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(Video) Un "tuffo" nel passato per raccontare la "Festa della Tagliata" di un tempo

di: Vito Marino - del 2017-09-16

Vuole la tradizione che nei primi del 1600, mentre un gruppo di tagliapietre batteva sulla roccia arenaria a Castelvetrano per ricavare “cantuna" (conci di tufo), sentissero la voce che diceva: "taglia, taglia”.

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  • I lavoratori, stupiti da tutto ciò, continuarono a scavare. Grande fu la sorpresa quando trovarono una giara, con dentro un quadro raffigurante una Madonna con in braccio un bambino.  

    Nel 1634, in questo luogo del ritrovamento fu costruita una piccola Chiesa campestre, che poi fu ampliata nel 1711 per i numerosi miracoli che prodigava la Vergine. Fu deciso allora di chiamarla la Madonna della Tagliata.  Il 4 gennaio del 1759 il vicerè Fogliani decretò di fare una grande fiera, dal sabato della terza domenica di settembre al mercoledì successivo.

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  • All’interno della Chiesa vi si trovava il quadro originale, che nonostante fosse diventato scuro per il passare degli anni dal suo ritrovamento, era sempre oggetto di venerazione da parte dei fedeli.  Q

    uesto quadro fu rubato verso la metà del 1900, perché allora la Chiesa era aperta solo per i cinque giorni della fiera e poi fu abbandonata a se stessa. Una volta la Fiera della Tagliata era una delle più importanti della Sicilia.  I giorni erano divisi per categoria: il sabato era dedicato al pellegrinaggio alla Madonna che si fa ancora oggi nella mattinata.

    La domenica era per i forestieri, perché si vendevano oltre alle mercanzie, anche gli animali, cavalli,capre, maiali, galline uccelli ecc.

    Il lunedì salivano al santuario in preghiera le maestranze: muratori, barbieri, calzolai, falegnami, stagnini, gessai ecc. Il martedì era riservato ai nobili che andavano in Chiesa con le servitù e le proprie carrozze.

    Il mercoledì era dedicato ai pastai, panettieri, macellai, dolciari e ai molti giovani che arrivavano nella zona per partecipare al “gioco del gallo”, della pentola, della padella e della corsa con i sacchi.  Dall’inizio di ogni anno era buona usanza nelle famiglie scrivere in un taccuino tutto quello che si sarebbe dovuto comprare alla fiera, una specie di pro memoria di piccoli e grandi oggetti. 

    Quelli più comprarti erano: lu crivu ( per separare la farina dalla crusca), lu catu di zinco, la pala per infornare, lu panaru, lu lumi a petrolio, o lu spicchiu d’ogghiu ( lume ad olio) la lattera (  ciotola per il latte).  Poi ancora non mancavano li vacila, la bagnera,che serviva per lavare i bambini o la biancheria. Gli oggetti più ingombranti venivano caricati sopra il carretto o a dorso del mulo.Vorrei ricordare la quarara o lu quararuni,( pentole grosse di rame), lu scrafalettu ( arnese per riscaldare il letto).  

    Poi ancora lu circu, sempre per riscaldare il letto, lu cantaru, grosso vaso per i bisogni fisiologici a forma cilindrica di smalto con 4 o sei manici. Ricordo l’immancabile bracera di rame per riscaldare le stanze con il carbone, la coffa per mettervi le carrube o l’avena, le mandorle se in poca quantità.

    Erano ricercati dagli acquirenti “li zimmila”, grossi vasi di terracotta che si usavano per mettervi dentro olio e vino.  La fiera era un appuntamento atteso per un anno intero.

    Le persone o meglio intere famiglie si sedevano ai bordi della strada per mangiare le panelle,  la prima salsiccia di maiale o le trinche arrostite alla brace e le prime olive verdi, schiacciate e condite con olio, prezzemolo, aglio ed origano, accompagnate da un buon bicchiere di vino.  

    La “fera", come viene chiamata ancora oggi, costituiva un momento d’incontro tra “ziti all’ammucciuni”, fidanzati clandestini che aspettavano il bene placito della famiglie per ufficializzare il fidanzamento tra di loro. In mezzo alla confusione “li ziti” amavano darsi pizzicotti, sotto l’occhio “ invisibile” della madre, la quale se il ragazzo le piaceva faceva finta di non vedere, se invece al contrario non gli andava a genio arrivati a casa la ragazza poteva prendersi qualche scappellotto o la punizione di restare a casa la domenica successiva.

    Al ritorno verso casa un po’ tristi perché la fiera per chi l’aveva vista era finita, si comprava e si gustava la “ frischebella”, la famosa granita di limone.

    Vi riproponiamo un video vi mostriamo un video inedito realizzato per i lettori di Castelvetranonews.it tempo fa da Dario Prinzi.

    Nel corso del breve documentario si può osservare una Castelvetrano che fu dove ad essere venduti erano principalmente strumenti agricoli, artigianali  propri di una realtà che fondava sull’agricoltura una parte importante dell’economia locale.  

    Inoltre vengono mostrate delle immagini di giovani castelvetranesi intenti ad arrostire della carne sul fuoco. 

    Secondo quanto racconta a tal riguardo Vito Marino "fino agli anni ’70 circa, per motivi d’igiene, d’estate era proibita la macellazione e la vendita della carne di maiale, poiché lo spesso strato di lardo che l’animale di allora portava e, a causa del caldo e dalla mancanza di refrigeratori, diventava dannoso alla salute. Pertanto, la prima salsiccia si poteva mangiare in coincidenza di tale festività.  

    La gente, stimolata da quell’odore provocante, non perdeva l’occasione per fare uno spuntino seduti in appositi ritrovi in baracche preparate per l’occorrenza o stando anche in piedi o seduti ai bordi dalla strada.  

    Dopo le baracche dell’arrosto già si notavano, accatastate alla rinfusa vasellami di terracotta e tutti gli attrezzi per l’agricoltura e l’artigianato. Articoli ormai superati e i cui nomi restano sconosciuti ai più giovani come “bummuliddi di Sciacca, quartari, nzira, raffii, lemmi, cantari, giarri e giarriteddi, cunculina, cisca, lattera, circu e scrafalettu, criva di sita e criva d’occhiu, sbarratozzu…” .    

    Finalmente in prossimità della chiesa c’erano le logge, fatte in muratura. Qui si trovavano i giocattoli variopinti che facevano restare i bimbi più poveri di allora meravigliati e delusi, perché i genitori non potevano comprare quello che desideravano.

    Allora questi bambini, nei cortili o per strada, si arrangiavano a giocare con altri coetanei con giocattoli inventati dalla loro fantasia.  Dietro la chiesa c’era la fiera del bestiame.    

    Con il subentrare della civiltà del consumismo e del falso benessere è scomparsa tutta l’atmosfera gioiosa: alla fiera, che ancora oggi si effettua, più per consuetudine che per esigenze commerciali, non si vendono più animali, mentre giocattoli, stoviglie, attrezzi agricoli si trovano in tutti i supermercati e nei negozi specializzati".  

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