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Storia dell'Arco Garibaldi. Quando nel 1902 rischiò la demolizione

di: Angelo Curti Giardina - del 2021-05-21

Immagine articolo: Storia dell'Arco Garibaldi. Quando nel 1902 rischiò la demolizione

La via Garibaldi, un tempo luogo ricco di vita e di attività commerciali, pare stia lentamente perdendo la sua identità composta nei secoli dai suoi edifici storici, dalla sua edilizia minore e molto altro ancora; è sotto gli occhi di tutti, oggi, che alcuni manufatti architettonici del centro storico, privati e non, rischiano il collasso a causa dell’incuria, una sorta di damnatio memoriae a lungo perpetrata. 

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  • Proprio nella notte tra l’1 e il 2 febbraio di quest’anno, una porzione di cornicione dell’antica Porta di Mare, oggi Porta Garibaldi, è collassata sul sottostante marciapiede, fortunatamente senza causare danni a cose o persone. 

    Da un attento esame visivo ho riscontrato che le antiche grappe metalliche che ancoravano i vari blocchi della muratura sommitale l’uno con l’altro arruginendosi, forse anche a causa delle infiltrazioni, hanno provocato una lesione ad uno dei blocchi in pietra della parte sinistra del cornicione e la caduta di una delle sfere decorative sempre della parte sommitale.   

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  • Non volendo quindi perdere la memoria di ciò che ancora oggi abbiamo la fortuna di vedere di un ormai lontano passato, ho cercato di riassumere, attraverso documenti inediti, la storia di un manufatto architettonico particolarmente caro ai castelvetranesi: la Porta di mare altrimenti detta Arcu di l’Ammaculata. 

    Castelvetrano mai ebbe delle mura difensive di grande rilievo, sappiamo invece che nel periodo della peste del 1624-26 furono realizzate per fini sanitari delle muraglie che, come si evince da alcuni documenti dell’epoca, erano estese canne 1400, spesse palmi 3 e alte canne 2, e che queste erano coronate da un particolare motivo “decorativo” realizzato in conci disposti a «schina pisci». 

    Queste mura realizzate in «pietra e tajo» erano, come si soleva fare in Sicilia fin dai tempi della dominazione araba, intonacate con calce e sabbia su entrambe le facciate, sia esterna sia interna, tali dati tecnici sono stati desunti da un interessante atto del 25 febbraio 1626, rogato dal notaio Giuseppe Buffa di Castelvetrano, in cui si evince che i Giurati della nostra città diedero in appalto al murifabbro Pietro Di Majo quelle porzioni di muratura da poter realizzare con la somma di onze 400, ovvero tarì 13.10 per ogni canna di muratura. 

    Provvedimenti furono presi dal nostro feudatario affinché nessuno deturpasse le mura allora costruite, tantoché il 27 settembre 1627, a Castelvetrano, fu proclamato un bando perché «nessuna persona di qualsivoglia grado, stato, foro e conditione che sia, debba ne presuma sdirrupare ne far sdirrupare li suddetti mura, ne aprir porte che danno fora la suddetta città sotto pena di onze dieci, alle persone habili [ovvero benestanti], e all’inabili di quattro tratti di corda [antico sistema di tortura e pena corporale]».   

    Tra le antiche porte d’ingresso alla città, l’ultima rimasta è quella denominata Porta di mare o di S. Francesco – di mole monumentale, architettonicamente decorata come si conviene quale ingresso principale alla città– fatta costruire, come la lapide ivi murata commemora, nel 1626 dalla civica Amministrazione del tempo.   

    Da tre inediti documenti, per la prima volta qui trascritti, apprendiamo il nome del murifabbro che si aggiudicò la gara di appalto e che progettò la porta che oggi comunemente chiamiamo “Garibaldi” (dalla via eponima che l’attraversa): 

    «‘A [giorno] 10 [di] detto [marzo 1626], pagare a mastro Vito Lasparacia onze quindici, si li pagano in conto della fabrica della porta di mare quale ha da fare a tutte sue spese, con lo muro a lato detta porta, di calce e rina, e detta porta di pietra intagliata, conforme allo incanto fatto ‘a 8 del presente [...] corte, appare con lo relativo, cioè di detta porta a ragione di onze 40 per cento della sua mastria e di detto muro del terzo di quello saranno stimati per due esperti da eligersi comunemente quale fabrica ha da darla finita per tutti li quindici di maggio seguenti d’avenire [...]. Femia, Ancona, Majo, Scaglione Giurati». 

    Appena qualche giorno prima, il 3 marzo del 1626 venivano consegnate, presso lo scalo di Bruca, due colonne in pietra di Trapani da servire come paracarro per la costruenda Porta di mare: 

    «‘A [giorno] 3 [di] detto [marzo 1626], pagare al padre fra’ Giovanni Maria di Castrogiovanne, come procuratore del convento di santo Francesco di Paola di questa città, onza una, si li paga per portarsi di due colonne venute da Trapani, pigliare dal piano della cala della bruca con due carrozze, le quali per esser troppo gravose fu necessario portarsi con la lentia, le quali colonne si han da mettere inanzi  la porta detta di mare di questa città, per servire per reparo della suddetta porta per non infrantarci carrozze, e guastarsi [...]. Giglio, Militelli, Modica, Mangiapani Giurati; Di Maria Sindaco». 

    Alla luce del primo documento possiamo ipotizzare che il murifabbro Vito Lasparacia doveva essere, per l’epoca, uno dei migliori esponenti dell’arte edificatoria in città, sebbene poche testimonianze documentarie rimangano oggi questo personaggio meriterebbe altri studi d’approfondimento che ci proponiamo di condurre in seguito; un terzo e ultimo documento di qualche anno precedente, ovvero del 25 settembre 1621, rogato dal notaio Mangiapane di Castelvetrano, ci conferma il «Magister Vitus Lasparacia» attivo nel cantiere per il completamento della fabbrica della chiesa di S. Giovanni Battista, in particolare per la elevazione della facciata principale, opera che presenta notevoli analogie stilistiche e progettuali con la successiva Porta di mare: «Magister Vitus Lasparacia […] se obliga […] complere et finire totas fabricas necessariam pro dicta ecclesia [...] tanto di maramma rustica, quanto d’intaglio, per la porta magiuri, fenestri et cornixuni necessarij, di lo modello, seu modo, benvisto ‘a detti officiali [...], con tutto lo [...] di detto Lasparacia, tanto di petra et calcina, quanto di ponti, cordi et altri necessarij per fare la fabrica tutta […] che li pezzi che saranno necessarij per fare  detto intaglio s’habbiano da fare della perrera di la petra bianca sopra lo chiano di la ecclesia della Trinità di Delia, et in quanto all’altra petra et calcina di la perrera ordinaria, nella [...] della cava della ecclesia di santa Maria de Itria, et di calcina ordinaria [...]». 

    Avendo così ridato la paternità dell’opera a un dimenticato murifabbro castelvetranese del Seicento, torniamo alle vicende sulla Porta di mare ricordando alcuni aneddoti come quello del settembre 1791, quando un fulmine colpì la parte sommitale della porta stessa compromettendone così la stabilità;  immaginiamo, in assenza di documenti successivi, che tale danno venne poi restaurato. 

    Ancora, nel 1847, l’architetto comunale, canonico Gaspare Viviani, fu incaricato di redigere una perizia per la stima economica di un possibile restauro della porta che da anni versava nell’incuria.

    Bisognò però attendere i lavori di restauro dell’anno 1903 per risolvere i gravi problemi di staticità del monumento; riunitosi il Consiglio comunale,  in data 29 dicembre 1902, si aprì il dibattito sulla conservazione –o sulla demolizione– dell’antico monumento di Porta Garibaldi: «[…] La porta Garibaldi ha urgente bisogno d riparazioni per la sua conservazione. L’Amministrazione comunale, prima di procedere ad una qualunque spesa per l’oggetto, ha creduto interpellare il Consiglio comunale per conoscere se vi vedesse opportuna la demolizione allo scopo di rendere libera la visuale della via omonima. 

    Epperò viene il Consiglio invitato a pronunziarsi in proposito. Il consigliere Cav. Dr. Francesco Ingoglia […] dichiara essere d’avviso che debba quella porta conservarsi anche per ragioni d’edilizia; tanto più che i fabbricati limitrofi nell’interno della città essendo, da un lato specialmente, a pian terreno, non offrono un bello aspetto a chi entra in città, mentre quella porta mitiga l’impressione di meschine fabbriche all’occhio di chi arriva in via Garibaldi dall’esterno della città», di parere opposto fu invece il consigliere Giuseppe Sciacca, dal quale partì la proposta di demolizione del manufatto architettonico, che si rimise poi al voto del corpo deliberante senza nessuna lamentela.

    Infine, con votazione per alzata di mano, l’intero Consiglio comunale unanimemente deliberò la conservazione e riparazione della Porta Garibaldi. 

    I lavori di apertura dei due fornici minori, ai lati del fornice maggiore, avvennero nel 1939 per sopraggiunti problemi di passaggio sui marciapiedi; nel 1990 circa, con un progetto regionale di conservazione del patrimonio artistico, la Porta di mare, o di S. Francesco, o Garibaldi, o più comunemente Arcu di l’Ammaculata, venne ripulita e restaurata seguendo quel principio di gradevolezza estetica ed eleganza urbana consona ad una città che fu grande nel suo passato. 

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