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Tra moralismi, ceti sociali e tabù. Quando a CVetrano l'amore era "diviso" per classi sociali

del 2017-08-24

Immagine articolo: Tra moralismi, ceti sociali e tabù. Quando a CVetrano l'amore era "diviso" per classi sociali

(ph. Il castelvetranese doc)

Non certo con la pretesa di scrivere un pezzo di storia della nostra comunità, ma per assaporare la medesima sensazione di piacevolezza del ricordo bello che provava la vecchiarella leopardiana (che novellando vien del suo buon tempo, quando sole a danzar intra di quei ch'ebbe compagni dell'età più bella) cercherò di far rivivere, nella memoria degli anni della mia giovinezza, alcuni ricordi sulla festività più felice delle generazioni vissute negli anni cinquanta e sessanta : il mitico Carnevale di Castelvetrano.

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  • È stato detto, già da qualcuno, che la memoria è il mare dove si pescano i ricordi, e i ricordi, più belli o più dolorosi, non muoiono mai, vivono sempre nella memoria. Il nostro Carnevale, questa sorta di culto popolare profano, era una esplosione annuale di gioiosa follia e sarcasmo collettivi.

    Esso è stato, prima, soffocato dai tragici eventi del terremoto del gennaio del sessantotto del secolo scorso, e, dopo, negli anni successivi, dagli anni settanta in poi, cancellato, inesorabilmente, dalla tradizione della nostra comunità, dalla accelerata e radicale evoluzione della vita socio-culturale della città.

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  • Per meglio comprendere i motivi della impaziente attesa dell'evento Carnevale, e della forte attrazione-partecipazione all'evento stesso di tutta la Città intera, bisogna, brevemente, ricordarne i profili socio-economici-culturali e, quindi, i canoni di vita sociale che, ancora, caratterizzavano Castelvetrano, negli anni del primo e secondo dopo guerra " quarantacinque".

    LA CONSERVATRICE CLASSISTA SOCIETA' CASTELVETRANESE

    La Città, che ho vissuto, era una comunità prettamente rurale, moderatamente conservatrice per tradizioni e costumi (rispetto a quelle ultra-conservatrici dei paesini satelliti dell'interno della Sicilia), e, socialmente, molto classista. In una parametrazione a scalare, verso l'alto, dei ceti sociali essa comprendeva: i contadini poverissimi nullatenenti detti “jurnateri”, poi i contadini piccoli proprietari terrieri detti "burgisi", quindi gli operai, gli artigiani, i commercianti, gli impiegati, i professionisti o borghesi, qualche grande proprietario terriero, ed una bassa nobiltà composta da cavalieri e qualche barone, mentre del principe Pignatelli non si è mai avuta notizia diffusa di una sua presenza in città.

    Nelle tradizioni aveva ruolo fondamentale la castigatezza nei costumi sentimental-sessuali, castigatezza che, pur essendo presente in tutta Italia (dove ricordiamo il reato di adulterio, la non punibilità del delitto d'onore), era molto più rigida nel nostro meridione.

    Qui da noi, infatti, una forma di puritanesimo trovava origine non solo da una cattolicità, spesso formale, dei cittadini, ma anche da un forte moralismo, in verità, molto orientato a senso unico, come era conseguente per una società marcatamente maschilista ( all'uomo si potevano perdonare le debolezze della carne, ed i tradimenti coniugali, alle donne era d'obbligo una pubblica reputazione di morigeratezza nei rapporti con l'altro sesso, alle fanciulle era d'obbligo il candore, la purezza fisica e la illibatezza fino al matrimonio, a pena di restare zitelle, ed alle donne sposate era d'obbligo la fedeltà muliebre, a pena anche della vita).

    Così la promiscuità o la vicinanza uomini-donne non era ben vista (non a caso il proverbio dei vecchi ricordava: “lu cirinu vicinu la pagghia diventa focu").

    E, non a caso, nel nostro Ginnasio-Liceo i ragazzi e le ragazze dovevamo consumare il quarto d'ora di ricreazione in due separati corridoi e la contaminazione dei sessi, anche per una innocente amichevole conversazione, non consentita.

    I flirt giovanili vietati alle ragazze (aneddoto: nella citata scuola c'era un certo professore, di cui non farò nome, il quale, non appena si accorgeva di segnali di reciproca simpatia od ammiccamenti sentimentali, pudicissimi, fra un allievo ed una allieva, forse per la preoccupazione di potenziali ripercussioni sul loro profitto scolastico, avvisava immediatamente il padre della ragazza).

    Questa frequente spiata verbale ai genitori, a casa della ragazza, provocava una grande strigliata, inferiore, di certo, a quella che avrebbe provocato l'avviso del preside se la studentessa in questione si fosse presentava in classe impreparata; con la strigliata arrivava, anche, un tassativo ordine paterno ad interrompere il flirt.

    Così sono finiti alcuni amori giovanili di amici che ancora vivono a Castelvetrano. Nelle relazioni e nei comportamenti dei soggetti di quella nostra società, c'era un forte perbenismo, cioè il rispetto, soprattutto formale, quindi ipocrita, di alcuni principi che permeavano la comunità: l'osservanza di un mantenimento di distanze fra le persone, per la sola appartenenza di esse a ceti sociali diversi; massimo rispetto di costumi atavici nei comportamenti dei singoli e nella convivenza civile e familiare, specialmente in pubblico; così si arrivava, perfino, a dettare un decoro di forma per il tipo di abbigliamento da indossare, a seconda delle occasioni e dei luoghi. 

    La distanza sociale dei ceti determinava un certo servilismo riverente nei confronti delle persone appartenenti a quelli di maggiore rango (un contadino si rivolgeva al proprietario terriero, al professionista, al nobilotto, con il "voscenza benedica" non potendo permettersi di considerarsi eguale all'altro, il quale, non solo gli dava del tu, ma, pure, si poteva permettere di maltrattarlo; di norma un operaio non poteva aspirare alla mano della figlia di un professionista, o di un nobile).

    Per regola di decenza pubblica, una donna non poteva fermarsi a conversare in pubblico con un uomo, che non fosse il marito od un familiare; un fidanzamento doveva essere ufficializzato in casa della ragazza, ed i fidanzati ufficiali non potevano uscire da soli, ma accompagnati da qualcuno della famiglia. Infine, a proposito delle regole di decoro negli abbigliamenti, ricordo che, durante l'arco temporale dei miei studi, dalla scuola elementare al liceo, le ragazze dovevano indossare il grembiule nero.

    Ricordo che al liceo era vietato presentarsi a scuola con i blu jeans; il professore di turno all'ingresso della scala della scuola non consentiva l'entrata a qualche temerario che osava presentarsi con questo moderno tipo di pantaloni importato dall' America; non ho mai capito perché, allora, ritenuti indecorosi.

    La giacca e la cravatta erano d'obbligo in occasioni ufficiali, eventi festosi o luttuosi; in occasione dei balli importanti (ultimo dell'anno, carnevale) l'abito prescritto per l'uomo era quello scuro o lo smoking.

    E' appena il caso di precisare, però, che a fronte della gran parte dei nostri concittadini che si adeguavano a questo sistema di costumi e vita sociale della comunità, alcuni di essi, ne violavano, sovente di nascosto, ma, talvolta, anche apertamente, le regole, e sfidavano il giudizio (impietoso ma spesso ipocrita) negativo della opinione pubblica.

    La premessa, con questo quadro di notizie sui costumi di vita della nostra città, nel ventennio post seconda guerra mondiale, può far meglio comprendere come la gran parte della comunità (non solo i giovani) viveva, ancora, molto chiusa, in una sorta di gabbia composta da regole, tabù, costrizioni, vincoli. Come naturale conseguenza di ciò, quasi tutti aspettavano con gioia prima, e partecipavano, dopo, alla "lunga" festa (dirò, dopo, perché lunga), del Carnevale di Castelvetrano, atteso che questa festività aveva mantenuto molti caratteri di anarchia civica della Festum Stultorum, di epoca medievale.

    La festa carnascialesca, infatti, significava vivere un periodo dell'anno in cui con il mascheramento del singolo si cancellava l'identità vera della propria persona che, diventando un anonimo, come un "nessuno", era liberato dalla gabbia delle forme e delle regole di comportamento.

    In nome del detto "a Carnevale ogni scherzo vale", questo "nessuno" mascherato, grazie all'anonimato, acquistava una piena libertà d'azione. Paradossalmente era come se, in un contesto di comunità eccessivamente gravata da regole e vincoli, spesso formali e magari non condivisi, la maschera, che si adottava nel carnevale, liberasse le persone, cancellando con la sovrapposizione, almeno per un periodo dell'anno, alla normale triste maschera, che, per tutta la vita, secondo il profondo pensiero pirandelliano, ci costringe a recitare la parte che il destino ci assegna.

    Una sorta, dunque, di generale licenza nei comportamenti che, purtroppo, grazie all’anonimato favorito dalla maschera, in alcune festività del carnevale, sono degenerati, nella nostra città, in omicidi di mafia e regolamenti di conti delittuosi.

    Ma il Carnevale era, principalmente, espressione di allegria collettiva, liceità dei lazzi, sberleffi e scherzi, anche, pesanti od indecenti, pubblici dileggi sui difetti, vizi o peccati personali, forte irriverenza sferzante verso chiunque, specie se importante ed in vista.

    Questo carattere della festa era rilevante perché sospendeva ogni differenza di ceto-sociale, e tutti, dimenticando i ceti di appartenenza, diventavano, almeno per pochi giorni, "eguali".

    Parimenti, tutti, uomini e donne, soprattutto donne, con le (misurate) pubbliche impudicizie comportamentali, i frasari, talvolta, licenziosi, la promiscuità di genere nel divertimento e con gli sfoghi amorosi possibili, attraverso la musica ed il "ballo di coppia guancia a guancia", erano liberati dalla cappa di inibizioni e privazioni che pesavano soprattutto per il contenimento delle naturali pulsioni dei sentimenti e della sessualità.

    LA DURATA DEL CARNEVALE ED IL BALLO NEI CIRCOLI

    Ho detto del tempo abbastanza lungo del Carnevale a Castelvetrano perché, sostanzialmente, l'evento aveva inizio subito dopo il capodanno quando nei circoli cittadini (allora centri focali della vita sociale civica) si organizzavano " i sabatini", cioè la musica ed il ballo limitato alle famiglie dei soci.

    Nel tempo di cui parliamo in Città non c'erano, infatti, discoteche o sale dedicate al "ballo ", allora rigorosamente di " coppia"- in quanto, se specie "guancia a guancia"- era rito fondante di, preziosa, unica occasione, di consentita e lecita vicinanza fisica uomo-donna, in particolare fra i ragazzi e le ragazze castelvetranesi.

    Mancando i luoghi dedicati al ballo, durante l'anno, si organizzavano piccole feste nelle case private di una ragazza od un ragazzo (quelle delle ragazze riuscivano sempre, quelle dei ragazzi, spesse volte, invece, fallivano perché le ragazze davano forfait all'ultimo minuto, a causa di imprevisti divieti e veti genitoriali); le annuali feste da ballo del liceo, del magistrale, del commerciale, si organizzavano nelle sale dei cinema Capitol o Palme, o dell'ex albergo Jolly Hotel.

    Dopo Capodanno, per alcune settimane, dunque, i "sabatini danzanti" (il compianto, fine letterato, prof. Saro Di Bella mi avrebbe, ancora una volta, rimproverato, spiegandomi che i sabati non danzano, e, quindi, gli chiedo scusa per questa errata espressione lessicale, recepita dal nostro dialetto) si svolgevano nelle sale dei Circoli.

    I Circoli nella Castelvetrano dell'epoca erano il centro principale ove si estrinsecava la vita sociale cittadina: per i soci (di solo sesso maschile) erano luogo d'incontro, di lettura, di conversazione, di svago (giochi vari) di cultura (conferenze, piccole rappresentazioni ecc.) e divertimento (questi due ultimi eventi allargati alle famiglie). I Circoli erano: il Circolo della Società Operaia, il Circolo della Gioventù, (entrambi nel sistema delle Piazze) il Circolo di Cultura "Pirandello" ed il Moto Club (entrambi in via V. Emanuele).

    Per i giovanissimi c'erano i circolini della parrocchia di San Giovanni, della parrocchia di San Francesco e l'associazione degli scout dei frati Cappuccini. Il Circolo più carico di storia era (ed è) la Società Operaia di Mutuo Soccorso, risalente al 1870 che chiaramente è nato come strumento di protezione, assistenza e di sostentamento per il ceto degli operai. Seguiva (e segue per età) il Circolo della Gioventù, risalente al 1883.

    Questo Circolo raccoglieva il ceto intellettuale-borghese e nobiliare, di stampo conservatore, non a caso ho il ricordo di due suoi soci che sono stati più volte candidati, non eletti, nelle liste monarchiche.

    Nel dopoguerra era stato costituito il Circolo Universitario che era durato fino alla fine degli anni cinquanta, e da esso era nato per qualche anno il Circolo Nuovo. Questo Circolo aveva dato origine, nei primi anni sessanta circa, al Circolo di Cultura "Luigi Pirandello".  

    Questi circoli raccoglievano un ceto intellettuale-borghese di orientamento radicale- socialcomunista, un po’ radical-chic, quindi, progressista solo per l'orientamento partitico a sinistra.

    Per questa caratteristica del Circolo, e per volontà del più grande presidente della sua storia, il prof. Saro Di Bella- grande ideatore ed organizzatore di eventi-oltre che docente di profonda cultura- c'era una sezione di soci giovani studenti universitari, di cui molti ex suoi alunni, (che pagavamo una retta ridotta) che collaboravano attivamente nella organizzazione degli eventi.

    Ricordo, solamente, per sottolineare la qualità della attività culturale del Circolo, che nella sala di lettura erano presenti riviste come il "Mondo" di Pannunzio, "Cinema Nuovo" di Guido Aristarco, il "Ponte" di Calamandrei, il "Nord e Sud" del grande meridionalista Compagna, e la presenza alle conferenze e dibattiti dei più importanti uomini siciliani di cultura e di politica del tempo. Non erano da meno (specialmente per noi giovani) le attività ricreative, del Circolo con feste e veglioni memorabili.

    Il Circolo "Pirandello" dell'epoca, per la sua feconda attività culturale e genialità ricreativa, acquistò grande notorietà a livello regionale. Non posso non ricordare, a proposito dei carnevali, fra tutte le fantasiose elaborazioni ed invenzioni di eventi ricreativi, del prof. Di Bella, un fantastico veglione con il "ballo delle lucciole".

    Per settimane, in attesa di un carnevale, noi giovani-soci, siamo stati impegnati in una operazione manuale di inserimento di minuscole lampadine, previamente, collegate per l'alimentazione elettrica ad una piccolissima batteria, nella corolla di una margherita di plastica. Ne preparammo almeno un centinaio.

    La sera del veglione, questo fiore plastificato, elaborato con minuscola lampadina e batteria, fu distribuito, unitamente ai cotillons di rito, ai cavalieri perché fosse inserito nel taschino della giacca, dal quale dovevano sporgere, però, petali e corolla con in centro la piccolissima lampada spenta.

    Ad un certo momento della serata, quando l'orchestra ha iniziato a suonare musiche molto lente, tenere ed eleganti, sono state spente tutte le luci dei saloni e ciascun cavaliere, delle coppie che ballavano, ha attivato l'accensione della sua minuscola lampada che portava nel taschino.

    Ricordo ancora l'atmosfera romantica di quel ballo, che fu molto lungo, si era generata, quasi una fantastica magia, perché le coppie danzavano nei saloni senza luce, dove brillavano solo, come capita nei prati in alcune serate estive prive di luna, tante piccole lucine che quasi si cullavano nel buio, al suono di melodie volutamente dolci e delicate.

    Anche se sono passati circa sessanta anni, credo che nessuno di coloro che vissero l'emozione di quella particolare serata di ballo magico, inventato dal prof. Di Bella, lo abbia dimenticato, in qualunque luogo, della terra o del cielo, oggi essi si trovino.

    Purtroppo, per vicissitudini che non conosco, essendo andato via per tanti anni, la storia del Circolo di Cultura " Pirandello", come i sogni della mia gioventù, è finita; da alcuni decenni, c'è stata una confluenza dei pochi soci rimasti nel "Circolo della Gioventù".

    Per completare il ricordo dei Circoli della Città, rammento che verso la fine degli anni cinquanta, per iniziativa di Cosimo Puglisi nacque il Circolo del Moto Club, che avrebbe dovuto raccogliere i possessori di motociclette e motocicli (Vespa e Lambretta, che allora rappresentarono i primi mezzi di locomozione popolare diffusa, negli anni del boom economico) ma era aperto al ceto impiegatizio e piccolo borghese.

    Anche il Moto Club ha cessato la sua vita da alcuni decenni. In attesa dei giorni della festività del Carnevale, come ricordavo, il ballo dei sabatini si svolgeva nei locali dei Circoli, ma prima di qualche settimana dal fatidico "giovedì grasso" in vista del clou dell'invasione delle centinaia di "maschere" qualche circolo, che non aveva grandi saloni per ospitare tanti estranei, spostavano il luogo della festa ed affittavano, perciò, il Teatro Selinus, il Teatro delle Palme od il Cinema Capitol.

    Inoltre, poiché la festività del Carnevale era veramente una ricorrenza vissuta dalla comunità intera, sorgevano, a cura di privati o di qualche partito od associazione partitica, anche luoghi, occasionalmente, aperti al ballo delle maschere: ricordo i locali degli ex "Bigliardi" di via D'Alessi ed i locali dei "Bigliardini" di don Petru (ora occupati da una banca) al piano terra del Palazzo Pignatelli nell'omonima Piazza.

    Stelio Manuele

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