La festa dell'Immacolata tra dolci, tradizioni e riti ormai persi
di: Vito Marino - del 2016-12-06
Come avviene in tutto il mondo cristiano, anche a Castelvetrano l’8 dicembre viene festeggiata la Madonna dell’Immacolata. Fino agli anni ’50 la ricorrenza si festeggiava nella chiesa di Santa Lucia, costruita nel 1521, che si trova ad angolo fra Piazza Dante e Via Campobello.
La cerimonia iniziava con la messa cantata alla quale partecipavano “li virgineddi”, bambine che indossavano abitini di colore bianco. In occasione di questa ricorrenza era consuetudine preparare: “li vasteddi di la Maculata” o “li mufuletti di la Maculata”, cioè del pane molle (mufuletti), farcito di ricotta dolce.
Per consuetudine, parte di questi panini erano regalati ad amici e parenti, altri invece si portavano in chiesa per regalarli alle famiglie più bisognose. La preparazione delle “mufulette” avveniva aggiungendo alla farina, oltre al lievito, zucchero, “ciminu” (semi di finocchio), un po’ di cannella o un po’ di chiodi di garofano. Come in tutte le nostre tradizioni culinarie, una volta i cibi e i dolci dedicati alle ricorrenze religiose erano preparati in casa per devozione; oggi si trovano facilmente presso tutti i fornai e dolcieri.
Fino alla fine del 1800, ci ricorda il Ferrigno, non esisteva la figura del netturbino e ogni massaia era tenuta a tenere pulita la zona davanti la propria abitazione fino a metà strada, ma pochi e saltuariamente rispettavano le disposizioni; i privati si interessavano a raccogliere per le strade gli escrementi degli animali, che portavano nella loro concimaia.
Vista la devozione della popolazione verso la Madonna Immacolata, in quella ricorrenza, di quel lontano passato avveniva una pulizia straordinaria delle strade dove doveva passare la processione. Altre occasioni per effettuare la pulizia generale coincidevano con la venuta di re, viceré, principi padroni, vescovi, personaggi illustri e nelle maggiori solennità ecclesiastiche.
I festeggiamenti all’Immacolata terminavano nel pomeriggio con la processione che sfilava per le vie del paese. La "vara" della Madonna veniva portata a spalla da ragazze. Detta chiesa fu nel secolo XVIII del tutto trasformata e vi fu annesso anche un convento di Francescani conventuali, da allora la chiesa, fu titolata a San Francesco d’Assisi. Ma i monaci vi introdussero il culto dell’Immacolata e da quel giorno fino ad oggi è meglio conosciuta con quest’ultimo titolo.
A causa dei danni provocati dal sisma del 1968 e non riparati, il tetto della chiesa nel 1970 cadde. Oggi tutto è in rovina. Nelle cappelle c’erano le statue dell’Immacolata, di Santa Lucia, dell’Arcangelo Raffaele e di San Giovanni.
Dietro l’altare resta ancora sepolto il Canonico Giovanni Vivona, studioso letterato e patriota castelvetranese, morto il 22 luglio 1830. La sua salma, dopo tre giorni di solenni esequie nella chiesa della Matrice fu portata, per un’altra cerimonia funebre, nella chiesa dell’Immacolata e qui sepolto dietro l’altare. Sarebbe umano e doveroso, verso una personalità così insigne, riportare i suoi resti terreni in luogo più visibile al pubblico, per perpetuare la sua memoria.
A proposito dell’Immacolata, un proverbio siciliano per indicare le giornate che si allungano dice: “Di la Maculata a Santa Lucia, quantu un passu di cucciuvia; di Santa Lucia a Natali quantu un passu di cani; di Natali a l’annu novu quantu un passu d’omu”. Inoltre ce n’era un altro: “Di la Maculata a Santa Lucia allonga lu iornu d’un passu di cucciuvia”.
Nei secoli XVIII - XIX, da quanto riporta il Noto, in periferia di Castelvetrano in stretto contatto con l’abitato, esistevano dei terreni lasciati appositamente incolti sotto il vincolo del “ius pascendi” per gli animali, chiamati “cumuna”. La chiesa dalle origini e fino agli inizi del 1900 era considerata “fora li porti” cioè posta oltre le mura daziarie e quindi oltre le porte d’ingresso al centro abitato.
Le porte più vicine erano: “Porta di Mare” (Porta Garibaldi), Porta Frazzetta, (sbocco di via Rosolino Pilo) e porta Cottone (sbocco di via XXIV Maggio). Oltre alla chiesa, in quella zona c’era soltanto qualche casolare isolato. Attorno alla chiesa c’era terreno libero chiamato “li cumuna fora li porti”.
Il terreno di fronte alla chiesa con due successivi interventi del 1867 e del 1868 fu bonificato e denominato “lo spiazzo”, che a poco a poco si arricchì di alberi di alto fusto, di aiuole con fiori, e nel 1920 divenne Villa Salandra, in seguito Villa Dante, quindi Garibaldi ed infine Falcone e Borsellino.