"Lu rifeddu" e la Madonna di Balalù a Salemi. Quando culto, credenze e storia si intrecciano
di: Dott. Francesco Marino - del 2017-09-22
Nella foto è riprodotta l’immagine della Madonna di Badalucco col Bambino. L’opera, dipinta su pietra, e posta all’interno di un’edicola votiva situata al civico 106, via Ettore Scimemi a Salemi.
Magari tra i lettori qualcuno ha improvvisato la pratica della “cledonomanzia”, cioè quella misteriosa e fascinosa “arte” che, dopo aver chiesto un consulto alla divinità, permetterebbe l’esegesi di frasi o parole intese o proferite, traendo responsi unibili a proprie mozioni.
Ad esempio, dopo avere materializzato un quadro articolato di cerimoniali nei confronti di referenti devozionali per conoscere l’eventuale realizzazione di una speranza, si avrebbe udito un passante pronunciare il termine: “Tranquillo!”, un cledonomante avrebbe attribuito a quel vocabolo un auspicio positivo.
La cledonomanzia vanta numerose testimonianze storiche. A Smirne, dove questa specie di divinazione era praticata, s’interrogava l’oracolo cioè un essere o un’autorità spirituale considerata fonte di saggi consigli o di profezie infallibile. A Tebe c’era la stessa pratica nel tempio di Apollo. Tracce di quell’usanza si possono rilevare nei testi di Cicerone.
Ma anche a Salemi, tra il divino e il profano, sono state registrate scie congiungibili alla sopraccennata tradizione. In particolare, nella prima metà del secolo scorso, non erano pochi i fedeli che compivano il pellegrinaggio alla Madonna di Badalucco - in paese più nota come la “Madonna di Balalù”- per conoscere pareri legabili a propri interrogativi.
Il quadro che raffigura la Madonna di Badalucco, si sa, era situato in una chiesa del salemitano costruita nel sedicesimo secolo dagli spagnoli e poi distrutta da una frana nel 1740. Oggi l’opera è sistemata in una nicchia e la sua cura è affidata ad una famiglia del luogo.
Durante la guerra molte mamme facevano il “viaggio” alla Madonna per interpellarla circa il destino dei propri figli al fronte. Diversi chiedevano se la figlia avrebbe trovato un buon marito. Altri, se avrebbero avuto fortuna emigrando in America. Insomma, le domande alla Madre Celeste potevano essere davvero tante.
Il pellegrinaggio iniziava quando il sole era già tramontato. Ci si abbigliava coprendosi quasi il volto per non essere riconosciuti. La tradizione imponeva di non interrompere il viaggio, di non parlare con nessuno o salutare alcuno. Mentre si camminava, si supplicava a bassa voce: “O Madonna di Balalù, dimmi quello che sai tu”. Poi, si carpiva “lu rifeddu” ossia il presagio che filtrava dalle parole pronunciate da chi si incontrava.
I devoti portavano con loro “lu meccu”, ovvero lo stoppino in fibra tessile, e l’olio che poi utilizzavano come liquido combustibile. Una volta arrivati a destinazione versavano l’olio nella lampada di terracotta rinvenuta all’interno della nicchia e accendevano “lu meccu”, che produceva la fiammella, in segno di devozione e ringraziamento verso la Santa Vergine.
Durante il “viaggio”, i ritualisti erano attenti a seguire ogni voce che ascoltavano e o ogni segnale che percepivano collegabili alla loro interrogazione. Se le parole intese erano recepite con comprensibilità e colpivano la propria immaginazione, allora erano condotte al quesito. Ma, se non comprese con facilità si attribuiva ad esse un significato estraneo al motivo del viaggio.
Se “lu rifeddu”, decifrabile nel dialetto salemitano come sinonimo di cledonomanzia, era classificato positivo, all’informazione chiesta alla Madonna veniva attribuito un senso favorevole.
Certo, oggi potrebbe apparire eccentrico ma, in quei tempi, chissà quanti si o no pronunciati da ignari camminatori e intesi da chi abbracciava quella pratica “prodigiosa”, avrebbero deciso il destino di una coppia, la definizione di un affare o la partenza verso una meta lontana!