Tutela legale dei sanitari nell’ambito della pandemia da Covid-19
di: Avv. Roberta Gaggiotti - del 2021-09-04
Da più parti si sono levati cori di ringraziamento verso l’impegno profuso da tutto il personale sanitario nella lotta contro il Covid-19, un nemico invisibile, difficile e, soprattutto nelle prime fasi dell’emergenza, persino sconosciuto.
Per far fronte a tali difficoltà e scongiurare forme di medicina difensiva, il Legislatore è stato sollecitato al fine di introdurre specifiche garanzie per tutelare i sanitari impegnati nella lotta contro il Covid ed è venuto alla luce, così, il cosiddetto “scudo penale”, di cui molto si parla, sebbene non tutti sappiano cosa realmente sia.
In primo luogo, con D.L. 44/2021 era stata introdotta la non punibilità dei sanitari che somministrano il vaccino per il contrasto al Covid-19. Ciò al fine di escludere, in caso di conseguenze negative per la salute del paziente, la penale responsabilità del sanitario per i reati di lesioni personali colpose (art. 589 c.p.) e di omicidio colposo (art. 590 c.p.), qualora la somministrazione del vaccino sia avvenuta in modo conforme alle indicazioni del provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio.
Questa norma è stata fortemente voluta dalla Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici, soprattutto a seguito del manifestarsi di alcune, benché molto rare, reazioni avverse in capo a pazienti che avevano appena ricevuto il vaccino.
Tuttavia, il cosiddetto “scudo vaccinale”, ben poco aggiunge a quanto era già previsto nel nostro ordinamento. Infatti, già nell’alveo del quadro normativo previgente, il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche clinico-assistenziali escludeva l’imperizia e, con essa, la colpa del sanitario (Art. 590 sexies c.p., introdotto dalla l. 24/2017, nota alle cronache come legge Gelli Bianco) .
In sede di conversione in legge del D.L. 44/2021, è stato aggiunto l’art. 3-bis, recante invece un vero e proprio “scudo penale” per tutti i sanitari impegnati non soltanto nella campagna vaccinale, ma anche in tutte altre attività di contrasto al Covid-19, purché ovviamente le lesioni personali o financo la morte del paziente "trovino causa nella situazione di emergenza".
In questi casi, oggi come in passato, è esclusa la responsabilità penale, salvo che per “colpa grave”, ma la normativa ha anche fornito appositi indici atti ad escludere la gravità della colpa, tra i quali la "limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da Sars-Cov-2 e sulle terapie appropriate", la "scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare" e anche il "minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all’emergenza".
Probabilmente è questa la maggiore innovazione rispetto al quadro normativo previgente, che difficilmente avrebbe potuto attagliarsi a una situazione epidemiologica del tutto nuova e a lungo sconosciuta, nell’ambito della quale è ed è stato molto complesso individuare delle “best- practice” consolidate da seguire.
Ad ogni modo, il nuovo scudo penale e vaccinale non esclude (e non potrebbe farlo) che, in caso di lesioni o di morte del paziente, alla notitia criminis seguano le dovute indagini e, se del caso, il procedimento penale, nell’ambito del quale, poi, sarà possibile accertare o escludere la responsabilità. Inoltre, quelli in discorso sono strumenti esclusivamente penalistici, che non escludono forme di responsabilità di natura civilistica e risarcitoria.
A tal riguardo, la normativa applicabile è data dall’art. 2236 del Codice civile, secondo il quale il professionista risponde solo per dolo o colpa grave quando il caso implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. La disposizione, tuttavia, è molto generica, per cui occorrerà attendere di verificare il modo in cui la giurisprudenza, in concreto, si orienterà ad applicarla in relazione alle fattispecie riconducibili alla pandemia.