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La "Banca di Castelvetrano". Storia di un istituto bancario fallito tra debiti, politica e commissari

di: Vito Marino - del 2017-04-19

Immagine articolo: La "Banca di Castelvetrano". Storia di un istituto bancario fallito tra debiti, politica e commissari

La Famiglia Saporito nel corso di un secolo, dagli inizi del 1800 agli inizi del 1900 riuscirono ad acquistare una ricchezza e un potere a Castelvetrano e in tutti i paesi vicini, tale da condizionare tutta l’economia e la politica in tutta la provincia di Trapani. Nel 1884 i Saporito fra le loro immense ricchezze che possedevano diventarono proprietari anche dell’unica banca allora esistente a Castelvetrano: “La Banca di Castelvetrano”, ubicata nell’allora Via Bassi (Via G.B. Vico).

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  • E’ bene mettere in evidenza come la banca, unica a Castelvetrano, rappresentava per quei tempi un luogo per l’esercizio del potere. “Con la banca”, afferma S. Sanfilippo, “essi controllano l’economia del paese attraverso la concessione o la negazione di prestiti ai loro amici o nemici”. 

    Sul giornale locale “Il Nuovo Risveglio” n.18 del 24/12/1911 G. Bonagiuso, un letterato benestante di Castelvetrano spiega come la famiglia Saporito, tramite il sindaco Antonino Saporito, attraverso la Banca di Castelvetrano di proprietà della famiglia, diventa anche esattore delle imposte della città:

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  • <<Con deliberazione dell’assemblea generale degli azionisti della Banca di Castelvetrano del 24/8/1906, l’istituto fu autorizzato ad assumere esattorie d’imposte dirette.

    Infatti, il direttore Cesare Saporito, con deliberazione del consiglio d’amministrazione del 19/1/1907 veniva autorizzato nell’atto addizionale a quello principale del 1/12/1902, col quale si faceva la sostituzione di cauzione per l’esercizio esattoriale, al cauzionante avv. Bartolomeo D’Ontes Saporito surrogandosi la Signorina Piccione Caterina, moglie di Mannone, e la Banca di Castelvetrano, diretta e amministrata dai fratelli Saporito.

    Il sig. Mannone continuò a percepire lo stipendio d’impiegato della banca anche dopo assunto la gestione esattoriale, non solo, ma dalla banca ebbe un fido di £. 80.000>>. Fu a causa di queste manovre e di altre, che si scoprirono dopo che la banca andò male.

    Francesco Saverio Calcara in “Politica, Società, Economia a Castelvetrano tra il XVIII e XX secolo” in proposito al fallimento di detta banca, scrive testualmente: <<Che il disastro fosse stato preparato è fuor di dubbio: Un certo don Felice Di Marco, sarto tagliatore, che stentava a comprare il pane quotidiano, lavorando per pochi soldi al giorno presso le famiglie, si scoprì essere un forte scontista. Furono, infatti, rinvenute nella cassa della banca decine di cambiali, di rilevanti somme, regolarmente scontate. Di Marco non ne fece un mistero, percepiva per ogni firma la somma di cinque lire (di quell’epoca). Don Antonino, portiere della banca, non percepiva alcun compenso per le firme, ma aveva assicurato il non licenziamento dall’impiego>>.

    I responsabili del disastro finanziario, Cesare Saporito e Giuseppe Pappalardo, fuggirono per non essere arrestati; tuttavia, dopo qualche tempo furono presi. Gli altri amministratori responsabili furono nascosti da famiglie insospettabili. Migliaia di piccoli risparmiatori furono ridotti alla miseria; gli oppositori, come sempre accade, ne approfittarono per discreditare la famiglia Saporito.

    Il popolo era pronto per una rivolta; per scoraggiare le teste più calde sono intervenuti rinforzi fra carabinieri ed esercito.  Nel giornale  “La Vita Nuova” del 31 luglio 1913 risulta scritto:  <<Il fallimento della Banca di Castelvetrano di proprietà dei Saporito provocò nel paese gravi conseguenze economiche, morali amministrative e politiche, si dimisero 16 consiglieri comunali; contemporaneamente, in quell’anno coincide un’epidemia di colera, (1910 – 11)>>.

    Il partito popolare si dimise e a reggere il comune fu nominato un commissario saporitiano, che non poté che costatare lo sfacelo del paese. Ad aggravare la triste situazione c’era in corso una epidemia di colera: per fortuna il sindaco di allora, Antonino Saporito aveva messo in atto tutte le misure possibili per prevenire il morbo, facendo spendere al Comune molto più delle previsioni di bilancio; ma il risultato è stato sorprendente: Castelvetrano non è stato contagiato.

    Il fallimento della Banca di Castelvetrano, praticamente di loro proprietà, per bancarotta fraudolenta, formalizzato il 12 agosto 1911 fu un avvenimento molto grave per l’economia del paese. Ma anche per la stessa famiglia, perché da quella data incominciò il declino della potente e ricca famiglia.

    La baronessa Ada Saporito nipote di Vincenzo asserisce che i debiti della banca furono pagati dagli eredi nei modi stabiliti dalle leggi di allora. Infatti, sul giornale locale La Diga del 15 giugno 1911, n.1 risulta scritto: <<Cessato – con l’offerta della famiglia Saporito del concordato al 100% cogli interessi e la garanzia ipotecaria – il momento di panico che si era naturalmente infiltrato nella massa dei creditori della Banca di Castelvetrano, che essi conseguentemente portavasi dietro – tutta quella piccola schiera che aveva cercato di speculare su quel fatto…>>.

    Un’altra conferma sulla positiva risoluzione del fallimento l’ho trovato sul giornale “La Diga” N.3 del 2/7/1911, dove si legge: <<Il 26/6/1911 in un’aula del tribunale di Trapani, si riunirono il Giudice Delegato ai fallimenti, l’avvocato Santucci, il curatore avv. Antonino Lo Presti e gli amministratori della Banca di Castelvetrano: cav. Giovanni Spallino, Bartolomeo Amari, Giulio Saporito e Nicolò Lentini, assistiti dall’avv. Giulio Rondelli. 

    Il curatore avv. Lo Presti fece alla presenza del Giudice Delegato, la consegna della Banca agli amministratori. Con questo fatto, di cui venne redatto verbale relativamente firmato, si chiude definitivamente questa parentesi della “Banca di Castelvetrano”, la quale torna ad essere gestita dall’antica amministrazione. Si chiude così felicemente il concordato>>.

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