L'utilizzo del "Crivu" nella tradizione agricola
di: Vito Marino - del 2015-07-28
Durante la civiltà contadina il grano, dopo mietuto si portava “a lu postu d’aria” (all’aia) per essere “cacciatu” (trebiato) con gli animali da soma. Quindi, in sintesi, dopo aver tolta la paglia, si effettuava la prima cernita con il crivello a maglie larghe “lu sbarratozzu” che serviva a scartare le parti più grossolane.
Quindi si effettuava una seconda cernita, eseguita con un “crivu d’occhiu” chiamato così perché aveva dei buchi a forma di occhio ma delle dimensioni del chicco di grano, che veniva montato sopra vento, sospeso al centro di un treppiedi formato da tre lunghe aste ricavate dalle infiorescenze delle “gabbare” (agave) di legno legate al vertice con una corda.
Questa ulteriore selezione serviva a separare il grano dalle ultime pagliuzze “ciusca” rimaste. Infine, il grano si metteva in un canestro e si lasciava cadere dall’alto. Il vento provvedeva a mandare via le parti più leggere e, il grano più pesante cadeva per terra. Questa cernita mi fa ricordare ad un indovinello che diceva: “deci chi tennu e unu chi caca, e soccu caca ni mancia lu papa” dove i dieci erano le dita e “soccu caca” era il prezioso grano, che ne mangia pure il papa.