Nel ricordo della “rina” di Triscina e dei luoghi incontaminati prima del boom edilizio
di: Pietro Errante - del 2021-08-08
C'era una volta la "rina". Era una zona incontaminata della costa che si trovava tra l'acropoli di Selinunte e la lontana Tre Fontane, almeno otto chilometri di spiaggia deserta caratterizzata da altissime dune che sembravano presagire i prospicienti paesaggi sahariani.L'immediato entroterra era zona prevalentemente agricola, ricca di vigneti(la dolcissima e piccola "nzolia"), agrumeti, soprattutto limonaie, ma anche piante di fichi, pomodorini piccoli e dolcissimi adatti per salse ineguagliabili.
Le pochissime case coloniche, quasi ruderi agricoli, magazzini per attrezzi più che abitazioni, ospitavano povere famiglie di agricoltori intenti alle coltivazioni dei prodotti già ricordati, alla essiccazione di pomodori e fichi, con qualche sparuta presenza di pastorizia(essenzialmente mandrie di pecore). Molte barche di pescatori venivano a gettare le reti nel mare pescoso ed incontaminato di quella lunga costa portando all'incanto quotidiano di Marinella il frutto del loro lavoro.
Molti pescatori si portavano fino alla spiaggia per barattare qualche cassetta di pesce con i prodotti della campagna. Su quella "rina" sono cresciuto, ho conosciuto mia moglie, ho vissuto le mie meravigliose estati della gioventù con la giovane moglie, le piccole figlie, i nonni, i suoceri, gli zii e cugini. Lì ho vissuto i mesi che vanno da maggio a ottobre, tra i profumi del mare, gli odori dei frutti, i fruscii del vento e gli olezzi della salsedine. Lì è scandito il veloce passare degli anni, la maturità, la anzinità, ora la vecchiaia.
L'unico modo per descrivere quel posto è semplicemente uno: il Paradiso in terra. Il mare era limpido e cristallino, dai colori cangianti e inimmaginabili, la costa sabbiosa di una rena color oro, pulitissima, selvaggia, incontaminata. Le dune a ridosso della spiaggia raggiungevano misure ragguardevoli, talvolta anche di parecchi metri.
Sembravano montagne che custodivano il tesoro di una costa senza uguali.Su quelle dune ci si rotolava bambini, poi ragazzi ed anche adulti finchè tutto improvvisamente finì.
Quella sabbia fu venduta per costruire migliaia di case, quei vigneti distrutti, le limonaie rimosse,i fichi abbattuti: il cemento aggredì la costa: ruspe, betoniere, trivelle, martelli pneumatici distrussero la pace e l'ecosistema di quel Paradiso, trasformandolo in un ... inferno. La Rina divenne Triscina, una metropoli del mare senza piazze, senza parcheggi, senza servizi, solo e unicamente un dormitorio che si affollava nei due mesi estivi per piombare nel più completo abbandono per tutto il resto dell'anno. Per molti anni non fu neanche segnata nelle cartine geografiche della Sicilia. Triscina era una città fantasma, senza una identità, senza un criterio urbanistico.
Le case venivano costruite in stili contraddittori, quasi incompatibili: mediterranee, arabe,alpine, eoliane, piccoli tuguri, megaville faraoniche si susseguivano tuffandosi a mare col solo obiettivo di realizzare il sogno di sempre: una casa a mare, quando il mare dista da Castelvetrano non più di dieci chilometri, dieci minuti in auto a 70 km orari! Ora Triscina non ha più nulla di quella Rina. Resta una metropoli senza una vera identità, sovraffollata nei mesi estivi, deserta nel resto dell'anno.
L'unico dato positivo è rappresentato dal fatto che l'aver realizzato queste case ha di fatto decongestionato il sovraffollamento che si registrava a Marinella di Selinunte prima che cominciasse il boom edilizio di Triscina. Castelvetranesi e belicini negli anni 60-70 e 80 si riversavano nel pissolo borgo di marinella che si affollava all'inverosimile. Con la nascita di Triscina, Marinella si è alquanto decongestionata anche se resta luogo privilegiato di villeggiatura e meta turistica internazionale. Della vecchia incantevole "Rina" non è rimasto che il nostalgico ricordo di un vecchio innamorato delle sue sabbie, dei suoi canneti, delle sue vigne, delle sue dune, di quel mare di inimmaginabile bellezza.