Epifania: le nostre tradizioni scomparse e la ricorrenza dei 'tri re'
di: Vito Marino - del 2017-01-06
Ogni popolo dovrebbe effettuare, nel proprio territorio, la ricerca e la valorizzazione del folclore e delle tradizioni popolari, perché rappresentano una ricca risorsa culturale oltre che economica.
Nell'era della globalizzazione, che uniforma usi e costumi di tutti i popoli, il ricordo delle proprie origini e delle tradizioni popolari diventa di primaria importanza per poter mantenere una propria identità. La Sicilia dalle numerose colonizzazioni avute dai popoli più evoluti del Mediterraneo, nel corso dei secoli ha acquisito moltissimi usi e costumi di inestimabile valore culturale, ma a causa della integrazione globale, li sta perdendo uno ad uno.
Riappropriarsi delle proprie tradizioni del passato, considerate oggi come ricchezze immateriali, lasciandoli come eredità ai posteri significa una continuità fra passato presente e futuro, una sconfitta sul nulla eterno.
La ricerca del lontano passato è possibile, ma presenta tanti ostacoli, prima fra tutti l’analfabetismo molto diffuso, che esisteva fra la popolazione di allora. Infatti la cultura del passato si tramandava oralmente da padre in figlio. Oggi le persone anziane, soli detentori delle nostre tradizioni, sono in grado di tramandarle tramite la scrittura.
Se torniamo ad un lontano passato, a Castelvetrano l’Epifania era caratterizzata da una rappresentazione che aveva luogo tutti gli anni nella Chiesa conventuale dei Padri Domenicani.
Cantata con accompagnamento musicale aveva come oggetto: “La visita dei tre Magi alla grotta di Betlem” ed il loro atto di adorazione al Salvatore del mondo con le offerte di oro, incenso e mirra.
Lo spettacolo, che si rinnovava ogni anno, cantato con accompagnamento musicale e con i personaggi vestiti in costumi antichi dell’epoca, attirava tante persone, che assiepavano la chiesa di San Domenico. A causa della soppressione delle corporazioni religiose, nel 1866 lo spettacolo non avvenne più.
Fino agli anni ’40 – ’50, con “la festa di li tri re”, una volta prettamente religiosa, oggi chiamata “della befana”, cioè del consumismo e dei regali, il sei gennaio chiudeva tutta la festività e l’atmosfera natalizia.
In chiesa, oltre al normale festeggiamento religioso della ricorrenza dell’Epifania, dopo la santa messa, a scopo umanitario, per rendere felice un bambino povero, si celebrava la “Vistizioni di lu Bomminu”.
Dopo avere raccolto fra i fedeli vestitini e denaro, in sacrestia, un bambino povero (simbolo del bambino Gesù) veniva denudato delle proprie povere vesti e, sebbene il freddo fosse molto sensibile, veniva ricoperto solo da una tunica azzurra e, postagli sulla spalla una piccola croce e una coroncina di fiori in testa veniva presentato al pubblico radunato in chiesa e qui cominciava la vestizione con il lavargli i piedi e vestirlo degli abiti ricevuti in dono. Al termine il bambino veniva portato in processione, alla propria casa, con altri regali.
Fino agli anni ’50 – ’60 del secolo scorso, la ricorrenza dell’Epifania era ancora una festa religiosa che commemorava l’arrivo dei “Tri Re di l’Orienti” alla grotta di Betlemme e chiudeva tutta la festività e l’atmosfera natalizia.
Il presepe fatto in ogni casa era la più grande rappresentazione di tutta la festività natalizia. In quegli anni arriva l’albero di Natale e, volando arriva anche “la befana” che, con la scopa spazza via il presepe e la festa dei Re Magi. Quindi una festa profana, figlia del consumismo e delle tradizioni di altri popoli, si insinua nella nostra festività natalizia, di tradizione prettamente religiosa.
Terminata la festività religiosa, nutrimento dell’anima, il giorno dopo, a taglio netto, si respirava un’aria tutta diversa, infatti, iniziava la festa della carne, dell’attrazione terrena, del nutrimento e godimento del corpo: la festa “di lu Cannalivaru” (del Carnevale).
“Doppu li Tri Re, olè olè” (dopo l’Epifania, gran divertimento), così si diceva e già la sera stessa del sei gennaio si vedevano in giro persone vestite in maschera e iniziava il ballo nelle famiglie. Con il Giovedì Grasso, iniziava la vera festa carnascialesca.
Dal dopoguerra (1943) fino agli anni ’60 circa, anni di magra, il carnevale era molto atteso da tutta la popolazione, per divertirsi e scrollarsi di dosso quei lunghi anni di terrore vissuti durante la guerra e il ventennio di dittatura.