La "Maidda" in Sicilia tra storia, tradizioni e cucina di ieri e di oggi
di: Dott.Francesco Marino - del 2016-09-02
La “maidda”, in lingua italiana madia, può essere paragonabile ad un cassetto di legno rettangolare capovolto. Poteva essere sollevata attraverso quattro impugnature di legno ad essa attaccate.
La “maidda” aveva plurime funzioni. Tuttavia le più note erano: raccoglitore per lavorare la farina prima che diventasse pane o contenitore di maccheroni già cotti, destinati ad un pasto collettivo generalmente durante i lavori per la mietitura del grano o per la vendemmia. Fare il pane in casa costituiva un abituale comune per le nostre nonne.
Sembra, in particolar modo, che le famiglie delle campagne ripetessero il rituale ogni due settimane.
Pare si andasse al mulino a comparare la farina e poi dalla vicina di casa a ritirare il “crescente” o “livatina”, ossia il lievito madre.
Infatti, in un clima quasi fiabesco e di popolare condivisione di alti valori, il contenitore con la pasta acida,da anni,veniva fatto girarenelle abitazioni vicine per consentire la rigenerazione del contenuto.
Durante la preparazione delle “Vastedde” (tipico pane siciliano) o “Cucciddati” (ciambelle), l’ambiente cucina assumeva gli aspetti di un campo di battaglia.
A “maidda” naturalmente occupava il centro della scena.
In essa, si disponeva la farina allargata a forma circolare con i versanti rialzati. All’interno si depositava il lievito e si versava acqua tiepida. Iniziava, in questo modo, la lavorazione dell’impasto con presa energicaeritmo sostenuto.
L’impasto veniva arrotolato,percosso a pugni, sollevato in aria e mescolato con forza, pare per consentirle di assorbire aria e ottenere un’adeguata lievitazione. Quando sul composto apparivano le bolle, si frazionavano i panetti. Quindi, si depositavano su un tavolo abbigliato con coperte e due tovaglie bianche infarinate.
Per ultimo, si procedeva alla cottura del pane nel forno in precedenza riscaldato con legna bruciata (“a camiatura du furnua ligna").
Ma "a maidda” serviva anche ad altro. Ad esempio, come contenitore di “Maccarrunabusiate” già preparate.
I “maccarrunabusiate”, sono un formato di pasta tipico della cucina trapanese che risente dell’influenza araba. Il suo nome deriva da “bus”, lo stesso nome della canna di giunco utilizzata per arrotolare il preparato poi trasformato in pasta ("u signaturi").
Per avvolgerei “maccarrunabusiate”erautilizzato un ramo di buso che è il fusto dell’ampelodesmo mauritanicus(disa), una pianta appartenente alla famiglia delle Graminacee.
Una volta preparati i “maccarrunabusiate” si lasciavano “sciariari” (asciugare lentamente) appese a delle canne agganciati ai lati, posizionate orizzontalmente e con la parte centrale sospesa per aria.
Ciò che si otteneva era una pasta eccellente. Si cucinavano e si condivano tradizionalmente con ragù preparato con carne di maiale. Poi, si servivano ai convenuti “ntamaidda".
La mitologia contadina voleva che tutti si sedessero attorno alla “maidda”. Insieme consumassero lo stuzzicante pasto in un clima festoso e di intensa partecipazione emotiva.