Dal "Domino" ai veglioni tra balli e amori nascosti. In ricordo di un carnevale che fu
del 2017-08-26
Castelvetrano non ha avuto una sua maschera tradizionale di carnevale come quelle vantate, invece, da decine di città e paesi italiani. Il mascheramento delle persone, giovanissimi od adulti, avveniva senza costumi speciali, ma con qualsiasi vecchio abbigliamento, occasionalmente tirato fuori da vecchi armadi o ripostigli di oggetti fuori uso. Il costume "classico" con cui, quasi tutti, si mascheravano per garantire il totale anonimato di colui e, soprattutto, colei, che lo indossava, era sua maestà il "Domino".
Si trattava di un largo e lungo camicione nero di seta o stoffa leggera, con un ampio mantello ed un cappuccio che copriva del tutto, unitamente ad una mascherina allungata con un pezzo di stoffa, testa e viso. Il mantello ed il cappuccio recavano un bordo di colore rosso, azzurro o bianco; completavano, poi, il totale nascondimento dell'identità di chi si mascherava, il cambio della propria voce e lunghi guanti per impedire la visione od il tatto delle mani naturali.
Non c'era alcuna sfilata di carri, ma, a partire da alcune settimane prima del giovedì grasso, cominciavano a comparire nelle vie della città i primi gruppi di persone mascherate che animavano una sorta di folkloristica processione profana, spontanea, piena di colori e suoni, che cercava ospitalità nei luoghi, anche privati, da cui si sentivano provenire le note di una musica da ballo.
Poi, nelle due settimane che comprendevano i giorni del carnevale, esplodevano i cortei, anarchici e variegati, che invadevano le strade brulicanti di centinaia e centinaia di persone mascherate.
Queste persone, di solito, raccolte in gruppi di amici o parenti, mentre attraversavano le vie sparavano mortaretti, buttavano coriandoli e ballavano accompagnandosi con trombe, fisarmoniche, tamburi ed altri strumenti utili a fare rumori, suoni e canti divertendosi a sbeffeggiare, e magari provocare, tutte le persone non mascherate che incontravano.
I vari flussi della fiumara del corteo delle maschere erano diretti e si disperdevano dentro le sedi dei vari circoli od associazioni, all'uopo ad esse aperte, dove erano accolti con grande allegria (ed attesa, come vedremo) dai soci, giovani e meno giovani, pronti a consumare, tutti insieme, il rito del ballo di coppia.
Nella Piazza Pignatelli, a fianco del Teatro Selinus, venivano collocati "lu Nannu" e "la Nanna", pupazzi giganteschi che rappresentavano due vecchi che sarebbero stati bruciati nella notte di martedì grasso, previa lettura del loro testamento.
Questo atto, preparato da bravissimi buontemponi, a mo’ delle "pasquinate" romane, sbeffeggiava comportamenti e vizi dei maggiorenti cittadini, magari rendendo pubblici segreti che si dicevano di "Pulcinella" perché, in una piccola città, ufficiosamente erano fatti già da tutti conosciuti. Ancora oggi, ma con molta minore partecipazione popolare, questo tradizionale rogo continua.
IL TOUR DE FORCE PER L'ORGANIZZAZIONE DEI VEGLIONI NOTTURNI
Ho già ricordato la lunghezza temporale del pre-carnevale e merita essere evidenziato il tour de force che impegnava i soci per preparare, prima, e per partecipare, dopo, ai veglioni carnevaleschi nella fase notturna che escludevano le maschere ed erano riservati alle famiglie dei soci od invitati. Per l'organizzazione di questi veglioni era chiesto un gran lavoro preliminare per l'addobbo carnascialesco dei luoghi da ballo, con festoni e mascherine colorate.
Per ragioni di colore dell'ambiente venivano ricostruiti interi tetti dei saloni con cascanti ghirlande, stelle filanti, palloncini e veneziane; al circolo "Pirandello" si compravano alcune centinaia di cotillons (mascherine, trombette, cappellini) e sacchi di coriandoli a quintali, che servivano per allietare il clima dei balli con le allegre battaglie a coppie.
Inoltre, atteso che l'abituale bar dei circoli non era sufficiente per servire la grande straordinaria massa di avventori, venivano costruiti, con legno e materiali leggeri o di cartone, nuovi ambienti-buffet che contenevano lunghi banconi per la vendita di prodotti da pasticceria e la mescita di bevande anche alcoliche.
Nei circoli, fino al mercoledì che precedeva il giovedì grasso, non c'era alcun limite di orario per l'ospitalità al ballo delle maschere. Diverso era, invece, dal giovedì in poi, dal primo giorno della festività in avanti nei circoli le maschere si ricevevano solo a partire dalle sedici fino alle ventidue.
Da quest'ora in avanti le maschere erano invitate a lasciare i locali, per consentirne la pulizia e la sistemazione dei saloni dove si svolgeva il veglione notturno (riservato alle famiglie dei soci ed invitati, senza mascheramenti, con le signore in abito da sera e gli uomini in abito rigorosamente scuro) che durava dalla mezzanotte alle tre o quattro del mattino; nell'ultimo giorno il veglione durava oltre l'alba del mercoledì delle ceneri.
Per la musica del ballo aperto alle maschere, negli anni cinquanta, si utilizzavano i dischi in vinile e negli anni sessanta nastri di dischi registrati; nei veglioni notturni suonavano complessini anche di grido. Negli anni cinquanta le musiche da ballo erano quelle che oggi chiamano "liscio" (tango, marzuka, polka, valzer) e, poi, tarantelle e contradanza siciliana.
Negli anni sessanta le mitiche musiche dei balli di coppia del "mattone", con interpreti e cantautori di una stagione musicale leggera, straordinaria ed irripetibile, rendevano felici le magiche ore dei nostri amori giovanili; non mancavano musiche latino-americane (samba, rumba, cha cha cha) che avrebbero, poi, aperto le porte al ballo di gruppo degli anni successivi.
Ovviamente, una grande mole di lavoro preparatorio gravava sui soci più giovani dei circoli i quali, peraltro, dopo erano impegnati anche nelle lunghissime ore del ballo.
Solo a considerare i soli sei giorni di festa del carnevale, per partecipare al ballo, si trattava di impegnare oltre sessanta ore pomeridiane, serali e notturne. Il lunedì era giorno di totale riposo, perché il giorno successivo, martedì, ultimo giorno di carnevale si finiva di ballare alle sei o sette del mercoledì.
All'epoca gli esami all'Università si svolgevano in due sessioni ordinarie, a giugno ed ottobre, ed in un appello straordinario di febbraio; impegnati nel tour de force del carnevale, erano pochi gli universitari che davano esami nella sessione di febbraio.
LE BURLA ED IL FASCINO DEL MISTERO DEL DOMINO
Ho accennato che il mascheramento del carnevale era dato, soprattutto, dalla vestizione del "domino" che consentiva l'assoluto anonimato a colui o colei che lo indossava. La quasi totalità, poi, delle maschere che indossavano il "domino" erano donne di ogni età e condizione sociale.
Le motivazioni che inducevano al mascheramento, esclusa quella dei delinquenti, di commettere, purtroppo, reati, potevano ricondursi a tre principali filoni: il divertimento dato dalle burla di allegri buontemponi, la ricerca di incontri e contatti meramente fisico-boccacceschi, l'aspirazione-speranza di costruire o coltivare relazioni romantico-sentimentali.
Ho accennato alla curiosa tradizione che rappresentava, per le donne, nella nostra comunità maschilista, una rivalsa alle loro condizioni di normale soggezione all'uomo.
Quando la fiumara del corteo di maschere abbandonava le strade, per invadere le sedi dei circoli, i soci (allora solo uomini), giovani e meno giovani, oziavano nelle sale del sodalizio per aspettare di essere invitati a ballare da qualche mascherina donna la quale, finalmente, non era scelta, come avveniva normalmente nei veglioni, ma era lei che guidava il gioco e sceglieva il cavaliere con cui aveva interesse o piacere di ballare.
Va sottolineato che la tradizione voleva che l'invito a ballare da parte di una maschera, chiunque fosse, non poteva essere rifiutato, così come avveniva nei balli non mascherati per le donne invitate.
Lo spiacevole affronto di fare "tappezzeria", se mancava, o tardava, l'invito a ballare, in una sorta di legge del contrappasso, con quel rito della tradizione che dava inizio al ballo di coppia con una maschera, non era subìto dalle donne, bensì dagli uomini.
L'orgoglio maschilista, durante l'arco di tempo riservato ai balli uomini-mascherine, usciva, dunque, sconfitto; farsi trovare, schierati nelle sale, in attesa dell'agognato invito (che magari non arrivava) era certamente un vulnus per il gallismo imperante dell'epoca che, però, era prima alleviato e, dopo, subito dimenticato quando, finalmente, arrivava l'invito. Infatti, per gli amici e l'opinione pubblica, dall'interessato trascurato dalle mascherine questo invito era spacciato, sempre e comunque, come una grande e strabiliante conquista amorosa da "gallo".
Ho già esplicitato una sommaria elencazione delle varie motivazioni che determinavano la scelta del travestimento mascherato, in particolare, con il "domino". Il primo degli scopi era la volontà di burlarsi di qualche socio non mascherato, da parte di maschi ironici e buontemponi, che sapevano benissimo camuffarsi da donna desiderosa di conquistare il cavaliere credulone.
Per altro verso si verificava che c'erano donne, magari non belle o brutte, ovvero appartenenti al ceto delle signorine delle "case chiuse", che, sfoderando fascino indebito o illibatezze solo vantate, cercavano di fare innamorare il cavaliere giovane e bello. Capitava, sovente, che questi giochi ironici di tentate conquiste, improbabili attraverso i balli, da parte di queste particolari persone mascherate, durassero per interi pomeriggi per tutto l'arco temporale del carnevale e finivano sempre in burla per il cavaliere della coppia.
Durante gli interminabili balli del mattone, il cavaliere si sentiva il "gallo adone" dell'anno, ma alla fine del gioco, magari nell'ultima serata, con lo svelarsi della vera identità della mascherina, nel circolo esso diventava, per l'inganno patito, oggetto di grande generale ilarità, di scherni e presa per i fondelli da parte degli amici anche per i giorni a venire dopo il carnevale. Un mio caro amico, purtroppo scomparso, aveva una grande capacità a camuffarsi da donna e giocava alla conquista di soci del circolo da mettere alla berlina.
Nel gioco esso usava, all'improvviso, dare uno schiaffo al malcapitato cavaliere, che pubblicamente accusava, quasi sempre mortificato perché incolpevole, di non aver tenuto, durante il ballo, le mani a "posto". Il giochino dello schiaffo, a noi noto, era, fra le burle più esilaranti.
Un effetto di simile ilarità, per altro verso, alle spese del cavaliere credulone, nasceva dal sarcasmo della delusione, che questo viveva dopo aver coltivato, in ore ed ore di ballo, l'illusione di avere conquistato e flirtato con una donna bellissima da sposare che, poi, si era rivelata brutta o di pubblici facili costumi.
L'altro filone sostanziale dei motivi del mascheramento era dato dalla ricerca di incontri e contatti, fisico-boccaceschi, da parte di chi indossava il "domino". La pesante repressione, dell'epoca, della naturale propensione a vivere pulsioni fisico-erotiche, generava in talune categorie di persone (omosessuali, mogli insoddisfatte e donne mature) la ricerca, grazie alla protezione dell'anonimato del “domino", di potenziali preludi, grazie al ballo di coppia, per incontri e conoscenze mirate a futuri contatti fisico-boccaceschi spesso, in verità, più sperati che consumati.
Come non ricordare, a questo proposito, la famigerata "Mina, pansa cavura", sicula bruna, dal corpo sodo e formoso che si presentava a ballare nuda sotto il "domino" sopra al quale all'esterno, per difendersi dal freddo, portava un cappotto. Inutile raccontare l'invidia nutrita da tanti di noi nei confronti dei pochi giovani soci che avevano la fortuna di essere invitati a ballare con lei.
In questo filone di motivazioni al mascheramento sono da ascrivere, altresì, quelle di donne sposate che coltivavano relazioni extra-coniugali e potevano godere, grazie al carnevale, di ripetute occasioni, non usuali, supportate dal "domino", per stringersi nel ballo con l'amante, magari in presenza del marito tradito ed ignaro. L'aspirazione-speranza di un incontro romantico-sentimentale, magari immaginato per sempre da chi non viveva stati amorosi, era quella che generava nel cavaliere, coinvolto nel ballo, una emozione inenarrabile.
Una magia di esaltazione lirica, infatti, si sprigionava dal muto mistero di un viso ed un corpo nascosti dal "domino", mentre il fascio di luce di due maliziosi occhi (neri, azzurri o verdi) penetrava, seducente, dai buchi di una mascherina per affascinare e conquistare i tuoi occhi. Era il preludio di un innamoramento.
Al fascino incantato di questo, suggestivo, intimo colloquio fra occhi sconosciuti seguiva, sicura, la fervida immaginazione con la quale il cavaliere, giovane o meno giovane che fosse, cercava di dare un volto alla fanciulla o donna misteriosa che doveva essere, per certo per la sua fantasia, bellissima, dolce e gentile.
Diverso, ma sempre affascinante e coinvolgente, era l'invito al ballo di una mascherina quando l'amore era già nato; il ballo con la donna mascherata, ma conosciuta, diventava occasione preziosa per l'abbraccio amoroso di un flirt costretto a vivere nella riservatezza.
Non sempre tutto era così magico; in tanti carnevali, quanti amori sono nati e sono finiti e quante delusioni d'amore si sono sofferte quando la mascherina dell'amata, che subito sapevi individuare nella confusione, ti ignorava o ti trascurava per invitare altri al ballo di coppia.
Il "gallismo giovanile" usciva fuori, anche quando dall'abbraccio del ballo ti accorgevi che la persona misteriosa non era una fanciulla, ma una giovane donna sposata che emanava femminilità e riservatezza ed era amante dei balli.
Con la interessata fantasia "gallica" maschile di allora si volava, subito, a pensare di essere stato scelto da una di quelle giovani signore, molto formose e belle, che avevi ammirato sulla spiaggia di Selinunte in estate o nel routinario passeggio invernale nella via Vittorio Emanuele.
Nessuno di questi straordinari balli con le mascherate giovane signore della Castelvetrano bene, a mia memoria, ha avuto seguiti concreti; al massimo, se eri riuscito a scoprirne la vera identità, ti dovevi accontentare, nei veglioni notturni, di osservare, con celata ammirazione, quella bellezza muliebre in abito da sera, vicina al marito.
LA MALINCONIA DELL'ALBA DELLE CENERI
Il virgiliano "fugit irreparabile tempus" colpiva anche la stagione del nostro carnevale e, purtroppo, arrivava l'alba del mercoledì delle ceneri.
Con la sua immaginifica arte cinematografica, il grande Fellini, nella sua opera "I Vitelloni" ha raccontato, da par suo, con l'ultimo veglione notturno del martedì di carnevale degli attori del suo film, l'amarezza di quella speciale "alba". La finzione cinematografica ha narrato, fedelmente, quella nostra "alba" a Castelvetrano.
Nei saloni dei circoli o dei teatri, ormai quasi deserti, con le poltrone ed i divani abbandonati e vuoti, i pavimenti coperti da cumuli di coriandoli e stelle filanti, noi giovani, soliti ritardatari, pallidi, sfiniti e malinconici, continuavamo a trascinarci al suono delle ultime melodie dell’orchestrina. Quando, poi, decidevamo di lasciare la festa, si andava a consumare nelle "mannare" delle campagne (il ricovero del gregge) la "zabina" (ricotta calda e soffice con il siero), preparata all'alba dai pastori, prima di andare, finalmente, a dormire il sonno ristoratore dei giusti.
Anche per noi la malinconia di quell'alba con la fine del carnevale, manifestava l'inconscia nostra amarezza perché era finito il tempo degli scherzi e cominciava, ora, la resa dei conti fra le illusioni della spensieratezza dei freschi anni e la realtà delle incognite della vita reale che si cominciavano a disegnarsi all'orizzonte dei nostri anni futuri.
La malinconia nei nostri cuori era la presa d'atto che si era consumata, a lungo ma velocemente, una delle più belle stagioni della nostra giovinezza.
Stelio Manuele