Da "lu stagnataru" a “lu panararu”. Ricordando vecchi mestieri siciliani oggi scomparsi
di: Dott.Francesco Marino - del 2016-09-09
“Lu stagnataru”, una delle attività artigianali siciliane oggi scomparse. Sembra che molti mestieri tradizionali fossero entrati in crisi subito dopo l’inizio e la diffusione della produzione di massa la quale si basa sulla standardizzazione delle mansioni e dei compiti lavorativi.
Pare che il naturale desidero dell’uomo a transitare in ruoli e classi sociali superiori sia stato altro elemento decisivo cui attribuire l’abbandono di antiche attività artigianali, spesso poco remunerate e non gratificanti.
“Lu stagnataru” (lo stagnino), “lu consalemma” (l’aggiusta tegami), “lu pirriaturi (il cavatore di tufo), “lu panararu”, (il fabbricatore di cesti di vimini), “la ricamatrice”, “lu quartarau” (il fabbricante di recipienti di terracotta), “lu mpagghiasegge” (l’aggiusta sedie), “lu uttaru” (il riparatore di botti), “la lavannara” (la donna che lavava i panni per gli altri), “lu vastasu” (il facchino) sono solo alcuni dei mestieri siciliani scomparsi. L’elenco potremmo continuarlo per molte pagine ancora.
In Sicilia, spesso la persona veniva individuata con il mestiere esercitato: “la za Cicca a lavannara” perché lavava i panni a pagamento. Oppure il mestiere lo si abbinava all’oggetto lavorato “lu zu Nofriu lu curdaru” perché produceva le corde.
Oggi proverò a raccontare ai tanti lettori appassionati di alcuni mestieri scomparsi.
“Lu stagnataru” di solito era titolare di una piccola bottega ma non sdegnava di svolgere in strada il proprio lavoro.
Per esercitare l’attività aveva bisogno di pochi utensili: una fornacella portatile alimentata a carbone, una piccola fucina ed un bastoncino di stagno che spalmava sulla superficie dell’oggetto da riparare. Teneva poi l'acido che serviva per la pulitura degli oggetti sistemati.
Le nostre nonne gli hanno chiesto di stagnare le “quarare” (pentole di rame) e “i pareddi” (le padelle) per isolare il cibo dal rame evitando la produzione di tossicità durante la cottura.
Lui, zigava anche “i pili pi lavari” (vasche di legno rivestite all'interno di metallo); cunzava i vacila (aggiustava le bacinelle), i rinali (vasi da notte in ferro smaltato) e le bagnarole (le bacinelle di metallo).