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La Festa dei morti si avvicina e con essa l’abbondante corpus di tradizioni e culti che in Sicilia, e nel resto del mondo, caratterizza tale ricorrenza. Nonostante al giorno d’oggi non sia accompagnata dal fervente sentimento folklorico di un tempo, buona parte delle usanze passate sono riuscite comunque a persistere adattandosi al presente. Quella che, forse, dopo secoli e secoli di celebrazioni, sfugge ormai alla nostra memoria è, invece, l’origine della Festa dei morti: come nasce, perché cade proprio i primi di novembre e il perché dei rituali che l’accompagnano. Una guida importante per rispondere a queste domande ce la fornisce il libro di Ignazio E. Buttitta, “I morti e il grano”. La Festa dei morti si sviluppa, fin dai tempi dei greci e dei romani, in un contesto agrario, costituito da contadini soliti propiziare attraverso rituali specifici l’andamento del raccolto, fonte principale di sostentamento di una società rurale. Essi seguivano un calendario stagionale soggetto all’andamento mutevole della natura, per cui si invocava l’intervento favorevole di entità superiori con lo scopo di ottenere un buon raccolto. Ecco perché oggi la periodicità delle cerimonie religiose dipende dalla periodicità naturale e dei ritmi di lavoro, e la storia della religiosità contadina in Sicilia è strettamente correlata alla cerealicoltura. Novembre è il mese dedicato alla semina, si impiantano i chicchi in seno alla terra con l’intento di affidarli alla protezione delle divinità ctonie e dei defunti, i quali provvederanno a farli irrobustire e germogliare. Pertanto, il legame tradizionale con i morti si origina a partire dalla credenza comune che essi possano intervenire sulla produzione del grano, intercedendo presso le divinità sotterranee in favore dell’uomo. Tale credenza si protrasse fino all’avvento del Cristianesimo quando, seppur in maniera tardiva, papa Gregorio IV nel IX secolo istituì la cerimonia di Ognissanti il primo novembre e papa Giovanni XIX nel XI secolo quella della Commemorazione dei defunti il 2 novembre, giorni ormai divenuti sacri per l’inizio della semina e la successiva prosperità del grano. Di conseguenza, i rituali siciliani della Festa dei morti nascono proprio per ingraziarsi il favore dei defunti, molti dei quali rituali sono ancora praticati, anche se non più con lo stesso significato. Ci si reca al cimitero per rivolgere una preghiera sulla tomba del defunto dove si può scegliere di consumare un pasto. È tipica anche l’elemosina ai poveri e il dono ai bambini di giocattoli, dolci dalle forme particolari (famose sono le cosiddette pupe di zucchero) di frutta fresca e secca, sementi cotte e pasta reale, tutte offerte riservate ai defunti ma di fatto consumati da poveri e bambini. A tal proposito Buttitta ricorda una tradizione ricorrente a Vita, fino a qualche tempo fa: il 2 novembre una lunga fila di mendicanti «si disponeva all’ingresso del camposanto e riceveva in elemosina degli speciali pani antropomorfi che, nella percezione di offerenti e riceventi, erano rappresentazioni dei defunti.» Legata ai più piccini è, inoltre, la credenza popolare che i morti di notte abbandonino le proprie dimore per portare loro dei regali. I bambini sono un po’ i protagonisti di questa ricorrenza, partecipanti attivi per l’occasione di questue e travestimenti in maschera. Fra i tanti mascheramenti, colpisce di più quello diffuso in passato a Santa Caterina di Villermosa, in provincia di Caltanissetta. I bambini erano soliti uscire in gruppo, coperti da lenzuola bianche e a lume di candela, bussando di porta in porta per le abitazioni, dopo la mezzanotte, chiedendo dolci e presentandosi proprio come i “morti”. Vi ricorda, per caso, qualche altra festa tipica di questo periodo? Esatto, Halloween! Una somiglianza per nulla casuale. Tirando le somme, però, la Festa dei morti, non può essere ridotta a semplice retaggio di cerimonie stagionali, volte a governare i cicli naturali o a esorcizzare le forze del male per ottenere un buon raccolto. Sarebbe riduttivo, perché è molto di più! È una porta aperta sull’inesprimibile e sull’ingovernabile, entro cui l’uomo ha imposto la vita, nonostante tutto, confidando nell’immortale potere della memoria.

Immagine articolo: La Festa dei morti si avvicina e con essa l’abbondante corpus di tradizioni e culti che in Sicilia, e nel resto del mondo, caratterizza tale ricorrenza. Nonostante al giorno d’oggi non sia accompagnata dal fervente sentimento folklorico di un tempo, buona parte delle usanze passate sono riuscite comunque a persistere adattandosi al presente. Quella che, forse, dopo secoli e secoli di celebrazioni, sfugge ormai alla nostra memoria è, invece, l’origine della Festa dei morti: come nasce, perché cade proprio i primi di novembre e il perché dei rituali che l’accompagnano. Una guida importante per rispondere a queste domande ce la fornisce il libro di Ignazio E. Buttitta, “I morti e il grano”. La Festa dei morti si sviluppa, fin dai tempi dei greci e dei romani, in un contesto agrario, costituito da contadini soliti propiziare attraverso rituali specifici l’andamento del raccolto, fonte principale di sostentamento di una società rurale. Essi seguivano un calendario stagionale soggetto all’andamento mutevole della natura, per cui si invocava l’intervento favorevole di entità superiori con lo scopo di ottenere un buon raccolto. Ecco perché oggi la periodicità delle cerimonie religiose dipende dalla periodicità naturale e dei ritmi di lavoro, e la storia della religiosità contadina in Sicilia è strettamente correlata alla cerealicoltura. Novembre è il mese dedicato alla semina, si impiantano i chicchi in seno alla terra con l’intento di affidarli alla protezione delle divinità ctonie e dei defunti, i quali provvederanno a farli irrobustire e germogliare. Pertanto, il legame tradizionale con i morti si origina a partire dalla credenza comune che essi possano intervenire sulla produzione del grano, intercedendo presso le divinità sotterranee in favore dell’uomo. Tale credenza si protrasse fino all’avvento del Cristianesimo quando, seppur in maniera tardiva, papa Gregorio IV nel IX secolo istituì la cerimonia di Ognissanti il primo novembre e papa Giovanni XIX nel XI secolo quella della Commemorazione dei defunti il 2 novembre, giorni ormai divenuti sacri per l’inizio della semina e la successiva prosperità del grano. Di conseguenza, i rituali siciliani della Festa dei morti nascono proprio per ingraziarsi il favore dei defunti, molti dei quali rituali sono ancora praticati, anche se non più con lo stesso significato. Ci si reca al cimitero per rivolgere una preghiera sulla tomba del defunto dove si può scegliere di consumare un pasto. È tipica anche l’elemosina ai poveri e il dono ai bambini di giocattoli, dolci dalle forme particolari (famose sono le cosiddette pupe di zucchero) di frutta fresca e secca, sementi cotte e pasta reale, tutte offerte riservate ai defunti ma di fatto consumati da poveri e bambini. A tal proposito Buttitta ricorda una tradizione ricorrente a Vita, fino a qualche tempo fa: il 2 novembre una lunga fila di mendicanti «si disponeva all’ingresso del camposanto e riceveva in elemosina degli speciali pani antropomorfi che, nella percezione di offerenti e riceventi, erano rappresentazioni dei defunti.» Legata ai più piccini è, inoltre, la credenza popolare che i morti di notte abbandonino le proprie dimore per portare loro dei regali. I bambini sono un po’ i protagonisti di questa ricorrenza, partecipanti attivi per l’occasione di questue e travestimenti in maschera. Fra i tanti mascheramenti, colpisce di più quello diffuso in passato a Santa Caterina di Villermosa, in provincia di Caltanissetta. I bambini erano soliti uscire in gruppo, coperti da lenzuola bianche e a lume di candela, bussando di porta in porta per le abitazioni, dopo la mezzanotte, chiedendo dolci e presentandosi proprio come i “morti”. Vi ricorda, per caso, qualche altra festa tipica di questo periodo? Esatto, Halloween! Una somiglianza per nulla casuale.  Tirando le somme, però, la Festa dei morti, non può essere ridotta a semplice retaggio di cerimonie stagionali, volte a governare i cicli naturali o a esorcizzare le forze del male per ottenere un buon raccolto. Sarebbe riduttivo, perché è molto di più! È una porta aperta sull’inesprimibile e sull’ingovernabile, entro cui l’uomo ha imposto la vita, nonostante tutto, confidando nell’immortale potere della memoria.

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