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Le Cave di Cusa tra potenzialità inespresse, necessità di rilancio e la leggenda del “Re dell’oro”

del 2023-02-15

Immagine articolo: Le Cave di Cusa tra potenzialità inespresse, necessità di rilancio e la leggenda del “Re dell’oro”

Così si raccontava delle Parche di Cusa, “toponimo” popolare delle Cave di Cusa. Il sito era ammantato da una credenza storico-popolare misteriosa, che circolava fra villici e gente del luogo, quella “di lu re di l’oru”.

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  • Si diceva che il sito fosse abitato da una mitica figura, appunto, “il re dell’oro” e che chiunque lo avesse visto sarebbe diventato ricco, perché il rocchio più vicino si sarebbe trasformato in un prezioso metallo giallo: l’oro.

    Al di là dell’inevitabile richiamo alla legenda del re Mida, forse vale la pena insinuare nella mente dei lettori un dubbio: chi proferiva questo vaticinio aveva preso coscienza di tutta la potenzialità economico-culturale che il sito contiene?

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  • L’oro era e sono, infatti, i rocchi e quant’altro è tuttora presente in questo ameno luogo, uno scrigno, le cui pietre trasudano cultura millenaria, rappresentando un esempio unico nell’intero bacino del Mediterraneo, lasciando traccia ancora ben visibile dell’antica attività estrattiva.

    In questo sito l’azione antropica si fonde con le bellezze della natura. Tra la fauna che popola il luogo, infatti, sono presenti: volpi, istrici, la lucertola siciliana (Podarcis wanglerianus), quasi a rischio di estinzione, una colonia di gracchi, nidificanti nelle pareti sud, oltre ad alcune coppie di poiane, specie protette.

    E che dire della flora ricca di endemismi rari? Dalla mortella allo stinco, dalla quercus spinosa alla palma di San Pietro, che nell’insieme creano un esempio composito di macchia mediterranea. Non mancano, poi, carrubi, madorle, ulivi, ogliastri giganteschi e secolari, già esistenti al tempo di Houel (28/06/1735 – 14/11/1813) che nel suo Gran Tour, transitando sul nostro territorio e visitando le Cave di Cusa (1777), rapito dalle bellezze del luogo, immortalò in un suo olio rocchi e ogliastri, prorio quelli che ancora oggi sono visibili ai nostri occhi, per poi riprodurne delle incisioni.

    Oggi il parco invoca l’aiuto della mano dell’uomo: è necessario individuare gli elementi estranei ed alieni, che con la loro presenza sviliscono la flora originaria, e proteggere le specie autoctone.

    Si potrebbe mettere a coltivo quelle zone, un tempo produttive, dove abbondavano mandorleti, uliveti ed altre piante fruttifere; ripristinare i meravigliosi muretti a secco, che un dì segnavano i confini di proprietà, ma anche creare un Brand, un marchio D.O.P. di prodotti ivi raccolti.

    I coltivi, inoltre, fungerebbero da tagliafuoco, evitando così lo sviluppo dei sistematici incendi che annualmente distruggono e mortificano un’ampia parte a sud-ovest del Parco, meno conosciuta e non visitata dai più, anche se lì si può ammirare la cava del Capitello, un incantevole panorama con vista del mare africano e le antiche torri di avvistamento di Tre Fontane (Torre dei Saraceni) e di Torretta Granitola (Torre Sorello), anche esse annoverate tra le meraviglie antiche e non solo del nostro territorio.

    Morale: “Lu re di l’oro” leggenda, l’altra utopia.

    Il Presidente dell’Archeoclub
    Campobello Cave di Cusa
    Antonino Gulotta

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