(Speciale San Giuseppe) "Lu votu e lu mmitu" nella tradizione castelvetranese
di: Vito Marino - del 2017-03-18
(ph. Il castelvetranese doc)
Secondo la tradizione, quando una persona bisognosa, pregando il Santo chiede una grazia, può fare promessa di una festa in Suo onore a grazia ricevuta: “Lu votu”; al quale seguirà: “mmitu, tavulata ed artaru”.
Chi fa la promessa del “votu”, anche se benestante, deve raccogliere il denaro fra la popolazione come segno di umiliazione e penitenza: “Ci dati nenti pi San Giusippuzzu?” questa era la frase generalmente usata.
“Lu mmitu” consiste nel mettere in atto la promessa fatta, invitando “la Sacra Famiglia” in casa propria, dove già è preparata la “tavulata” (la tavola apparecchiata) e “l’artaru”.
Questa "Sacra Famiglia", invitata alla “tavulata”, una volta era scelta fra le persone più bisognose, a cui mancava addirittura il pane per sfamarsi, oggi è scelta fra volontari per allietare la festa.
Così, la dura frugalità giornaliera veniva interrotta in quel giorno, con un banchetto composto da più di “centu e una pitanza”.
Tutti prodotti ricavati dalla campagna e cucinati in tanti modi. Era il massimo che la povertà di allora poteva offrire ad un santo per la grazia ricevuta. La cerimonia e tutti gli elementi che la compongono sono circondati da una aureola di barocco, con vistosità pomposa, colori e forme che per le loro bellezze impressionano la nostra mente.
Quando ero bambino, a Castelvetrano (anni ’50) la mattina della festa del Santo, vedevo passare in processione: "Don Mariddu lu tammurinaru" (Mario Pompei), che si dava da fare a percuotere il tamburo con i mazzuoli per attirare l'attenzione della gente.
Al suo seguito c’era una duplice fila di fedeli specialmente amici e parenti della famiglia celebrante, con i ceri accesi, quindi seguiva "la Sacra Famiglia" o “li virgineddi” composta da Gesù, Maria e Giuseppe.
“San Giuseppe” (rappresentato da un vecchietto appoggiato ad un lungo bastone con il giglio fiorito, una tunica turchese che lo ricopriva fino ai piedi e la testa inghirlandata), la “Madonna” (una ragazza con una lunga veste celeste ornata con ricami e merletti) e “lu Bomminu” (Gesù, un bambino vestito di bianco, fermato ai fianchi con nastro azzurro). Alcune verginelle (delle bambine avvolte di bianchi veli e con il giglio in mano), completavano il gruppo.
Questo corteo, partito dalla casa celebrante (di chi aveva fatto il voto), dopo avere girato per alcune strade del paese, si dirigeva verso la chiesa del Santo, per una funzione religiosa, quindi ritornava alla casa ospitante. La casa si riconosceva per i rami di palma posti sul davanzale della porta.
Per rispettare il cerimoniale, la Sacra Famiglia trovava la porta chiusa. San Giuseppe bussava alla porta e dall’altra parte era chiesto: “Cu è? soccu vuliti?” (Chi è? cosa volete?). La risposta era: “Su tri poviri piddirini, chi addumannanu arrisettu” (sono tre poveri pellegrini che chiedono sistemazione).
Siccome nessuno apriva, la scena si doveva ripetere tre volte; alla terza volta di dentro domandano “vui cu siti?” e di fuori rispondono: “Gesù, Giuseppi e Maria”; a questa risposta la porta si apriva al grido di “Viva Gesù, Giuseppi e Maria” e clamorosi applausi.
Tutto questo cerimoniale serviva a ricordare quando la Sacra Famiglia bussò tre volte per avere ospitalità. A mezzogiorno in punto, dopo che il prete aveva dato la benedizione, si serviva il pranzo in una stanza adiacente all'altare, in una tavola lunga coperta d’una tovaglia bianca, mentre fuori si sparavano "li mascuna".
Ancora oggi, secondo la tradizione, sul tavolo del banchetto, accanto a ciascuno dei “Santi” invitati, sono posti tre pani di diversa forma. Davanti a “San Giuseppe” è posto un pane a forma di bastone, simbolo della saggezza (Ferrigno parla di barba); davanti alla “Madonna” un pane a forma di palma, simbolo della pace. Infine, davanti al “Bambino Gesù” è posto un pane “cucciddatu” a forma di sole, simbolo della luce divina, Signoria di Cristo sull’universo.
La prima pietanza del banchetto è rappresentata dall’arancia, seguono gli assaggi di un’infinità di pietanze, come la “Lu tianu di San Giuseppe”, frittelle varie di verdure, ortaggi e frutta di stagione, pesci, uova (niente carne perché è periodo di quaresima); infine, ci sono i dolci di tutte le varietà in uso nel paese come pignulati, minnulati, sfinci, cannola, cassateddi, cassati, dolci a base di ricotta, nonché molti altri a base di pasta di mandorla.
Durante il pranzo le pietanze sono servite a tavola da tre ragazze da marito, mentre gli “invitati” non devono toccare il cibo, ma vengono serviti in bocca con le posate, come atto di umiltà e penitenza che fa parte della promessa fatta con il “votu”.
Ad ogni portata, servita a tavola, c’è un rullo di tamburo con “evviva Gesù Giuseppe e Maria”, con la risposta di tutti “evviva”. La cerimonia può durare diverse ore.
Servito il pranzo, si scioglie il voto, mentre (secondo il Ferrigno) i tre “virgineddi” si accompagnano alle rispettive abitazioni accompagnati dal rullo del tamburo. ma davanti all'altare continuano le preghiere ed i canti dedicati a San Giuseppe, ancora per una diecina di giorni; i numerosi fedeli, che vanno a fare "lu visitu", ricevono come dono "panuzzi" (li cosi biniritti) artisticamente lavorati, e dolci.
Di sera tardi, fra tutti coloro che hanno partecipato alla riuscita di tutta la manifestazione si consumava un ricco banchetto.