranzo natalizio. Nelle stesse vie o davanti le chiese principali sostava con la bancarella “lu siminzaru”, che vendeva “calia, simenza, e pastigghia” (ceci e semi di zucca abbrustoliti e castagne secche) o “lu zzu Vannuzzu Pellicane”, il venditore di “bombolona” (caramelle preparate da lui stesso sulla sua bancarella).
Ai quattro canti e davanti ai cortili c’erano gruppi di persone, che, mentre chiacchieravano si “godevano” il passeggio, per come si diceva allora.
Per i ragazzi la festività era molto attesa, perché erano liberi da impegni scolastici e di lavoro (a quei tempi andavano “a lu mastru”, cioè ad apprendista artigiano, nelle ore o giornate libere), e potevano giocare spensieratamente in tutti gli spazi liberi delle strade, piazze e cortili, ancora non occupati dalle macchine posteggiate o in transito. I ragazzi, inoltre, nelle festività principali ricevevano dai genitori e parenti più intimi “li boni festi” una piccola somma di denaro come regalo.
Nel preparare il pranzo di Natale, chi se lo poteva permettere comprava la carne di vaccina o di maiale “a la chianca” (macelleria); “lu vucceri o chiancheri” (il macellaio) intorno agli anni ’40 – ’50 apriva la sua bottega soltanto la domenica e nelle feste principali.
Le altre persone usavano tirare il collo al gallo o alla vecchia gallina, che venivano rispettivamente cucinati a ragù o in brodo; se nel cortile c’era un “gaddurinia” (tacchino) veniva prescelto, perché le bocche da sfamare erano molte. Ricordo che allora preferivo mangiarne la cresta della gallina; certamente si trattava di un capriccio di bambino.
Oggi, se mi capita di assaggiare la cresta di una gallina casereccia, sento il sapore dei vecchi tempi, di quella atmosfera natalizia fatta di niente, di una società povera, ma ricca di sentimenti e spiritualmente più sana.
Per quanto riguarda i canti in chiesa, in Sicilia, nel lontano passato, era frequente trovare, accanto alle celebrazioni liturgiche, altre manifestazioni celebrative devozionali canore, come “triunfi, novene, e ninnaredde”. Queste manifestazioni, che erano fortemente avvertite dal popolo, venivano diffuse dai “ninnariddara” e dai “ciaramiddara”.
Con la globalizzazione la Sicilia ha perso la propria identità e le sue tradizioni. Oggi, in piena civiltà del benessere e del consumismo, ai bambini non si insegna più che il Natale rappresenta la nascita di Gesù, quindi che si tratta di una festività religiosa; l'atmosfera natalizia non viene più raffigurata dal presepe ma da un paesaggio coperto di neve, dove un fantascientifico “Babbo Natale”, venuto con la slitta dal Polo Nord, porta i regali.
Altro simbolo è l'albero di Natale imbiancato. Il giorno di Natale si aspetta per aprire i pacchi dei regali posti sotto l’albero. La festa dei “Tre Re”, una volta prettamente religiosa, si è trasformata in “Festa della Befana”, una ricorrenza consumistica, una tradizione dei popoli nordici, che si è intrufolata fra le nostra tradizioni.
Questo Natale, fatto di anzie e terrore, forse ci farà capire che nella nostra breve esistenza dovremmo essere più credenti che consumisti. Che Dio ce la mandi buona.