Da "Assabenerica" a “Vossia”. Quando il saluto era rispetto ed educazione
di: Vito Marino - del 2017-01-16
(ph. Il castelvetranese doc)
Il Siciliano è stato sempre molto rispettoso riguardo al saluto, per questo Infatti si diceva: "Lu salutu lu lassau Diu" oppure "Lu salutu è di l'ancili". Anche ai nostri giorni, se una persona passa per un viottolo di campagna ed incontra un'altra persona o vede un contadino che lavora, sente il dovere di salutare, anche se non lo conosce.
"Assabenerica" era il saluto che rappresentava il massimo del rispetto portato verso la persona da salutare. Lo usavano i ragazzi per salutare "lu tata, la matri, lu tataranni, la mammaranni" (il padre, la madre, i nonni) e i parenti più grandi e più intimi; ma lo usavano anche i meno abbienti quando salutavano una persona più di riguardo, come pure il figlioccio rivolto al padrino.
I vocaboli “tataranni e mamma ranni" (padre grande e madre grande) derivano dal francese “grand-père e “grand-mère”. La parola "assabenerica" derivava da "assa” e “benerica" cioè "vossia" mi benedica. La risposta della persona salutata era "santu e riccu o santu e binirittu o lu Signuri ti binirici o semplicemente binirittu oppure lu Signuri t'accumpagna", cioè augurava a chi aveva salutato di diventare santo e ricco o santo e benedetto o il Signore ti accompagna, come segno di benedizione richiesto con il saluto.
Come precisazione c’è da dire che il “lei” è entrato in uso dopo il 1860, importato dai piemontesi, prima si usava il “vossia”. Il borghese come titolo riceve il “don” (da dominus) prima del nome e il “voi” come segno di distinzione; la moglie verrà chiamata “donna”. Per le persone appartenenti all’ultimo gradino della scala sociale si userà il “gnuri" e “gnura” per la moglie. Per i lavoratori giornalieri che non hanno alcuna specializzazione nel lavoro venivano chiamati col loro nome di battesimo. Alle stesse persone quando superavano una certa età si dava il titolo di “zu” e “za”.
Il feudalesimo decadde nel 1912, ma in Sicilia le cose non cambiarono fino al 1950 quando la civiltà del benessere e del consumismo subentrò alla civiltà contadina. Così fino a quegli anni si usava dare del “Voscenza benerica” (Vostra eccellenza mi benedica), il saluto che il contadino o la persona di basso ceto dava al padrone o a chi stava più in alto nella scala sociale.
Quando per strada si salutava una persona di riguardo, era doveroso alzare il cappello o il berretto e fare un leggero inchino dicendo: “servu sò” oppure: “servu di voscenza”; la risposta poteva essere: “vi lassu cu la santa paci”. Lo stesso succedeva se la persona di riguardo era affacciata al balcone. Se al balcone c’era affacciata una signora di nobile casato o soltanto benestante, un popolano conoscente, che passava di sotto, salutava senza alzare lo sguardo: viceversa, avrebbe osato troppo.
Le persone adulte, di pari scala sociale, si potevano salutare con il generico "salutamu" o "ti vogghiu beni" (salutiamo o ti voglio bene) oppure “baciamu li manu”; al che il salutato rispondeva "e jè lu simili" (ed io lo stesso) oppure "baciamu" (baciamo le mani, accorciato).
In campagna i contadini si salutavano così: “Evviva Maria” e l'altro rispondeva: “E Gesù e Giuseppi 'n cumpagnia” oppure “Evviva Gesù e Maria”, risposta: “e San Giuseppi ‘n cumpagnia”.
Il figlio, come segno di rispetto, doveva dare del "vossia" (voi) ai genitori, ma anche ai fratelli più grandi. Siccome la mia generazione è stata educata in tal senso, anche se in casa mia noi fratelli davamo del tu ai nostri genitori, tuttora, quando parlo con una persona più anziana, provo e manifesto del rispetto.
Posso affermare che di questo mio comportamento ne vado orgoglioso.