I Galantuomini in una Sicilia che fu tra briganti e sistemi feudali
di: Vito Marino - del 2016-12-01
Secondo quanto scriveva Cicerone, per i romani sono degne di un uomo libero, innanzitutto l’agricoltura, poi il commercio in grande, mentre tutte le arti sono vili e disonoranti. Questa concezione continuò, attraverso i secoli e, quando Garibaldi sbarcò in Sicilia, trovò la popolazione divisa in due classi: “I galantuomini e gli altri”.
Tra i primi, facevano parte i nobili e la ricca borghesia, quando allo stesso tempo erano ricchi proprietari terrieri. Fra gli “altri” c’era la borghesia e il popolo, ma la borghesia, formata da professionisti, artigiani, piccoli proprietari, avendo possibilità di acquistare terreni, poteva inserirsi nella prima classe.
Quindi, i nobili erano galantuomini in quanto proprietari terrieri; essi erano potenti perché appoggiavano l’operato dei governanti, ricevendone allo stesso tempo protezione; mentre garantivano la loro incolumità e quella dei loro beni, assoldando i “camperi”.
Essi non si interessavano dell’amministrazione dei loro beni o di trasformare le colture in sistemi più moderni e più redditizi, ma vivevano di rendita, come i loro antenati, pensando soltanto a conservare i propri privilegi ed a condurre una vita agiata nella società.
Essi cedevano i loro feudi in affitto ai gabellotti, tramite un contratto di gabella, ricevendo un canone di affitto annuo. L’unico investimento di cui erano capaci era l'acquisto di nuove terre, per solo prestigio, anche se non le coltivavano. Allora i terreni agricoli rappresentavano, una ricchezza, ma anche motivo di vanto e potere Inoltre era un disonore vendere.
Chi possedeva molto denaro o esercitava un’attività industriale molto redditizia, non era classificato galantuomo, ma di una scala sociale inferiore.
Secondo un rapporto parlamentare del Luglio 1867, i siciliani più ricchi disprezzavano il commercio e l’industria, essi si giustificavano per la mancanza di capitali, ma quando c’è stata l’occasione di comprare i beni ecclesiastici e demaniali trovarono i capitali; in realtà mancava loro una cultura commerciale ed industriale.
Quando nel 1812 cessò il feudalesimo e fu liberalizzato il mercato immobiliare, i gabellotti poterono fare acquisti di terre presso i nobili in decadenza. Essi, inoltre, prestando ai feudatari i loro soldi ad usura, quando questi non erano in condizioni di pagare, si acquisivano le loro terre ricevute in pegno, passando nella scala sociale dei borghesi.
Secondo una disposizione reale, per ristabilire la gerarchia nobiliare, le carrozze dei nobili dovevano essere trainate da soli due cavalli, quella dell’arcivescovo e del presidente quattro e sei quella del viceré. I nobili non restarono contenti di questa ordinamento e rimediarono con il numero delle carrozze. A Palermo, secondo il Pitré, alla fine del 1800 circolavano 2889 carrozze fra patronali e da nolo.
Per evitare che le ricche proprietà dei nobili latifondisti si smembrassero, in occasione della successione ereditaria entravano in vigore delle leggi molto restrittive, come quella sul maggiorascato e la legge Salica.
Dopo l’unità d’Italia, il sistema feudale continuò ancora per molti anni. Per i poteri acquisiti nel tempo e in mancanza di uno stato forte, essi rappresentavano ancora la legge. I baroni siciliani, infatti, utilizzavano spesso i briganti e delinquenti comuni per costituire una loro personale milizia, che usavano liberamente ed impunemente per violenze, uccisioni ed abusi di ogni genere, soprattutto contro le popolazioni rurali e gli strati sociali più umili delle città; all’occorrenza la usavano anche contro il potere centrale vice regio, rappresentante di uno Stato impotente.
In questo periodo bande armate impedivano ai contadini di lavorare la terra con ricatti, uccisioni, furti di bestiame e di raccolti, case bruciate e violenze sulle donne. Ma lotte feroci avvenivano anche fra i nobili stessi; famoso è rimasto “il caso di Sciacca” un violento conflitto combattuto tra le famiglie nobili dei de Luna e dei Perollo tra il 1455 ed il 1529, Questa situazione continuò anche dopo il 1860, anche se ai baroni si sostituirono la borghesia e i grossi gabellotti.
La Sicilia, era rimasta il simbolo e la continuità di un feudalesimo al quale tutto era rimasto ancorato. Il latifondo subirà un irreversibile declino soltanto intorno al 1950 con la “riforma agraria” secondo la quale non si possono trattenere più di 300 ettari di terra e vengono finalmente assegnate delle terre ai contadini poveri che la coltivavano. Ciò avvenne quando la terra, la ricchezza concepita unica per millenni, passerà per importanza economica in secondo piano.