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Tra lucerne ad olio e “rondieri comunali”. Storia dell'illuminazione pubblica a CVetrano

di: Vito Marino - del 2017-07-03

In foto: Fiaccola per l'illuminazione

Dalle origini della civiltà umana l’illuminazione artificiale si basava quasi esclusivamente sull'illuminazione ad olio, le cui prime tracce risalgono ai Fenici, e sull'uso del fuoco vivo tramite focolari, torce, candele, lucerne, lanterne e candelabri.

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  • Nell'Antica Roma, durante le ore notturne, erano solo le case dei benestanti ad essere illuminate, mentre le altre abitazioni e il resto dell'ambiente cittadino (strade, vie, piazze) non potevano vantare alcun tipo di illuminazione, se non quella derivante dal chiarore della luna.

    Inoltre i ricchi, nel corso delle ore serali e notturne, erano soliti farsi accompagnare da uno o più schiavi che reggevano una o più torce per facilitare loro il passeggio o la scelta della strada da prendere nel buio della notte. 

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  • L’illuminazione a fiamma viva rappresentava, inoltre, un grave pericolo perché era causa di continui incendi, favoriti anche dalla struttura in legno della maggior parte delle abitazioni, che ciclicamente devastavano la città di Roma e i principali centri dell'epoca.

    L'illuminazione nei primi riti religiosi cristiani è testimoniata dagli Atti degli Apostoli e la tradizione prescriveva l'uso di una lampada durante il rito eucaristico. Molti riti avvenivano durante le ore notturne e vi era bisogno di una illuminazione generosa come testimoniato anche dal ritrovamento di numerose lampade nei cimiteri cristiani primitivi. La luce veniva vista anche come simbolo di Cristo e i nuovi battezzati dovevano reggere in mano una lucerna. Con la costruzione delle basiliche si fece poi largo uso della luce che serviva anche ad evidenziarne la solennità.                          

    Anche nel corso del Medioevo per l'illuminazione artificiale si usavano ancora le lampade e le torce ad olio, di solito poste anche in serie lungo le pareti per ottenere un'illuminazione maggiore. Ma oltre all'olio, la sostanza più utilizzata era la cera, il grasso di animali, componenti della scorza di betulla o di altri alberi simili. I luoghi e gli edifici maggiormente illuminati erano quelli religiosi, in particolare le chiese mentre nelle abitazioni di solito bastava la fioca luce del focolare o al massimo qualche lucerna ad olio. 

    Nel 1786 l’ingegnere Philippe Lebon scoprì le potenzialità del gas illuminante e nel 1801 diede le prime dimostrazioni al pubblico presentando la sua termolampada che, utilizzando il gas derivato dalla distillazione del legno, poteva essere adoperata sia per l'illuminazione che per il riscaldamento.

    Nel 1798 si utilizzò per la prima volta il gas derivante dal carbone che servì a William Murdoch per illuminare una vasta fonderia a Soho. 

    I primi tentativi e studi sistematici per l'illuminazione pubblica in Italia furono avviati da Giovanni Aldini nel 1818  al Teatro della Scala in Milano, mentre il primo tentativo riuscito di illuminare a gas un luogo pubblico avvenne alla Galleria de Cristoforis a Milano nel 1832. A partire dal 1840 furono pubblicamente illuminate a gas anche alcune strade di Napoli. Solo nel 1847 il governo pontificio autorizzò l'installazione dell'illuminazione a gas a Roma.

    La prima applicazione utile dell'elettricità nel campo dell'illuminazione la si ebbe con le lampade ad incandescenza, come quella proposta da Wilson Swan nel 1878 e quella di Thomas Edison nel 1879. Il primo sistema di illuminazione pubblica tramite lampade a filamento incandescente fu attuato a New York nel 1882[ e in Italia nel 1884 in Piazza Duomo e in Piazza della Scala a Milano.

    In particolare, volendo parlare dell’illuminazione di Castelvetrano, possiamo dire che, agli inizi del 1800 l’illuminazione delle strade pubbliche di Castelvetrano avveniva con delle lucerne ad olio poste sopra delle mensolette di gesso. In seguito, invece di olio si usò del sego puzzolente, ma più economico e le mensolette sostituite con chiodi fissi su steccato di legno sui quali si appendevano le lucerne.   

    Inoltre, l’illuminazione al completo avveniva soltanto in occasione delle festività principali e dell’arrivo di autorità. In questi ultimi casi la popolazione doveva contribuire alla luminaria accendendo candele o altro sui balconi e sulle finestre. Generalmente le strade erano al buio completo, perché le poche lucerne accese si spegnevano presto col vento.

    Nella storia di Castelvetrano eventi eccezionali furono l’arrivo di un personaggio importante come il re Ferdinando di Borbone nel 1811 o nel 1813 della Regina Carolina d’Austria moglie di Ferdinando o in occasione di processioni, con una ordinanza si obbligava ogni cittadino a illuminare il proprio balcone o finestra con lucerne ad olio o con candele. In certi balconi antichi ancora si trova un grosso spuntone di ferro ai due angoli dell’inferriata, dove si conficcavano i grossi ceri.

    Inoltre, siccome il sistema della nettezza urbana ancora non esisteva, sempre con ordinanza, si obbligava la cittadinanza a pulire le strade di tutte le sporcizie accumulate, per lo spazio relativo alla lunghezza del prospetto e fino a metà della strada. Per le piazze e le strade principali si interessava il Comune (o Università per come si chiamava allora). 

    Queste lucerne con il vento si spegnevano e di notte il paese restava al buio, favorendo il “lavoro” dei ladri. Per combattere questo fenomeno molto diffuso Federico III d’Aragona aveva stabilito una pena di tarì 7 e grana 10 per coloro che venissero sorpresi dopo il terzo suono di campana (ore 24) senza lume acceso per le vie della città.

    Con decreto 17 giugno 1828 n. 1931, in tutta la Sicilia venne a crearsi una forza armata comunale sotto il nome di “rondieri comunali”, provvisti di un permesso della polizia per la detenzione ed asportazione delle armi. Con R. D. 2 giugno 1833 n. 1549 venne istituita una forza di “sorvegliatori di interna sicurezza” che iniziavano il servizio alle ore 24 fino al sorgere del sole, accompagnati da un lanterniere. Con R. D. 24/12/1827 i sorvegliatori vennero sostituiti dalle guardie urbane.

    Per merito dell’interessamento dell’allora sindaco di Castelvetrano cav. Antonino Saporito, nel 1908 si deve l’arrivo dell’energia elettrica a Castelvetrano; tuttavia, nel 1911 l’illuminazione del paese era ancora assicurato da 355 fanali a petrolio, mentre nel 1915 avverrà l’illuminazione della città a corrente elettrica.

    Su “La Vita Nuova” n.12 del 31/8/1913 risulta che a Selinunte esisteva soltanto un solo fanale a petrolio e niente a Torretta Granitola, che allora faceva parte del territorio di Castelvetrano, per quanto, cita il giornale: <>.

    Il Comune di Castelvetrano per fornire di corrente elettrica la città costituì una Azienda Elettrica Municipale funzionante a carbone fossile, che allora arrivava per mezzo delle ferrovie. Ma, il podestà di allora Riccardo Tondi, con delibera n. 473 del 1/8/1929 <>.     

    Intorno al 1915 si incominciarono gli allacci della corrente elettrica nelle abitazioni private per l’illuminazione e successivamente per gli altri usi. Ciò avvenne molto lentamente per cultura tradizionale, ma principalmente perché tutto il popolino non era nelle condizioni economiche di sostenere questa ulteriore spesa, considerata superflua, come superflua era considerata la frequenza della scuola e imparare a leggere e a scrivere. Così intorno al 1950 c’erano ancora famiglie che non avevano ancora la corrente elettrica e usavano la candela, il lume a petrolio e “lu spicchiu” (la lucerna ad olio).

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