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Ricordando "Don Mariddu lu tammurinaru”. Quando a CVetrano c'era "lu Tammurinaru abbanniaturi”

di: Vito Marino - del 2017-04-21

Immagine articolo: Ricordando "Don Mariddu lu tammurinaru”. Quando a CVetrano c'era "lu Tammurinaru abbanniaturi”

(ph. http://www.assarca.com)

Lu tammurinaru abbanniaturi” era chiamato il suonatore di tamburo, che, oltre a suonare il suo strumento nella banda musicale, nella trascorsa civiltà contadina raggruppava la figura del banditore e della prima forma di pubblicità. Quando ero ragazzo, ricordo che era molto conosciuto in paese un certo “Don Mariddu lu tammurinaru” (Mario Pompei). In seguito c’è stato Cecè, quindi un certo Pellicane.

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  • Nel paese, allora privo d’inquinamento acustico, “la tammurinata” (il rullio del tamburo) si diffondeva molto lontano e attirava dietro di sé, tutti i ragazzi del quartiere, festanti per il divertimento gratuito presentatosi; quando costui arrivava ad un quadrivio smetteva all’improvviso di colpire il tamburo con i mazzuoli, quindi, con aria professionale, dopo avere avvicinato la mano destra sull’orecchio, con la testa piegata, per creare come una cassa armonica, incominciava la sua “abbanniata”. Generalmente iniziava con: “Sintiti, sintiti, sintiti”.

    Spesso si trattava di notizie di pubblico interesse, come le ordinanze del Sindaco, lo smarrimento d’animali o persone, ma poteva annunciare sconti di un tal negozio o altro d’interesse privato a carattere pubblicitario. La gente, che frattanto si era avvicinata per curiosità, ascoltava in silenzio a bocca aperta. Don Mariddu finiva il suo annuncio con un caratteristico sonoro colpo di mazzuolo sul tamburo seguito da un “bum” vocale da parte di tutti i ragazzi. Così lo schiamazzo ricominciava e continuava fino al prossimo quadrivio. “Catammaru catammaru, catammaru catammaru...” così la gente traduceva, con la voce, il ritmo musicale del tamburo.

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  • Visto che siamo in argomento di suonatore di tamburo, voglio aggiungere che una volta questo personaggio era molto richiesto nelle numerose feste religiose. In ogni festa, infatti, non mancava mai, oltre alla banda musicale, la “tammurinata”.

    “Lu tammurinaru”, col suo tamburo messo a tracolla, precedeva tutto il corteo dando annuncio alla cittadinanza con le sue percussioni, allegre o cupe secondo le circostanze, dell’arrivo del santo e di tutto il seguito. Un proverbio dice in merito: “Nun c’è festa senza parrinu e mancu senza tammurinu”.

    A Castelvetrano questa figura va scomparendo, per una malattia rara che ha colpito i castelvetranesi, che si chiama: “esterofilia”; infatti tutti gli usi e costumi della propria città non sono buoni o belli e vanno cancellati, mentre quelli provenienti dal Nord Italia o dall’estero sono ammirevoli e da acquisire.

    Tutte le nostre tradizioni, infatti scompaiono anno dopo anno; La “festa di li morti” (2 novembre) è scomparsa, mentre è comparsa quella di Halloween, una cultura non nostra. Anche nella recente manifestazione dell’Aurora è scomparso il baldacchino, che accompagnava le sacre statue, è scomparso l’uso dello sparo dei mortaretti nel momento cruciale dell’incontro e l’uso del tamburo classico siciliano, scimmiottato dai tamburi medievali, rovinando le nostre tradizioni.

    Visto che ci sono, mi sembra giusto ricordare che anche per la ricorrenza di San Giuseppe, per allietare la festa, dall’anno scorso è stata aggiunta una sfilata che oserei chiamarla: “la ‘nzalata alla castelvetranese”, cioè un misto disomogeneo tra sacro (c’è anche un quadro di San Giuseppe) e profano composto da: “carritteddu a manu” un carrettino trainato a mano, con comparse vestite con costumi dalle sembianze siciliane, giocolieri, ballerine dai costumi medievali.

    Mi meraviglio dell’amministrazione comunale che finanzia simile “baldasciate”. Mentre, nella sfilata della sacra famiglia che fa il giro degli altari di San Giuseppe, a parte i tamburi medievali, che non sono la nostra tradizione, c’erano alcuni trampolieri, che c’entravano come cavoli a merenda. Io posso solo accorgermi di tali malefatte, ma deve essere il popolo a protestare democraticamente anche tramite i giornali locali.

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