Quando la "pila" era la lavatrice odierna e la cenere era il detersivo per eccellenza
di: Vito Marino - del 2016-05-02
Un grande scrittore, di cui non ricordo il nome, una volta si trovava ricoverato nella corsia di uno ospedale e, attraverso la fessura di un paravento ha visto la mano del suo vicino di letto. Dalla vista di quella semplice mano ha scritto tante pagine e ricostruito la personalità dell’individuo.
Da questa semplice foto della “pila” spero di fare altrettanto, ricostruendone la storia. Conosco questa “pila” con il pozzo vicino e questo cortile da almeno 70 anni. Durante la civiltà contadina nei cortili, pila e pozzo non mancavano mai, aggiungo anzi, che vivevano quasi in simbiosi.
Al limite, in mancanza del pozzo c’era la cisterna, dove si convogliava l’acqua piovana proveniente dai tetti delle case.. Allora, nelle abitazioni non c’era l’acqua corrente del Comune e l’approvvigionamento idrico avveniva dal pozzo, dalla cisterna o, per chi non possedeva queste fonti, dalla fontanella pubblica.
“La pila di petra” immancabilmente si trovava in tutti i cortili, un gioiello dell’architettura di origine araba di cui Castelvetrano, malgrado le sistematiche distruzioni ne possiede ancora censiti 160.
Sui cortili di Castelvetrano potrei scrivere un intero libro, perché mi sono appassionato su questo argomento. Un proverbio antico diceva che “lu putiaru socch’avi abbannia”.
Noi abbiamo questa grande ricchezza architettonica dei cortili e ancora non li sappiamo valutare e mettere in mostra. Oggi tutti i paesi e città d’Europa stanno valorizzando le loro caratteristiche architettoniche locali e noi scimmiottiamo culture d’altri paesi per fare turismo.
La rivalutazione dei cortili, senza andare lontano da Castelvetrano è stato già effettuato a Menfi durante la festa del vino, a Partanna in un paio di feste paesane; Mazara ha rivalutato la casba, con l’arrivo di tanti di turisti che vanno a visitarla; sabato 30 aprile 2016, visitando Sambuca di Sicilia, assieme agli associati dell’UNITRE di Castelvetrano ho potuto constatare che, non solo i cortili, ma tutto il centro storico è stato rivalutato e ristrutturato, trasformando un paesetto, che noi superbi castelvetranesi chiamavamo “cacaturi” in un borgo bellissimo, vera attrazione turistica.
Non dico una bugia, perché nella nostra comitiva c’era anche l’assessore dott. Stoppia. Il nostro centro storico, invece, cade a pezzi, e i nostri bellissimi cortili nemmeno sono tenuti in considerazione.
Ormai pochissimi cortili hanno il “pilacciuni” e il pozzo integri, come pure pochissimi sono i cortili con la scala esterna o imbiancati con la calce o ornati di fiori. Queste erano le caratteristiche che fino al 1950 rendevano i nostri cortili dei veri presepi.
Una ricchezza che noi castelvetranesi ammalati di esterofilia abbiamo buttato nell’immondezza in onore della modernità. Oggi si aspetta il turismo senza offrire al turista le nostre tradizioni e l’architettura locale; per fortuna abbiamo Selinunte e San Domenico, ma come sarebbe bello offrire anche lo spettacolo dei cortili rimessi a nuovo.
Dopo questa sfuriata ritorno a parlare della “pila di petra” o “pilacciuni”, per come era chiamato nel passato il lavatoio. Si trattava di un blocco unico di pietra calcarea scavato all’interno e provvisto di lavatoio “stricaturi” incorporato; era posto, come nel caso della foto, attaccato al pozzo, in modo che l’acqua tirata col secchio vi si svuotava dentro direttamente.
Allora non c’era lavatrice e nemmeno scaldabagno, c’era soltanto acqua fresca anche d’inverno e tanto “olio di gomito” che la “fimmina di casa” doveva possedere per forza, se voleva mandare avanti la famiglia.
Tutti i lavori allora si effettuavano a forza di braccia e anche la donna di casa non poteva esimersi. Ancora oggi c’è la brutta usanza, parlando della casalinga, di dire: “non lavora, fa la casalinga”; se ciò può fino ad un cero punto essere veritiero oggi, non lo era allora.
Oltre alla “pila di petra” c’era anche la “pila di lignu”, che tutte le casalinghe tenevano in casa; la domenica, spesse volte, questo lavatoio diventava vasca di bagno e il lunedì, pieno d’acqua e “liscìa” serviva per lavare la biancheria sporca, tolta il giorno prima. Infatti, la domenica mattina avveniva il cambio di biancheria e il bagno, che poteva farsi anche in un tinello. Per riscaldare l’ambiente c’era “la bracera” con la carbonella accesa col “circu” messo sopra con la biancheria pulita, per farla riscaldare.
Purtroppo c’erano delle famiglie che abitavano in una sola stanza assieme all’asino e agli altri animali domestici che non avevano queste possibilità e riuscivano a lavarsi appena il viso e i piedi nel “vacili” o nella “cunculina”.
D’estate, quando si andava “a li bagni” al mare, questa gente vi si recava per lavarsi per come si deve, portandosi anche il sapone. In quegli anni si cucinava con la legna e con il carbone; inoltre c’era il forno, usato almeno una volta a settimana per fare il pane, perché le bocche da sfamare erano molte.
Tutta la cenere prodotta non si buttava come si fa oggi, ma si usava come ottimo detersivo naturale senza inquinanti (contiene soda e potassa) a costo zero. Il sistema era molto semplice: in una pezzuola si metteva della cenere che si poneva nell’acqua di lavatura.
La pezzuola faceva da filtro e i principi attivi si scioglievano nell’acqua. La cenere rimasta, assieme a quella in eccedenza, essendo un’ottimo fertilizzante, si buttava nella concimaia che c’era nel cortile o nella stalla.